Valeria Arnaldi per ilmessaggero.it - Estratti
“Se io non voglio, tu non puoi” è la nuova campagna lanciata dalla Fondazione “Una Nessuna Centomila”, in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne. In primo piano, il diritto a dire “no” - sempre - ribadito e, illustrato da più nomi noti. Donne e uomini. Tra i protagonisti, Noemi, già da tempo impegnata con la Fondazione.
Come è nata la collaborazione?
«Era il 2019. Fiorella Mannoia mi ha invitata a un evento alla Casa delle Donne. Ho cantato con lei. Anna Foglietta ha recitato un monologo. E c'erano molte altre artiste. È stato l'inizio di tutto. Poi ho preso parte ai concerti e alle altre iniziative».
La campagna mette al centro il “no”: oggi è ancora complesso dirlo?
«Dopo la liberazione sessuale, colpisce che certe dinamiche di possesso siano presenti tra i nati nel 2000. Pensavo che per un genitore nato dopo il 1980 fosse assodato che il rapporto uomo-donna dovesse essere diverso. Mi spaventa il ritorno indietro. È un campanello d'allarme. Per tutti».
Nella campagna della Fondazione, figurano anche uomini.
«Non è solo un discorso di donne, intervenire è un'esigenza della società. Anche gli uomini sono vittima della visione patriarcale e machista. E di quegli stereotipi fanno le spese, rinunciando a una parte di emotività.
In passato ha detto di essere stata vittima di un legame tossico.
«Sì, ne esistono di tanti tipi, tra amore, amicizia, famiglia. La possibilità che situazioni di questo tipo si verifichino è più alta per persone molto sensibili, insicure, un po' sole che hanno dunque meno forza di reagire. Anche perché affrontare tali dinamiche spesso è difficile e di fronte a una montagna da spostare magari si preferisce mantenere un apparente stato di serenità. Oggi però è diverso...».
In che modo?
«Si può chiamare il 1522 e ci sono i centri anti-violenza. A volte riconoscere il problema non basta, perché non si sa come uscirne. Sapere che ci sono altre persone capaci di aiutarti è fondamentale».
NOEMI
Estratti da vanityfair.it - Estratti
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Fino a oggi. L’ha agitata di più il primo ciak o il palco dell’Ariston?
«Di sicuro Sanremo! Lì sono i tre minuti della verità, devi eseguire il tuo brano come lo canti nel disco, altrimenti non arriva al pubblico. Sul set hai il tempo: di ripetere, di capire, di studiare il regista».
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Quanto ha inciso la sua metamorfosi, ovvero la trasformazione fisica e mentale di qualche anno fa, nella scelta di recitare?
«Embè, tanto. Ma non perché ora mi vedo meglio: il corpo è solo la manifestazione lampante di un cambiamento che è principalmente interiore. Prima di quel cambiamento sembravo una camera così in disordine da non riuscire a trovare niente. Non trovavo più me stessa. Ho rimesso le cose a posto. Se non l’avessi fatto, non sarei mai uscita dal seminato della musica. Certo, io resto la mia voce più che il mio corpo, però amarlo è un plus importante».
Che cosa ha scoperto di sé nei panni di un’altra donna?
«Ho scoperto che vorrei essere più risoluta, che non guardo abbastanza le persone negli occhi per paura di invadere il loro spazio».
E degli adolescenti, che cosa ha scoperto attraverso Adorazione?
«Crescono alla velocità della luce, spesso perché hanno genitori che si comportano da amici e allora sono i ragazzi a dover fare gli adulti. Sono impauriti, fragili, stanchi, ma vibrano per le cause giuste».
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