IL CINEMA DEI GIUSTI - SONO PASSATI 50 ANNI DALLA PRIMA DI “LO CHIAMAVANO TRINITÀ” - LA DOMANDA È SEMPRE LA STESSA: IL FILM SALVÒ LO SPAGHETTI WESTERN O LO DISTRUSSE COMPLETAMENTE? DIFFICILE DIRLO. CERTAMENTE, MANDÒ ANCORA AVANTI IL GENERE PER UN BEL PO’, CHE IN QUESTA FORMA ARRIVERÀ FINO AD OGGI GRAZIE PROPRIO AL MITO DEI SUOI DUE PROTAGONISTI. MA È PUR VERO CHE PROPRIO GRAZIE ALLA CONTAMINAZIONE CON LA COMMEDIA SARÀ IMPOSSIBILE PROSEGUIRE CON GLI SPAGHETTI WESTERN SERI - LE SCENE STRACULT + VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

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Come passa il tempo. Devo dire che quel 22 dicembre del 1970, per la prima di “Lo chiamavano Trinità” stavo proprio in sala al primo spettacolo pomeridiano, in quel di Genova, al cinema Orfeo di Via XX Settembre, che ora non c’è più. Purtroppo. Mi ricordo bene però la sala strapiena e le risate. Nessuno poteva credere a un successo di questo tipo, anche se era andato già benissimo “La collina degli stivali”. Che non era un film comico.

 

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A  50 anni dall’uscita del film, la domanda è sempre la stessa: “Lo chiamvano Trinità”, il primo western comico di E.B.Clucher alias Enzo Barboni con Bud e  Terence salvò lo spaghetti western o lo distrusse completamente? Difficile dirlo. Certamente, mandò ancora avanti il genere per un bel po’, che in questa forma arriverà fino ad oggi grazie proprio al mito dei suoi due protagonisti. Ma è pur vero che proprio grazie alla contaminazione con la commedia sarà impossibile proseguire con gli spaghetti western seri. Per Sergio Leone, infatti, Trinità “suicida lo spaghetti western mettendoci in mezzo la farsa. Il pubblico reagisce in maniera freudiana, perché il film è la demistificazione dei 300 western che sono stati prodotti dopo il successo di Per un pugno di dollari...”.

 

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Ahi! Ma Leone, ricordiamolo, aveva il dento avvelenato, visto che il suo “Giù la testa”, uscito un anno dopo, si frantumo contro il sequel di Trinità, sempre diretto da E.B.Clucher-Barboni. Solo in Italia il film di Leone incassò un miliardo e mezzo contro i quattro e 700 del secondo Trinità. Per Leone fu un dramma, come ricordava Barboni: “Alla fine dello spettacolo andavamo al Supercinema, perché lì facevano capo tutte le sale che davano gli incassi della giornata e, dal Barberini dove c’era il film di Leone, telefonavano per sapere gli incassi e non ci credevano: una sera, due, tre... Poi alla fine hanno saputo che il mio film stava raccogliendo cifre da capogiro e Sergio non l’ha mandata giù.”

 

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Anche per Sergio Corbucci è il film “che ha ammollato un colpo mortale al western italiano” perché in questo modo, ridicolizzando tutto il mondo degli spaghetti “non si poteva più ammettere un pistolero che sparasse seriamente”. Per Enzo Barboni, però, che aveva seguito da vicino tutta la costruzione del western italiano fin dagli inizi come direttore della fotografia, quel genere era già morto. Dopo 50 anni, inoltre, più che la storia vince il mito.

 

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E la coppia Trinità-Bambino, anche se Bud e Terence già avevano fatto film insieme, si forma proprio in questo piccolo film prodotto dal grosso Italo Zingarelli e da Roberto Palaggi e diretto da Enzo Barboni. L’idea di Trinità, vuole la storia, viene proprio a Barboni mentre era operatore di western in Spagna. “Trinità: un vendicatore di torti mite ma coraggioso, sobrio e pigro.

 

Trinità si dà da fare soltanto quando non ne può fare a meno. La mia polemica era contro l’eroe sudato, sporco, la polvere, il cavallo stanco. Il mio eroe è ricco di humour, un dormiglione, guarda con distacco le donne” (Barboni, “Cinema 70”). Per Leone, però, Barboni arrivò al western comico casualmente, senza rendersene conto, non con un  vero e proprio ragionamento. Ovviamente Barboni non era assolutamente d’accordo.

