IL DIVANO DEI GIUSTI/2 – SU RAI TRE ALLE 20,30 ARRIVA IL CAPOLAVORO DI SERGIO LEONE “C’ERA UNA VOLTA IL WEST”. UN FILM-OPERA CHE CHIUDE PER SEMPRE L’EPOPEA DEGLI SPAGHETTI WESTERN E APRE IL SUO AUTORE VERSO NUOVI MONDI – PER IL RUOLO DEL CATTIVO, FRANK, LEONE VOLLE UN GRANDE ATTORE FORDIANO COME HENRY FONDA MA QUANDO SI PRESENTÒ SUL SET CON BASETTE, BARBA LENTI A CONTATTO NERE DISSE: “MA QUESTO È UN VECCHIO RINCOJONITO. MA IO LO PROTESTO... MA IO NE PIJO 'N'ANTRO...”

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Marco Giusti per Dagospia

 

c'era una volta il west c'era una volta il west

Su Rai Tre alle 20,30 arriva un capolavoro come “C’era una volta il West” di Sergio Leone, forse anche superiore a “Il buono, il brutto, il cattivo”. Di certo il film che deve chiudere per sempre l’epopea degli spaghetti western e aprire il suo autore verso nuovi mondi. Un film-opera, è stato scritto, ma anche un film che ha molto a che vedere con John Ford, Sam Peckinpah, ma anche con la Nouvelle Vague italiana, visto che Leone chiama a scriverlo due giovani autori in qualche modo legati alle Nouvelle Vague del mondo come Bernardo Bertolucci e Dario Argento, anche se non ancora acclamati internazionalmente come lo saranno dopo il 1968.

 

sergio leone c'era una volta il west sergio leone c'era una volta il west

Non a caso il 1968 è anche la data di uscita del film, non una riflessione sulla rivoluzione, come sarà il successivo “Giù la testa”, ma soprattutto una riflessione sul cinema e sui suoi eroi. In questo, pur mantenendo l’aspetto del film opera, è soprattutto, come dice lo stesso Bertolucci, il primo film post-moderno del cinema, anzi “il primo e unico western postmoderno”. Un film che ha già nella sua messa in scena l’idea di ricostruire qualcosa che non c’è più e che è scomparso.

 

Come dice molto coscientemente il cattivo Frank di Henry Fonda all’Armonica di Charles Bronson: “Il futuro non riguarda più noi due”. Bertolucci disse che per il soggetto si ispirò a un western molto amato da tutta la Nouvelle Vague come Johnny Guitar di Nicholas Ray. Non tanto per i personaggi, quanto per la storia, che è forse la cosa che meno ricordiamo del film di Ray.

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L’idea della ferrovia, ma anche quella della donna al centro degli interessi maschili, cosa del tutto nuova per un western italiano e per il regista. “Sono felice di aver convinto Leone ad avere il personaggio di una donna per la prima volta – a accettare quel personaggio, un personaggio che andava preso seriamente. Ho lavorato molto su quel personaggio. Abbiamo fatti grandi sforzi per convincerlo”.

 

 

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Diciamo che i primi venti minuti, che sono grandissimi, rispettano abbastanza il copione di Argento e Bertolucci. Poi le cose cambiano. Anche perché Leone, dopo il primo innamoramento, iniziò a non lavorare bene con i due giovani maestri e ritornò ai suoi sceneggiatori di fiducia, Sergio Donati e poi Luciano Vincenzoni.

 

Come ricorda lo stesso Donati: “Dopo molti mesi mi ha telefonato: era deluso dai due intellettuali. Io ero molto offeso e ho accettato solo per i soldi. Ho scritto tutta la sceneggiatura in venti giorni, il secondo tempo senza nemmeno alzarmi dalla sedia. Ho scritto il tipo di sceneggiatura che piace a lui, con descrizioni interminabili, dialoghi allusivi, lunghe biografie dei personaggi, e molti suggerimenti di regia; dice sempre mi raccomando gli attacchi, dobbiamo sempre indicare tre o quattro attacchi diversi perché lui possa scegliere in montaggio”.

