gian arturo ferrari

“LA MIA STORIA CON MONDADORI INIZIO’ CON UN CORTESE RIFIUTO. IL MIO CURRICULUM FU CESTINATO” - L'EX DIRETTORE GENERALE E VICE PRESIDENTE DELLA CASA EDITRICE GIAN ARTURO FERRARI APRE LE VALVOLE: "BORINGHIERI MI PRESE PERCHÉ SAPEVO IL GRECO, RISCHIAI IL POSTO PER PUBBLICARE ‘I VERSETTI SATANICI’. BERLUSCONI NON INTERFERIVA, SI SENTIVA IN SOGGEZIONE – IL RIMPIANTO PIU’ GRANDE? JURASSIC PARK" – QUANDO FERRARI SFILO’ A ROBERTO SAVIANO LA PATERNITA’ DI “GOMORRA”: “IL LIBRO È NATO FIGLIO DI NUMEROSI PADRI E MADRI, DI UN LAVORO DI SQUADRA…”

 

https://m.dagospia.com/gian-arturo-ferrari-per-anni-al-vertice-di-mondadori-sfila-la-paternita-di-gomorra-a-saviano-335419

 

 

gian arturo ferrari

Filippo Maria Battaglia per "la Stampa" - Estratti

 

 Ha trascorso una vita tra i libri, e la metà di quella vita l'ha trascorsa in Mondadori. Da lì, Gian Arturo Ferrari è entrato e uscito quattro volte, ha iniziato come editor ed è arrivato a fare il direttore generale, chiudendo poi come vicepresidente. Eppure, come racconta a La Stampa mentre si siede su una chiavarina nera del suo studio, quella storia è iniziata con un «cortese rifiuto».

 

«Mi ero diplomato al liceo Berchet di Milano e pensavo che i miei ottimi voti fossero il perfetto passepartout per entrare in editoria. Non sarebbe stato ovviamente così», spiega, tenendo tra le mani la lettera in cui la direzione del personale - era il 1963 - declinava la sua richiesta ma garantiva di «prenderla in considerazione nel caso di favorevoli circostanze future».

gian arturo Ferrari Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio)

 

 

(…)

Ha sempre voluto fare l'editore?

«Leggere era ciò che mi piaceva di più. E dell'editoria mi incuriosiva la macchina: come fare i libri».

 

Alla Est però non li sceglieva e non li pubblicava. Andò così a Torino alla Boringhieri.

«Il suo fondatore, Paolo, mi prese perché sapevo il greco che lui, da ingegnere, non conosceva. Subito dopo vinsi il concorso per assistente all'Università di Pavia, dove mi ero laureato. Andai a salutarlo, mi chiese: "Quanto sarà occupato?". "Due o tre giorni a settimana". E lui: "Allora gli altri venga qui"».

 

.

(...)

A proposito di Calasso, che ricordo ne ha?

«Un uomo con una grande vis comunicativa. Si costruì molto presto il suo mito e poi con altrettanta bravura riuscì a diffonderlo».

gian arturo Ferrari

 

L'offerta giusta arrivò invece da Mondadori, come editor di saggistica.

«Sì, anche se all'inizio non volevo andare. Disprezzavo quell'editoria, mi sembrava troppo commerciale, ma accettai per due ragioni: pagavano bene e l'ambiente era poco austero. Passai da un convento a un luna park. Dopo un anno mi trovai a coordinare gente che aveva trent'anni più di me, ma in uno spazio sempre più ristretto, in cui dovevo fare all'occorrenza da capro espiatorio».

 

Per questo nel 1986 andò alla Rizzoli?

«Sì. C'era tanta brava gente, senza il senso di innata superiorità dei loro simili mondadoriani. Ma avvertivo anche una specie di odore di disfacimento. Ricordo ancora i mobili scompagnati lungo questi interminabili corridoi fantozziani, e infatti proprio lì si era girato il primo "Fantozzi"».

GIAN ARTURO FERRARI

 

È vero che quando, due anni dopo, tornò a Segrate da direttore editoriale, firmò il contratto a cena?