 

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“Quel film è nato da un momento di rigetto del genere, in quanto io, essendo direttore della fotografia, avendo lavorato con questo o quel regista, avevo notato che facevano tutti a superarsi in ferocia, in sangue, e in squartamenti. Quando stavo facendo con Corbucci Django, che usava persino la mitragliatrice, mettendo in scena stragi a livello di Goradze e cose del genere, ebbi un po’ la nausea di tutto questo…” (a Marcello Garofalo su “Segno Cinema”). Tutti, a cominciare da Franco Nero, che ricorda di aver rifiutato il film, ricordano che Barboni girò a lungo con la sceneggiatura sotto il braccio di questo western comico che nessuno voleva fare.

 

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Ernesto Gastaldi ha però ricordato che il soggetto del film e parte della sceneggiatura nascono da un copione che lui aveva scritto (solo fino al primo tempo, però) per il produttore Alfonso Sansone. Il produttore l’aveva poi raccontato a Barboni, che l’aveva usato senza permessi né citazioni pensando che Sansone stesse in fallimento. Per non arrivare alla causa, Zingarelli e Barboni permetteranno un paio d’anni dopo a Sansone di fare un film interpretato da Bud Spencer con sceneggiatura di Gastaldi, che è appunto Si può fare amigo! Un film ricompensa di un casino produttivo.

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Lo stesso Barboni ricorda, invece, che voleva fare il film con Peter Martell e Luigi Montefiori, ma il produttore, Manolo Bolognini, lo rifiutò, pensando “Qui si parla troppo e si spara poco”. La cosa la ricorda bene anche Montefiori. “Fui io a convincere Manolo Bolognini a non farlo. Mi avevano portato il soggettino scritto da Barboni. Era una cazzata, non c’erano né le battute né le trovate che poi mise nel film. Non c’era niente. Lui, quelle cose, le mise mentre girava. Manolo mi ha rimproverato per anni di avergli fatto rifiutare il film”.

 

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A questo punto Barboni va da Zingarelli, che era suo vecchio amico. Ma, come ricorda Sergio Felicioli, direttore di produzione del film, “Zingarelli cercava di evitare come poteva Barboni, perché la sua società, la West Film, non era così florida. Alla fine lo fece leggere a Roberto Palaggi”, che lo coprodusse mettendoci i soldi. E alla fine entrarono anche i due protagonisti. Ma, come ricorda Terence Hill, “Il Trinità che Barboni concepì doveva farlo con altri due attori. Poi è successo che Bud Spencer e io dovevamo fare un film col produttore Zingarelli e non si trovava la sceneggiatura adatta. Si presentò Barboni con questo soggetto... io e Spencer eravamo appena usciti da I quattro dell’Ave Maria che era ironico, ma non certo comico. (..) Io stesso non avevo mai fatto ruoli comici e mi sorpresi di come potessi far ridere, Per cui nacque assolutamente per caso”.

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Per Bud Spencer nessuno credeva al film perché allora c’era Leone e non pensavano potesse funzionare il western comico. Poi Zingarelli gli fa leggere il copione di Barboni e Bud pensa a farlo con due protagonisti, due fratelli, lui e Terence Hill al posto di uno solo. Forse è solo leggenda, ma Barboni racconta a Duccio Tessari, in “Arrivano i vostri”, che scriveva i copioni in romanesco e poi li faceva tradurre in italiano.

 

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Questo particolare svela però l’infondetezza che il film venisse pensato serio e poi diventò casualmente comico. È Nando Poggi a ricordare che Barboni pensava di aver fatto un film serio, tanto che quando si presentò al Supercinema di Roma per la prima un po’ in ritardo se la prese quasi: “Ma che fanno ridono sti fiji de na mignotta?”. Neanche Leone si rendeva conto del perché la gente ridesse al cinema.

 

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La storia vede Trinità, cioè Terence Hill (per la prima volta doppiato da Pino Locchi), che scopre che il fratello, Bambino, cioè Bud Spencer (doppiato come sempre da Glauco Onorato), da ladro di bestiame è diventato addirittura sceriffo di una ridente cittadina. Ma proprio Trinità lo aiuterà a risolvere un problemino con il maggiore Harrison, l’ex bello di Senso Farley Granger, losco individuo che vuole cacciare una comunità di mormoni dalle terre che lui stesso vuole possedere. Ci saranno botte e padellate per tutte, due killer pagati per uccidere lo sceriffo e anche una ragazza che fa gli occhi dolci a Trinità.