 

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Per Donati il copione di Bertolucci e Argento non era più lungo di ottanta pagine. “C’erano molte buone intenzioni, ma nessuna sostanza. Il principale contributo che io ho dato, perché sono un romantico, è sui personaggi come Cheyenne... e la cosa migliore che ho fatto, spero, è dare un senso alla storia”. Donati inventa anche l’uomo senza gambe, Mr. Morton.

 

Ma per Bertolucci il copione è molto più lungo. Non solo. Tutta la storia si sviluppa dai mesi di conversazioni da ultracinefili tra Bertolucci e Leone con Dario Argento nella veste di spettatore attento. Lo diceva lo stesso Leone a Christopher Frayling: “…Bernardo ed io andavamo sempre più avanti, sempre facendo riferimento al cinema americano che ammiravamo. Diventò una specie di partita a tennis fra lui e me. Argento rimase spettatore, a osservare gli scambi fra noi due. Diede buoni consigli e fu, soprattutto, una buona compagnia.”

 

Ormai diventato un regista di prima grandezza internazionale, Leone può scegliere chi vuole. Per il ruolo del cattivo, Frank, vuole un grande attore fordiano come Henry Fonda. Così ricorda la cosa Leone: “Fonda si fece proiettare i miei tre film di seguito, a Los Angeles, e quando uscì disse: dov’è il contratto? Si presentò sul set con basette, barba lenti a contatto nere”.

 

cera una volta il west cera una volta il west

Il risultato di questa trasformazione non dovette piacere molto a Leone, come ricorda Donati. “Gesù, era questo Henry Fonda?!? Sergio Leone fu preso subito da uno dei suoi tipici panici frenetici. "'azz... Ma questo è un vecchio rincojonito," mi sussurrò. "Ma io lo protesto... Ma io ne pijo 'n'antro...". Si decise, per prendere tempo, di mandare Fonda a provare i costumi. Ma, alla fine, lo prese.

 

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Per il ruolo di Armonica, Sergio Leone pensa dapprima a Clint Eastwood, che rifiuta. Rifiuta anche di fare, con Lee Van Cleef e Eli Wallach il cameo iniziale dei tre pistoleri alla stazione che avrebbe dovuto essere una citazione del film precedente, Il buono, il brutto, il cattivo. Poi lo propone a James Coburn, che rifiuta, come disse anni più tardi a “Il Messaggero”: “perché il personaggio che avrei dovuto interpretare mi sembrava troppo vendicativo. Quando lo dissi a Sergio lui si offese: considerava vendicativo un complimento”. Pensa anche a Terence Stamp, che in Italia girerà l’episodio “Toby Dammit” di Fellini in “Tre passi nel delirio”, dove deve interpretare proprio un attore inglese venuto in Italia a girare un western. Sono del mazzo anche Rock Hudson e Warren Beatty.

 

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Alla fine arriva a Charles Bronson, anche lui una grande faccia da western che avevamo tutti molto amato in I magnifici sette di John Sturges, ma che si era fatto le ossa come caratterista anche nei film di Robert Aldrich. Viene doppiato alla grande da Giuseppe Rinaldi. “Per me Bronson era importantissimo”, ha dichiarato Leone, “perché era proprio quello che con la faccia che si ritrova è capace di fermare le locomotive. Il giustiziere che, anche se vai in Groenlandia, lì ti trova e lì ti segue. Era proprio un archetipo preciso che io cercavo, e solo con lui l’ho trovato. Come attore è buono come lo sono gli attori americani, quelli da specchio, che si studiano, controllano quasi tutti i muscoli della faccia, sanno ogni cosa”.

 

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Fu invece Leone a rifiutare Sophia Loren come protagonista femminile, e con questa i soldi di Carlo Ponti, che uscì dalla produzione. Ma, realmente, Sophia non era giusta per il ruolo, mentre Claudia Cardinale, più giovane e più luminosa, lo era. Inoltre rimandava anche al cinema di Luchino Visconti, cosa che, per il progetto bertolucciano inizale era più che giusto.

