IL CINEMA DEI GIUSTI - “PERDUTAMENTE”, DOCUMENTARIO SULL’ALZHEIMER DIRETTO CON PASSIONE E SINCERITÀ DA PAOLO RUFFINI E IVANA DI BIASE, CHE SI VOGLIA O NO, CI RIGUARDA TUTTI - PIÙ CHE UN FILM SULLA MALATTIA E SUI MALATI, CHE POI NON SONO ESATTAMENTE MALATI, SONO DEI VIANDANTI CHE STANNO PERDENDO LA STRADA O CHE FORSE LA STANNO PERCORRENDO FINO ALLA FINE, È UN FILM SU CHI RESTA. E’ UN VIAGGIO BENEFICO DENTRO LE CASE DI UN PAESE MIGLIORE DI COME SI PENSA CHE SIA VEDENDO I PROGRAMMI TELEVISIVI… - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

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Preparatevi, perché questo film, che si voglia o no, ci riguarda tutti. E mi sembra che sia già un piccolo caso nel panorama italiano. Ecco.

 

Quello che veramente ci stupisce di fronte a “Perdutamente”, documentario sull’Alzheimer diretto con passione e sincerità da Paolo Ruffini e Ivana Di Biase su un argomento quanto mai difficile da trattare perché tocca direttamente il dolore e i sentimenti più profondi, è il lungo viaggio intrapreso non tanto nella mente ormai svanita o in via di svanimento dei malati, vecchi o meno vecchi che siano (ma qualcosa lo sappiamo, anche qualcosina rimane sempre dentro di loro) quanto nella profondità delle famiglie italiane che sono toccate dall’arrivo della malattia.

 

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E che dovranno conviverci per un tempo indefinito, il tempo di una malattia che non si può curare e dove la luce rimasta è sempre più fioca. Sì, ci attacchiamo a tutto, anche a quel poco che rimane.

 

“Perdutamente”, che sarà in sala per pochi giorni, dal 14 al 17 febbraio, per celebrare San Valentino, distribuito dall’Istituto Luce per poi passare a Sky, più che un film sulla malattia e sui malati, che poi non sono esattamente malati sono dei viandanti che stanno perdendo la strada o che forse la stanno percorrendo fino alla fine, è un film su chi resta. Su i sani. Forse toccati da una grazia.

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Quelli che, in un paese così fortemente e storicamente cattolico come il nostro, sembrano messi alla prova da Dio o chi per lui e che si trovano a gestire qualcosa di inaspettato e terribile. E lo fanno, almeno questi che hanno aperto la porta a Paolino, con una coscienza, un amore per la vita, uno sguardo così dignitoso e pieno d’affetto che non possono lasciarci indifferenti.

 

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Non ci sono verità scientifiche da scoprire, ahimé, magari ce ne fossero. Ci sono però verità umane inaspettate da scoprire che in questi due anni di pandemia, che ci hanno visto così chiusi a casa dentro alla famiglia, che ci fanno ben sperare rispetto a sentimenti come l’accoglienza e l’inclusione. Anche per questo, credo, pur se non mancano momenti terribili nel documentario, non se ne esce né con un senso di angoscia né di oppressione. Anzi.

 

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E’ un viaggio benefico dentro le case, le famiglie di un paese migliore di come si pensa che sia vedendo i programmi televisivi, i talk show, i telegiornali. Un paese più sano che non ha perso la pietà per chi si sta perdendo e la voglia di capire, di spiegare quel che si sta vivendo, di comunicare sentimenti positivi e, per una volta, non distruttivi.

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Per questo, al di là delle tante figure incredibili che Paolino incontra nel suo viaggio per l’Italia, un lavoro di ricerca che dovrebbe fare la tv di stato, trattate senza alcuna ombra di compiacimento o di pornografia dei sentimenti, mi sembra che il senso del film stia proprio nel puntare al grande cuore del paese, alla sua verità più sofferente e nascosta. Non ce lo aspettavamo da Paolino Ruffini? Beh, io me lo aspettavo. 

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