 

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Grandissime le scene di azione. Hanno i loro massimi ruoli western Ezio Marano come il Faina e Steffen Zacharias (con tanto di doppiaggio di Ferruccio Amendola) come Jonathan, capo dei mormoni. Ma non scherzano neanche Michele (fratello di Tano) Cimarosa come messicano e il grosso Remo Capitani come Mezcal, riempito di botte da Bud assieme a una banda di cattivi dove brillano Osiride Peverello e tutti i nostri grandi stuntmen, dagli Ukmar ai Dell’Acqua a Pietrone Torrisi a Omaro Capanna a Gilberto Galimberti. Gran lavoro dei cascatori di Cinecittà, tutti presenti. Gisela Hahn ha ricordato, in un’intervista in Internet, che fece il film chiamata di corsa, prendere o lasciare, per un milione di lire e la domanda: “Tu lo vuoi fa’ un western?”.

 

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Barboni si diverte con elementi tipici del West, come i travoy. “La cosa che mi divertiva di più  di tutti quei vecchi film visti allora erano i cosiddetti travoy, che erano le slitte indiane, dove portavano via le famiglie, i vecchi, le cose… allora credevo che il modo più  comodo per attraversare il deserto fosse quello!” (“Segno Cinema”). Col travoy e Terence Hill che ci viaggia pigramente per il West cullati dall’accattivante musica di Franco Micalizzi si apre infatti il film e si definisce per sempre il nuovo genere ideato da Barboni. Completano il quadro botte, fagioli, tempi rilassati e volti forti.

 

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Come Farley Granger (“Ha un aplomb che non finisce mai”), Enzo Fiermonte e Pupo De Luca (“Uno si affeziona a quelle facce”). Il film gioca con la religione in modo abbastanza scanzonato, come spiega il titolo stesso. Fioccano, però battute, ben strane, tipo “Sia lodato Gesù Cristo” e Bud: “Perché?” o “Che il Signore vi accompagni” e loro: “No, andiamo da soli”. Tra le altri battute storiche, quelle sulla mamma dei due, con Hill che si lamenta di uno che “ha detto che nostra madre è una vecchia bagascia...”. “Beh, ha detto la verità”, fa Bud Spencer. “Sì, ma non è vecchia”, conclude il fratello.

 

Molto del merito, sosteneva Barboni, spettava a Italo Zingarelli, il produttore. “I momenti erano difficili, il western non andava più, eppure ci ha investito dei bei soldi lasciandomi assolutamente libero di fare quello che volevo.”

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Il film costava sui quattrocento milioni, e fa qualcosa come sei-sette miliardi. Viene battuto da Ultimo tango a Parigi, secondo Barboni perché quando uscì il suo film il biglietto costava mille lire, quando uscì Tango 1800. Così lo dice a Alberto Grimaldi: “E poi con quegli elementi che c’hai messo, Brando, il culo di quella, l’insederata, e tutte ’ste cose, per forza dovevi vincere”. Fu un grande successo anche in America. Visto soprattutto negli stati del centro e nella costa Ovest, secondo Barboni. “Il primo film incassò all’epoca 8 milioni di dollari, lo prese [Joseph E.] Levine proprio per una fumata di pipa e fece un sacco di soldi”.

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Gran parte del film venne girato in esterni sull’altopiano di Camposecco, nel Parco dei Monti Simbruini. Da quelle parte, tra Carsoli e Camerata Nuova, sono stati girati molti western. E ancora vivono nel ricordo di Trinità. Date un’occhiata su You Tube al backstage girato allora del film e ai ricordi più recenti di Remo Capitani alias Mezcal, il banditto messicano zozzone, girato a Campo Secco ormai una ventina d’anni fa.

 

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Franco Micalizzi fa furore con una colonna sonora abbastanza inventiva che vede l’intrusione di Lally Stott, già leader dei Motowns. La canzone “Trinity” di Scott-Micalizzi è cantata da Annibale con i Cantori Moderni di Alessandroni. Che ormai avrremo ascoltato centinaio di volte, ma ci fa sempre piacere risentirla. Anche a rivederlo, l’ultima volta per me, fu una proiezione bellissima con una copia perfetta in quel di Venezia per la mia rassegna sugli spaghetti western con una sala stracolma, devo dire che il film funziona perfettamente sia come western sia film di coppia comica. Quello che vide Leone, insomma, anche giustamente, secondo il suo punto di vista, per noi spettatori era perfettamente naturale. E Bud, che non venne a Venezia, ma presentò la rassegna a Roma assieme a Giuliano Gemma, GiannI Garko, Robert Hundar, George Hilton e tanti veri eroi del nostro west, era ancora realmente innamorato di quel set.

 

 

 

 

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