LAPO L’APO-STATA – IL RAMPOLLO ELKANN DIVENTA EBREO: “TORNO ALLE RADICI” - QUATTRO GIORNI IN ISRAELE (“CHE SEMBRANO QUARANTA”) TRA MISTICA E MARKETING: “SONO PIÙ DURI E CAZZUTI” – CON PERES DISCUTE: DI COME COMUNICARE L’IMMAGINE DI ISRAELE NEL MONDO!…

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Francesco Battistini per il "Corriere della Sera"

Vestito di bianco, rosso malpelo, un giovane uomo s'avvicina al Muro del Pianto. L'accompagna un rabbino. Ha una stella di David tatuata sull'avambraccio. Si chiama Lapo Elkann e si sente finalmente a casa: «Mio padre è ebreo, mia mamma no. E io mi sto convertendo all'ebraismo».

LAPOV ELKANN - copyright pizziLAPOV ELKANN - copyright pizzi

Lo dice senza farsi pregare: «L'ho deciso un anno fa. È un mondo dove sono me stesso: l'ho lasciato da parte per quasi tutta la mia infanzia e fino a 18 anni la mia vita religiosa, se così possiamo chiamarla, era tutt'altro. Io nasco cattolico, poi mia madre si sposò con un russo ortodosso. Ma quella è una spiritualità che non ho mai sentito mia. Ora voglio diventare ebreo, anche se è molto difficile. Shmuel Rabinovich è una persona dolcissima, un rabbino che mi ha dato tre volte più forza per continuare. La forza che altri rabbini mi avevano tolto».

Quattro giorni in Israele. Che sembrano quaranta. Il nipote dell'Avvocato torna alle radici per «un viaggio personale». Per se stesso e le sue aziende, «conoscere una città che è capitale spirituale del mondo» ed «esplorare campi nuovi in un Paese che è un laboratorio». Incontra il sindaco di Gerusalemme e parla di cultura da produrre insieme. Va da Shimon Peres, «un'intelligenza superiore», e discute dell'immagine d'Israele da comunicare al mondo.

I TATUAGGI DI LAPO - copyright PizziI TATUAGGI DI LAPO - copyright Pizzi

E poi è da Tzipi Livni. E abbraccia il medico palestinese che ha perso tre figlie a Gaza. E rivà all'ospedale Tel ha-Sho­mer, per cui raccoglierà fondi. E vede designer, imprenditori: «Gli ebrei mi piacciono, sono gente diretta: ti dicono subito come la pensano. Lottano per una vita normale, come i palestinesi. E non si fermano mai. Hanno una forza che vorrei portare da noi. Perché noi siamo provinciali quanto loro, ma loro sono più duri e cazzuti».

Ebreo senza se e senza ma: «Sono consapevole degli attacchi, ce ne sono già stati. Ma non m'importa. Convertirsi all'ebraismo è un'apertura, non una chiusura. Sono stato nello studio di Peres, ho visto un Buddha e ho pensato che questo non m'impedirà di rispettare i buddisti o di lasciare ai miei figli, se ne avrò, libertà di scelta. Però sono a mio agio solo nell'ebraismo.

Perché si fa una preghiera comunitaria. E perché la preghiera è una benedizione. È un modo di guardare alla vita che mi aiuta». E in famiglia che dicono? «Ognuno ha una sua storia. I fatti belli o brutti ti fanno capire te stesso o ti distruggono. Io sono una persona sensibile, purtroppo o per fortuna: si vede, non posso na­sconderlo. Sono determinato, ma buono. Duro, ma vero. Devo andare a fondo nelle cose. Ed è così anche stavolta».

 

 

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