«Ero insieme a Marco Polillo, che sarebbe diventato direttore generale, nella casa milanese di Carlo De Benedetti, allora proprietario di Mondadori. Arrivati al dolce, non fece l'offerta: tirò fuori direttamente i contratti già compilati. E appena li firmammo, si congedò: "Scusate, domattina devo essere presto a Ivrea"».

 

Fu proprio De Benedetti che lei cercò per evitare che Mondadori bloccasse la pubblicazione dei "Versetti satanici" di Rushdie dopo la fatwa dell'ayatollah Khomeini.

gian arturo ferrari

«Scavalcai tre livelli gerarchici, sarei potuto essere licenziato in tronco. Ma non ebbi dubbi, e non solo per motivi economici: non si può emettere una condanna a morte per ciò che è scritto in un libro».

 

Rimase in Mondadori anche con l'arrivo di Berlusconi. Interferiva?

«No. È curioso dirlo, ma in realtà si sentiva in soggezione di fronte a quelli che facevano i libri. Nella sua visione, in alto c'erano i "fondatori" (tra i quali si annoverava), poi gli "imprenditori" e, subito sotto, gli "specialisti": quelli, cioè, che sanno fare un mestiere. Una vasta categoria che andava dai centravanti alle manicure, fino a chi faceva libri appunto».

 

Con la sua «discesa in campo» molti annunciarono di andare via. Gli unici che lo fecero furono Walter Veltroni e Sandro Veronesi.

«Il primo non poteva fare altrimenti, il secondo fu per noi una perdita dolorosa.

Sandro è stato il più paziente nel costruirsi e anche il più fortunato: coi suoi romanzi ha incontrato una vena profonda del gusto italiano, specificamente romano».

gian arturo ferrari

 

Di autori però, grazie ad Antonio Franchini, allora a capo della narrativa italiana, ne trovaste moltissimi: Piperno, Giordano, D'Avenia.

«Con le peggiori intenzioni fu un grande esordio. Piperno era molto timido, una volta per discutere il contratto si presentò con il padre, abituato al commercio internazionale di tessuti».

 

E Saviano?

«Il merito della scoperta fu di Helena Janeczek e Edoardo Brugnatelli. Quando lo incontrai, vidi un ragazzo candido e spontaneo. Ci intendemmo subito».

Ha detto: «Meglio un buon titolo e nessun libro che un buon libro e nessun titolo».

 

Un esempio?

gian arturo ferrari

«Ero in Rizzoli quando Mario Capanna, uno dei leader del ‘68, mi propose un'autobiografia. Dubitavo, provò a convincermi: "Anche il tassista che mi ha portato qui mi ha detto che quelli erano anni formidabili'". Mi scossi. Formidabili quegli anni era un titolo perfetto, e infatti vendette parecchio».

 

Il rimpianto più grande?

«Michael Crichton. Per sottrarlo alla Garzanti offrimmo alla sua agente di comprare a scatola chiusa il prossimo romanzo. L'accordo era chiaro: avrebbero fatto loro il prezzo ma non avremmo partecipato a rilanci. Garzanti fu però informata e pareggiò l'offerta. Ci chiesero un rialzo, dissi di no. Il libro ignoto era Jurassic Park».

 

(...)

roberto saviano gomorra

 

A Segrate la chiamavano «Professore».

«Perché nel frattempo professore, di Storia del pensiero scientifico, lo fui per davvero: all'Università di Pavia. Mi dimisi nell''89: erano due destini che alla lunga si rivelarono incompatibili».

 

Le piaceva essere adulato?

«Certo. Anche se per fortuna, all'interno di Mondadori, l'adulazione non era poi così diffusa».

 

roberto saviano

Dicono che fosse un capo molto esigente.

