claudio sabelli fioretti

“LE INTERVISTE PIÙ BELLE LE HO FATTE AI CIALTRONI, AI MASCALZONI, AI NEMICI” – CLAUDIO SABELLI FIORETTI SPIEGA L'ARTE DELL'INTERVISTA: “SI PORTA A CASA L’ARTICOLO PERFETTO QUANDO SUL VOLTO DI CHI STAI SALUTANDO SI DIPINGE L’ESPRESSIONE ‘MA CHI È QUESTO COGLIONE?’. PER AVERE RISPOSTE ACCETTABILI BISOGNA PORRE DOMANDE BANALI” – CON BERLUSCONI: “GLI TOCCAI I CAPELLI PER SAPERE SE ERANO VERI E DOMANDAI LUMI SULLA SUA IDENTITÀ SESSUALE. SI DIVERTÌ” – E POI I  SOLDI (“HO CERCATO SEMPRE DI FARMI PAGARE IL GIUSTO E ANCHE L’INGIUSTO”), LA CONFESSIONE DI STEFANO GABBANA SUL “PETO” A LETTO, IL FALLIMENTO CON FILIPPO FACCI...

Estratto dell'articolo di Malcom Pagani per “D - la Repubblica”

 

claudio sabelli fioretti

Prima regola d’ingaggio: «Per ottenere il risultato serve tempo. In cinque minuti, non c’è dubbio, viene fuori un’intervista di merda». Claudio Sabelli Fioretti sostiene che per realizzare le sue impiegasse una settimana e che a un certo punto, dopo averne scritte a centinaia, poté più la perdita di senso che il digiuno: «Mi ritrovai a inseguire il ministro Bellanova, la renziana che da ragazza aveva lavorato come bracciante agricola, per più di un anno. “Domani, tra una settimana, tra un mese”. Mi feci delle domande e mi risposi che qualcosa non andava più per il verso giusto. Era forse passata l’idea che fossi una carogna? Uno di cui aver paura? Un sicario? Un imbroglione? Mi ero impegnato tutta la vita perché non succedesse.

 

Avevo sempre offerto la rilettura della conversazione ai miei interlocutori. Ero stato con loro, e dalla loro parte, fino a un minuto prima che il giornale andasse in stampa. Mi meritavo quell’orribile sospetto? No, non me lo meritavo. In pochi giorni mi passò il desiderio di colloquiare con Bellanova e anche la voglia di fare interviste in assoluto».

 

Sabelli Fioretti

A una prima occhiata superficiale, il più valente confessore degli ultimi decenni vive benissimo lo stesso. Mesi a Salina, dove Nanni Moretti palleggiava su un campo di pozzolana lanciando il pallone ai limiti del cielo, mesi a Lavarone dove il cielo fa rima con la solitudine e restituisce a domande e risposte il peso e l’altezza del bilancio definitivo. «Mi sono divertito a fare il mio mestiere? A volte moltissimo». 

 

Che mestiere è stato? 

«Non c’è volta in cui non abbia finito un’intervista e non mi sia sentito un miserabile. Sa quando si porta a casa l’articolo perfetto? Quando sul volto di chi stai salutando si dipinge un’espressione inequivocabile». 

 

Claudio Sabelli Fioretti

Quale? 

«“Ma chi è questo coglione che mi hanno mandato?” Per avere risposte accettabili bisogna porre domande banali. Quelle che molti miei colleghi con l’ansia di apparire intelligenti non fanno». 

 

Si è mai vergognato di porne una? 

«Mai. Il mestiere di giornalista ha una natura impudica, indiscreta e anche un po’ morbosa. Ma l’intervistatore ha un ruolo diverso. Viene da te, ti guarda negli occhi, ti ascolta. E se ha una curiosità legittima non può censurarsi. Se con la mia parte femminile, che valuto a spanne circa al quaranta per cento, vado da Domenico Dolce e Stefano Gabbana e non gli domando cosa significhi essere gay, non ho reso un buon servizio né a loro, né ai lettori, né a me». 

 

Glielo chiese?  

«Glielo chiesi. Poi Stefano mi rivelò con enfasi che considerava il peto a letto con un compagno come un atto d’amore e virai altrove». 

 

dolce e gabbana

Se ne andò? 

«Mi gettai a capofitto nel tema. Avendo aperto lui quell’orrendo argomento ritrarmi mi sarebbe parso scortese. Sono a modo, io, che crede?». 

