Cristiana Lauro per Dagospia
Che cosa conta di più per i clienti dei ristoranti? Quali sono i parametri di valutazione in ordine di importanza? La cucina, il servizio insieme alla cantina, e poi l’ambiente. Più o meno funziona così.
Il punto di vista del cliente è fondamentale, a patto che non si proponga come censore o sostituto della critica specializzata. Soprattutto a condizione che conosca le regole da rispettare che cominciano dal momento della prenotazione del tavolo.
Prima di esaminare il lavoro degli altri, i clienti dovrebbero imparare a fare i clienti.
Mangiamo sempre meno a casa e sempre più spesso al ristorante. Inoltre ognuno può esprimere il suo talento di gastronomo in rete attraverso i social o i siti come Tripadvisor - il più seguito sul genere in tutto il mondo - che possono condizionare le sorti di attività per niente facili da portare avanti.
Soprattutto in ambiente enogastronomico, oggi ognuno è libero di mettere bocca a piacimento sul lavoro degli altri. Il personale di sala è quello più colpito in molti casi e, in aggiunta allo stress, deve fare anche da filtro con la cucina che può avere difficoltà con l’uscita dei piatti a causa dei clienti che non si sanno comportare. Gente che paga per pretendere. Viene il dubbio che escano di casa apposta, in certi casi.
Si fa presto a parlare giocando a fare gli influencer con addominali, cosc’e patate al vento sui social, mentre nelle cucine, dietro ai banconi o in sala gli altri si smazzano fatiche bestiali con orari assurdi e vite private che, tante volte, è come se non esistessero.
Per inciso, vorrei ricordare alle aziende che si affidano a certe figure sui social considerandoli “influencer”, che la possibilità di influenzare il mercato - questo vale anche per altri settori - non si misura a taglie come le coppe dei reggiseni. La scala è un’altra e ha a che fare con la competenza, l’autorevolezza e la conseguente reputazione del soggetto.
de sica pozzetto ricky e barabba
Se il Gastronauta Davide Paolini, o Aldo Fiordelli suggeriscono un’ottima trattoria, molti clienti appassionati di buona tavola la proveranno, a partire dalla sottoscritta. Vale per i ristoranti indicati dai Vizzari, Luigi Cremona o da Paolo Marchi, da Andrea Grignaffini, Paola e Gianni Mura, Elsa Mazzolini, Anna Morelli, Lorenza Fumelli, Eleonora Cozzella, Orazio Vagnozzi, Alberto Cauzzi, il critico mascherato Valerio M.Visintin, Clara Barra, Allan Bay e diversi altri. Sono tanti i nomi, ognuno scelga il suo, ma non si tratta di “influencer” comunemente intesi dal senso dei social e soprattutto di Instagram. La confusione semantica sull’argomento conseguente a traduzioni, adattamenti e usi è più che evidente. D’altra parte i “social” sono spesso un covo di serpenti tutt’altro che inclini alla socievolezza, anche lì “grande è la confusione sotto il cielo...” (Cit).
Difficile mettersi nei panni dei ristoratori. Qualcuno tira avanti per la sua strada, sulla base di una reputazione costruita negli anni molto più solida di tanto ciarlare. Qualcun altro se la prende a male e non ci dorme la notte. E poi, però, c’è anche chi chiude.
Per carità, forse come ristoratore non aveva il tiro porta, ma la pletora di pisquani aspiranti a una vita da giudice come quelli che vedono in TV, di certo non l’ha aiutato.
E’ bene chiarire inoltre che in televisione e sulle testate giornalistiche i nomi chiamati a esprimersi non sono scivolati lì per caso quindi - piacciano o meno - si tratta di figure competenti e di settore che non transitano in zona perché la nonna cucinava bene.
Il cliente paga un servizio, non la proprietà del locale, del contesto e del momento che si trova a condividere con altri. Pertanto deve imparare a comportarsi da cliente. Mi pare che nei musei e al cinema il concetto sia già abbastanza chiaro. Proviamo ad estenderlo anche ai negozi, ai bar ai ristoranti. Ai locali in generale e, aggiungo, anche ai tassì. Perché non è sempre colpa dei tassisti. Imparare ad essere clienti è un po’ uno stile di vita che fa stare meglio sia il cliente che l’esercente e i suoi dipendenti, ovvero i lavoratori. Ne traggono vantaggio tutti.