«Lo ero. Non ho mai sopportato le retoriche del mondo editoriale, in primis quella di sentirsi migliori per il solo fatto di pubblicare libri. È un modo subdolo di rivendicare una specie di aristocrazia. E io non sono un filo-aristocratico, ma un democratico, vero».

gian arturo ferrari con dagogian arturo ferrari gian arturo ferrari e dago

Ultimi Dagoreport

maurizio belpietro giorgia meloni francesco saverio garofani

A CIASCUNO LA SUA “VERITÀ” - L’ARTICOLO PUBBLICATO DAL QUOTIDIANO DI BELPIETRO SUL "PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” È PRATICAMENTE IDENTICO ALLA MAIL RICEVUTA DA MOLTI ALTRI QUOTIDIANI, DA UN ANONIMO CHE SI FIRMAVA "MARIO ROSSI", CHE HANNO DECISO DI IGNORARE LA VICENDA PERCHÉ NON VERIFICABILE - PERCHE' BELPIETRO HA DECISO DI DARE SPAZIO E RISALTO A UNA STORIA COSI' AMBIGUA? HA IN MANO ANCHE UN AUDIO O CI SONO ALTRE RAGIONI? DI CERTO, L'EX ALLIEVO DI VITTORIO FELTRI È UN PO' IN DIFFICOLTÀ: LE COPIE VENDUTE DAL SUO GIORNALE CALANO E "LA VERITÀ" STA DIVENTANDO POST-VERITÀ, CON LO SPAZIO CONCESSO A COMPLOTTISTI, NO VAX E PUTINIANI - FORSE CREARE UN PO’ DI CACIARA CON IL GAROFANI-GATE SERVE A RIPORTARE IL QUOTIDIANO SOTTO I RIFLETTORI - DI SICURO HA FATTO UN FAVORE A GIORGIA MELONI. DEL RESTO, FU LEI NEL 2023 A OPPORSI ALLA VENDITA DEL GIORNALE AD ANGELUCCI, E A TROVARE IN FEDERICO VECCHIONI, AD DI "BONIFICHE FERRARESI" E CARO A LOLLOBRIGIDA, IL "SALVATORE" PRONTO A RILEVARE IL 25% DELLA SOCIETA' EDITRICE BY BELPIETRO - DA ALLORA FIOCCANO INSERZIONI DELLE PARTECIPATE E PEZZI PRO-GIORGIA...

matteo salvini giorgia meloni donald trump vladimir putin sergio mattarella

DAGOREPORT - COME MAI GLI ARTICOLI DELLA “VERITÀ” SUL “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” ARRIVANO IL GIORNO DOPO LA RIUNIONE DEL CONSIGLIO SUPREMO DI DIFESA, DI CUI GAROFANI È SEGRETARIO, IN CUI SI È RIBADITA LA LINEA DI “PIENO SOSTEGNO ITALIANO ALL’UCRAINA”? - LA LINEA PRO-KIEV DI GIORGIA MELONI SI E' AFFIEVOLITA DA TEMPO (HA MESSO IN “PAUSA” L'ADESIONE DELL'ITALIA AL PIANO PURL PER LE ARMI USA A KIEV) E SALVINI E' IL SOLITO "FIGLIO DI PUTIN" CHE SI OPPONE A OGNI SOSTEGNO A ZELENSKY - NON SOLO: MATTARELLA, ORMAI DA ANNI, INFIOCINA I SOVRANISMI DI MEZZO MONDO, HA PIU' VOLTE CRITICATO TRUMP, PUTIN, ORBAN, NETANYAHU E AFD (GUARDA CASO TUTTI AMICI DI MELONI E SALVINI) - SE L'AUDIO DI GAROFANI ESISTE, E CERTIFICA UN "COMPLOTTO" E NON UN SEMPLICE RAGIONAMENTO POLITICO, PERCHÉ BELPIETRO NON LO PUBBLICA? IL COLLOQUIO DELL'EX DEPUTATO DEL PD È STATO CARPITO AL RISTORANTE IN UNA "CHIACCHERATA TRA AMICI". SE ESISTE L'AUDIO, CHI LO HA REGISTRATO? UN AMICO? UN PRIVATO CITTADINO CHE HA RICONOSCIUTO GAROFANI, NONOSTANTE FOSSE UN VOLTO POCO NOTO? O IL CONSIGLIERE DI MATTARELLA ERA "ATTENZIONATO"? DA CHI?