 

Oltre al tempo, cosa serve a un bravo intervistatore? 

«Almeno un paio di registratori. Uno può sempre abbandonarti e non puoi permetterti di non imprimere la voce di chi intervisti. Una buona intervista è fatta di sospiri, silenzi, atmosfere, parolacce». 

 

[…]

 

Il luogo in cui fare l’intervista perfetta è importante? 

paolo mieli foto di bacco

«Molto. Mai in un bar, in un ristorante, in una hall. L’intervistato deve sentirsi sempre un po’ a disagio, lontano dalle sicurezze e dalla vie di fuga. Il colpo di genio sarebbe stato farli venire a casa mia, ma non mi è mai riuscito. All’epoca dell’intervista con Battista, per dire, una casa non ce l’avevo nemmeno». 

 

Lei passa per essere venale. 

«È una menzogna e sono pronto a querelare. La verità è che ho sempre preteso troppo da me stesso e che, anche per presunzione, non riuscivo a sopportare l’idea di scrivere una brutta intervista. A volte le rileggo e mi dico: “cazzo, ma quanto ero bravo?”». 

 

I soldi, dicevamo.  

«Ero bravo e quindi ho cercato sempre di farmi pagare il giusto e anche l’ingiusto. Lavoravo come un pazzo, mi rendevo conto di non avere un solo giorno libero per me e mi feci sentire con i miei direttori per guadagnare ciò che mi sembrava corretto. Almeno quanto un grande inviato del Corriere». 

 

toni capuozzo

Le diedero retta? 

«A volte sì, altre meno. Con Paolo Mieli esagerai». 

 

Dialogo con Mieli? 

«“Paolo, ascoltami: voglio il doppio di quello che mi paghi adesso e voglio anche lavorare la metà”. “Sei pazzo”. “Allora basta, smetto”. Effettivamente smisi, ma dopo un paio di mesi Mieli mi richiamò: “Ci ho riflettuto. Ti do il doppio e ti faccio lavorare un po’ di meno”. “Eh Paolo mio, ora è un problema: ormai mi sono abituato all’ozio. Voglio quattro volte tanto”. Mi mandò a fare in culo e fece bene». 

 

[…]

 

Claudio Sabelli Fioretti e Anna Falchi

Lei scialava? 

«Come un sultano. Una volta, da direttore di Panorama Mese, mandai in giro per un mese Toni Capuozzo a bordo dei treni regionali per raccontare l’Italia minore. Oggi un qualsiasi editore mi farebbe interdire». 

 

Parliamo degli editori? 

«Nel declino della carta stampata hanno grandi responsabilità. Hanno scoperto che al pubblico italiano non frega un cazzo di un giornale fatto bene e hanno agito di conseguenza. Prima hanno chiuso le sedi all’estero, poi hanno eliminato gli inviati, infine hanno falcidiato le grandi firme. Di risparmio in risparmio il giornale è diventato brutto. Diciamocelo: i giornali fanno schifo».

 

Ieri? 

«C’erano aspettative enormi, quasi dickensiane. Essere intervistati da un grande giornale aveva una sua sacralità, vendere copie non era una chimera, contare qualcosa non suonava eretico. Sa perché Formenton fece morire Panorama Mese? Perché vendeva solo centomila copie». 

 

lamberto sechi

Direttori di talento? 

«Il più bravo di tutti era Lamberto Sechi. Chiedeva cose impossibili. Un po’ come Carlo Rognoni e Giulio Anselmi, persone di una certa ruvidezza, non si accontentava della cornice, delle parole eleganti, degli aggettivi, ma voleva le notizie. Mirava al sodo. Anche e soprattutto nelle interviste. Poi era un po’ fanatico, anche». 

 

Fanatico? 

«Mi mandò a parlare con Panatta, Barazzutti e con tutta quella squadra magica che a Santiago del Cile, nel 1976, aveva conquistato la Coppa Davis nel paese di Pinochet. Consegnai il pezzo e lui me lo rimise nelle mani: “Non va bene, riscrivilo”. Così per quattordici volte. Alla quattordicesima decise di non pubblicarlo. Andavano così le cose, un tempo». 

 

E andavano meglio? 

«Sechi ci insegnò che se insisti e non ti arrendi riesci a carpire qualsiasi particolare. Un insegnamento che ho fatto mio». 