Valeria Carola è comproprietaria con Fabrizio e Roberto di Barnaba, forse il locale di maggiore successo aperto nell’ultimo anno a Roma. Potrei definirlo Wine Bar ma alla fine, per struttura, attrezzature e proposte è un ristorante a tutti gli effetti. Barnaba è entrato nel cuore di un sacco di appassionati di vino e cucina che non vivono per farsi notare e amano spendere il giusto, quindi è un buon esempio per la mia riflessione sul ruolo del cliente.
Son buoni tutti a comportarsi bene in un ristorante stellato, e a dire il vero anche negli stellati ho assistito a comportamenti imbarazzanti da parte del pubblico. Ma la misura va presa su locali di prezzo medio, accessibili un po’ a tutti e dove il cliente non percepisca la minima soggezione del contesto esclusivo che mediamente non gli appartiene.
Mi ha colpito un post di Valeria Carola su Facebook. Una specie di codice del cliente che riporto fedelmente perché ne condivido in pieno la sostanza.
Valeria Carola da Facebook
“Consapevoli dei problemi, abbiamo costruito un posto che, a partire dalla struttura del menù a finire con il portaconto, fosse improntato alla massima libertà e “informalità”. Ovviamente questo non giustifica errori e non succederà mai che i ragazzi al grido “liberté’ e informalité’” vi porteranno le polpette di bollito al posto del prosciutto. Detto ciò, dopo un anno dall’apertura sono arrivata a una conclusione. Una sala, al netto della professionalità dei dipendenti, funziona davvero bene quando i clienti sono educati. Per esempio ...
1. Se prenotate per quattro persone e arrivate in sei, uno dei ragazzi perderà tempo a spostare il tavolo invece di portare l’acqua al tavolo 3 che la solleciterà alla ragazza che stava portando il pane al tavolo 5 e, a quel punto, dovrà andare a prendere l’acqua da portare al tavolo 3 insieme al pane per il tavolo 5, mentre il tavolo 12 aspetta i menù.
2. Esiste differenza tra “fa schifo” e “non mi piace”. Se dite fa schifo uno dei ragazzi deve andare in cucina - che da noi è al piano di sotto - e assicurarsi che non abbiano messo lo zucchero nel bollitore della pasta. I cuochi dovranno assaggiare il piatto e ritarderanno a preparare il pollo fritto del tavolo 3.
3. O fate i clienti o i camerieri. Quindi se, comprensibilmente, pretendete che siano i ragazzi a portarvi i piatti dalla cucina -che è sempre al piano di sotto - dovete pretendere che siano sempre loro a spostare tavoli e sedie. Se e’ possibile non fatelo voi.
4. Se dopo un minuto che siete seduti vi sbracciate per ordinare passando davanti a tutti e poi succede che: “prendo le polpette, no anzi il club sandwich. Ah, tu prendi la pasta, allora anche io... però certo il club sandwich...” avete fatto perdere a un cameriere 15 minuti e fatto morire disidratati quelli del tavolo 3 che aspettavano l’acqua.
5. Se mettete ansia a un cameriere dicendogli che aspettate un piatto da più di mezz’ora, egli - pur consapevole che sono passati 8 minuti - andrà in cucina a implorare i cuochi di preparare in fretta la vostra comanda. E indovinate chi aspetterà più tempo? Il tavolo 3 che aveva il secondo piatto in uscita.
6. I bambini devono essere educati senza se e senza ma. Se il locale e’ pieno non ci possono correre dentro perché poi succede che fanno inciampare il cameriere e poi...cacchio, e’ caduta l’acqua del tavolo 3!
7. L’imperativo usatelo con i vostri cani per farvi riportare la palla, non con i ragazzi della mia sala che vi portano lo champagne al tavolo.
8. Se sporcate il bagno, uno dei ragazzi dovrà andare a pulirlo. E indovinate chi sta aspettando per ordinare il dolce? Il tavolo 3.
cristiana lauro cristiana lauro
Insomma, cari clienti, siate educati per favore. Perché anche voi potreste essere il tavolo 3”.