tommaso foti galeazzo bignami

CHIAGNI E FOTI – A VOLERE QUEL FENOMENO DI GALEAZZO BIGNAMI COME CAPOGRUPPO DI FDI ALLA CAMERA FU TOMMASO FOTI, CHE SCELSE IL CAMERATA BOLOGNESE COME SUO SUCCESSORE. QUANDO CI FU IL PASSAGGIO DI CONSEGNE, FOTI ASSICURÒ CHE NON AVREBBE POTUTO SCEGLIERE UN SUCCESSORE MIGLIORE (PENSA COM'ERANO GLI ALTRI PRETENDENTI) - DI SICURO BIGNAMI NON È MAI STATO TROPPO ISTITUZIONALE NEGLI INTERVENTI IN AULA: SPESSO PROVOCATORIO, OGNI VOLTA CHE PARLA IRRITA L'OPPOSIZIONE. PARE CHE UNA TELEFONATA DA PALAZZO CHIGI E UN CONSIGLIO “PATERNO” BY FOTI LO AVESSERO INDOTTO A MAGGIOR EQUILIBRIO. SINO A IERI…

sergio mattarella guido crosetto galeazzo bignami adolfo urso giorgia meloni

FLASH! - SULLA QUESTIONE GAROFANI-BELPIETRO, RIMBOMBA IL SILENZIO ASSORDANTE DI GUIDO CROSETTO. CHE LA LINEA DEL MINISTRO DELLA DIFESA E COFONDATORE DI FRATELLI D’ITALIA SIA PIÙ IN SINTONIA CON IL COLLE CHE CON I CAMERATI DI “PA-FAZZO” CHIGI DI VIA DELLA SCROFA, NON È UNA NOVITÀ. D’ALTRONDE, NEL 2022 FU MATTARELLA A VOLERE CROSETTO ALLA DIFESA, DOPO AVER BOCCIATO IL NOME DI ADOLFO URSO PROPOSTO DA MELONI. ED È SEMPRE STATO CONSIDERATO UN “INTERLOCUTORE” DEL COLLE, TANT’È CHE GUIDONE SMISE DI PARTECIPARE  AI CONSIGLIO DEI MINISTRI POICHÉ TUTTI DAVANTI A LUI TENEVANO LA BOCCUCCIA CHIUSA…

maurizio belpietro giorgia meloni galeazzo bignami francesco saverio garofani sergio mattarella

GIORGIA MELONI NON ARRETRA! DOPO L'INCONTRO AL QUIRINALE CON MATTARELLA, LA DUCETTA HA RIBADITO LA VERSIONE DEL CAMERATA GALEAZZO BIGNAMI: “RAMMARICO PER LE PAROLE ISTITUZIONALMENTE E POLITICAMENTE INOPPORTUNE DI FRANCESCO SAVERIO GAROFANI” – AL CONSIGLIERE DI MATTARELLA SARÀ SFUGGITA UNA PAROLA DI TROPPO, MA DA UNA BANALE OSSERVAZIONE POLITICA SUL CENTROSINISTRA AL GOLPE QUIRINALIZIO, CI PASSA UN OCEANO – PERCHÉ BELPIETRO NON PUBBLICA L'AUDIO IN CUI GAROFANI EVOCAVA UN “PROVVIDENZIALE SCOSSONE” (AMMESSO CHE LO "SCOSSONE" NON SI RIFERISSE AL CENTROSINISTRA)? SE LO FACESSE, LA QUESTIONE SAREBBE CHIUSA: PER GAROFANI SAREBBE DIFFICILE RESTARE AL SUO POSTO – IL QUIRINALE AVEVA FATTO SAPERE CHE DOPO L’INCONTRO CI SAREBBE STATO UN COMUNICATO. PER ORA L’HA FATTO LA MELONI: CI SARÀ UN’ALTRA NOTA DAL COLLE? - BIGNAMI INSISTE: "CI HA SORPRESO LA REAZIONE SCOMPOSTA DEL PD, GAROFANI HA CONFERMATO I CONTENUTI E NON HO VISTO PIATTI VOLARE DAL QUIRINALE..."