 

filippo facci

Con qualcuno ha fallito? 

«Con Filippo Facci restai per mezza giornata. Aveva un linguaggio così involuto e contorto che era impossibile capire cose volesse dire davvero. Alla quinta ora finsi un malore. Dopo trecento minuti, anche per l’intervistatore più fiducioso nel genere umano, l’eventualità della morte non è così peregrina». 

 

D’Alema, Totti, Fiorello. Qualcuno non si è voluto far intervistare. 

«Per fortuna, in extremis, ho recuperato Berlusconi. Con Giorgio Lauro – gliel’ho detto che sono presuntuoso, no? – gli abbiamo fatto la migliore intervista che abbia ricevuto in vita sua. Berlusconi era quello che mandava le cassette registrate alle tv, una cosa ripugnante, per non ricevere domande scomode. Con noi, in radio, fu spiritoso, spiazzante, bravissimo. Era estasiato dall’idea di essere finalmente intervistato da due che gliele cantavano. Lauro gli chiedeva se poteva mettergli le manette, io gli toccavo i capelli per sapere se erano veri e domandavo lumi sulla sua identità sessuale. Berlusconi si è divertito». 

 

Meloni si sarebbe divertita? 

Sabelli Fioretti

«Con Giorgia sono arrabbiato. Da lei mi divide tutto, ma abbiamo ottimi rapporti. Quando è diventata primo ministro le ho scritto subito. Le ho detto “Giorgia è arrivato il momento in cui dai l’intervista con la I maiuscola, non ti mettere nelle mani di quei cialtroni che vengono a farti i salamelecchi, fatti intervistare da uno che non ha riverenze”. Mi ha risposto con una battuta, non ha voluto». 

 

Ce l’ha con lei per questo? 

«Ce l’ho con lei perché non è voluta passare alla storia facendo vedere che la destra può anche essere meglio della sinistra. Avrebbe potuto prendere la Rai e rivoluzionarla e invece ha fatto come avrebbe fatto chiunque altro. Chi sta in alto teme il confronto, ma è un errore. Se il tuo intervistatore non è genuflesso, ti fa un piacere. Tu ci guadagni. Dovrebbero pagarti e invece, di sottoporsi a una vera intervista, non ne vogliono sapere. La stampa è il nemico. Lei mi ha ricordato che D’Alema non si volle mai far intervistare da me, ma forse ha dimenticato cosa diceva D’Alema: “Lasciate vuote le edicole. Non comprate i giornali”. Una cosa mostruosa». 

 

[…]

 

Chi è davvero l’intervistatore? 

GIORGIA MELONI

«La persona più schietta che esista al mondo». 

 

Le interviste più belle? 

«Senza ordine d’importanza né sovrapposizioni: ai cialtroni e ai mascalzoni senza pudore, alle donne, a quelli di destra, agli antipatici, ai nemici». 

 

Agli amici? 

«Mai intervistare un amico. All’amico vuoi bene, se dà una risposta sbagliata tendi a correggerla. Con chi non conosci è diverso: se cadi in errore ti prendi le tue responsabilità». 

 

È stato onesto? 

«L’accezione è troppo ampia. Quando mi sedevo di fronte a qualcuno, in principio ero molto disonesto. Mi immedesimavo con lui: che fosse magliaro, mafioso o assassino e gli facevo credere di essere da sempre il suo migliore amico. Era una truffa, una truffa riuscitissima. Il mezzo usato aiutava. Se intervisti la Mussolini in tv non puoi dirle che sei fascista, ma se ti trovi in una stanza con lei puoi farle credere di essere un po’ di destra anche tu». 

 

Il dottore Marino visita Claudio Sabelli Fioretti

Le chiedevano di non scrivere certe cose e lei le rimetteva regolarmente in pagina. 

«“Non le scrivere, per carità”. Io scrivevo la raccomandazione, la mia rassicurazione “figurati se lo scrivo” e poi la frase incriminata. Loro rileggendola si divertivano e poggiando su questo espediente patetico, quasi una piccola sindrome di Stoccolma, non c’era verità che non finisse in pagina». 

 

 È passata già un’ora e mezza. Altre tre ore e seguendo il suo schema celebriamo le esequie. 

«Non è il caso, sono anche scaramantico».

claudio sabelli fioretticlaudio sabelli fioretti

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