 

La stessa Cardinale ha ricordato che il giorno che Leone le chiese di interpretare il ruolo di Jill “mi ha invitato a casa sua e per tutta la sera me lo ha raccontato inquadratura per inquadratura mettendoci dentro anche la musica. È stato un incanto”.

 

Per il ruolo di Manuel Gutierrez detto Cheyenne, che parrebbe scritto per Eli Wallach, e forse proprio così era nelle intenzioni, venne chiamato un altro grande attore come Jason Robards, fresco di esperienze con Peckinpah. Robards parte malissimo col regista, presentandosi ubriaco al provino. Leone lo vorrebbe rimandare a casa, ma il suo agente insiste per dargli una seconda possibilità. Grande attore di teatro, al cinema non ha mai funzionato da star, e, alla fine, non funzionerà bene come Eli Wallach, anche se dona al film un aspetto alla Peckinpah che altrimenti non avrebbe avuto.

 

Nella grande scena iniziale coi tre killer fanno il loro esordio, accanto al canadese Al Mulock, fedele presenza leoniana, che ha il ruolo di Knuckles, quello che si fa sempre scrocchiare le dita, due celebri caratteristi americani, Woody Strode e Jack Elam. Woody Strode, che ha girato tanti film con John Ford, si commuove alla prima del film, “La prima volta che ho visto il film ero in Italia, e lo vedevo in italiano. Quando le luci si sono spente, ho detto a mia moglie Luana: “Adesso ci siamo, Mama”.

 

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La scena con la goccia d’acqua è stata una completa sorpresa. E i primi piani, non potevo crederci. Non ho mai avuto un primo piano a Hollywood. Tranne che ne I professionisti. Ne avevo tre in tutto il film. Sergio Leone mi ha inquadrato sullo schermo per cinque minuti. Quando la scena è finita, ho detto “Questo è tutto quello di cui avevo bisogno”.

 

Alla fine, come ringraziamento, quando incontra John Ford in America, gli fa spedire una foto autografata a Sergio Leone (“Papà, laggiù c’è un italiano che ama il West...”)”. Jack Elam ha detto invece a Stuart Kaminsky, contraddicendo quello che ricordano quasi tutti, anche perché c’è una discussione tra Donati e Argento su chi l’avesse ideata, che la scena della mosca non era prevista.

 

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La mosca, secondo Elam, si trovò per caso sul set e piacque tanto a Leone che filmò tutte le reazioni dell’attore per poi farne uno dei motivi chiave della sequenza. Secondo quasi tutti gli altri non è così. La scena della mosca era già nello script. Claudio Mancini ricorda che cercarono di usare una mosca falsa, ma non funzionava, allora, dopo aver cosparso di marmellata la faccia di Elam, provarono con una vera e funzionò.

 

Al Mulock, invece, ha la buona idea di suicidarsi buttandosi dalla finestra a un giorno dalla fine delle sue riprese, con tanto di abito di scea. Mickey Knox ha ricordato che lui e Claudio Mancini lo videro volare dalla loro finestra e poi lo ritrovarono a terra, moribondo. Lo misero in macchina per portarlo all’ospedale e Sergio Leone urlò di recuperare il costume che aveva indosso, perché quando si era buttato si stava provando il costume.

 

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La stessa storia la racconta anche Sergio Donati. “Claudio Mancini, il direttore di produzione, accorso tra i primi a soccorrere il poveretto agonizzante, mi raccontava che si sentì tirare per la giacca, mentre una voce gli sussurrava imperiosa : "A Clà, il costume... Salva il costume!". Era Leone, che si preoccupava anzitutto di recuperare, magari all'obitorio come poi avvenne, gli abiti dell'attore che avrebbe dovuto fare ancora un giorno di riprese.

 

Il giorno dopo infatti fu utilizzata una controfigura, ovviamente di spalle o nei campi lunghi, per sostituire il morto. Però poi mi ricordo che ancora mesi dopo, in moviola, quando Sergio cercava di montare la sequenza della stazione gli mancava sempre una inquadratura con un primo piano del suicida. "'Sto stronzo..." ringhiava regolarmente Leone. "Non se poteva ammazzà ventiquattr'ore dopo ?".

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