IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - SE NE VA A 89 ANNI ROBERT TOWNE, LA PENNA PIÙ FINE DI HOLLYWOOD, SCENEGGIATORE DI GRANDI FILM INNOVATIVI COME “L’ULTIMA CORVÉ”, “SHAMPOO”, "YAKUZA" - VINSE UN OSCAR PER IL SUO FILM PIÙ CELEBRE, “CHINATOWN”. PER NON PARLARE DI QUANTI COPIONI RIVIDE E SALVÒ, DA “BONNIE AND CLYDE” A “IL PADRINO”. È SUA LA SCENA DI MARLON BRANDO CHE SPIEGA AD AL PACINO COME SI RICONOSCONO I TRADITORI - IL PRODUTTORE ROBERT EVANS DISSE CHE È MEGLIO AVERE 5 FILM SCRITTI DA TOWNE CHE 5 FILM CON ROBERT REDFORD - VIDEO

Marco Giusti per Dagospia

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Hollywood perde il suo più grande sceneggiatore degli anni del suo rinnovamento, quelli che dettero vita alla New Hollywood di fine 60 inizio 70. Los Angeles perde lo sceneggiatore che più di chiunque l’abbia saputa descrivere, tra due capolavori come “Chinatown” e “Shampoo”. Jack Nicholson, Warren Beatty, Tom Cruise, Lee Grant, perdono un amico che avrebbe potuto risolvere qualsiasi problema di scrittura. Per non parlare di quanti copioni rivide e salvò, da “Bonnie and Clyde” a “Il Padrino”, è sua la scena di Marlon Brando che spiega a Al Pacino come si riconoscono i traditori, da “Marathon Man” a Armageddon”.

 

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Insomma. Se ne va a 89 anni Robert Towne, la penna più fine di Hollywood, sceneggiatore di grandi film innovativi come “L’ultima corvé”, “Shampoo”, Yakuza”. Vinse un Oscar per il suo film più celebre, “Chinatown” diretto nel 1974 da Roman Polanski, scritto mentre stava sul set di “Drive, He Said”, opera prima da rimettere a posto del suo amico fraterno Jack Nicholson con l’idea di raccontare come era davvero Los Angeles, la città dove erano cresciuti.

 

A Towne, nato a San Pedro, Los Angeles, nel 1934 come Robert Beltram Schrartz, Towne era il nome del negozio che aveva il padre, non interessava tanto l’intreccio giallo, non aveva mai letto Raymond Chandler, ma era cresciuto in vari quartieri della città, soprattutto nella più malfamata Palos Verde, poi al Pomona College, e sia lui che Jack Nicholson, amici e compagni di stanza, avevano frequentato i corsi di recitazione di Jeff Corey, attore comunista blacklisted, per poi ritrovarsi giovanissimi alla corte del King of B’s Roger Corman.

 

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E’ lì che Jack Nicholson diventa attore e Robert Towne inizia a scrivere. “Ho sempre pensato che sarei diventato un scrittore”, rivela in un’intervista al “Boston Globe” del 1974, “Ho cominciato a scrivere i primi racconti quando avevo 5 o 6 anni”. Così si presenta a Corman e gli dice che vuole scrivere. E Corman realizza il suo sogno. Il primo film che scrive, perduto e mai uscito, si intitola “Fraternity Hell Week”. Seguito nei primi anni ’60 da “L’ultima donna della terra” e “Creature of the Haunted Sea”, girato in Porto Rico, dove è pure attore, “I diavoli del Gran Prix”, tutti firmati da Roger Corman.

 

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Per “La tomba di Ligeia”, un film girato da Corman in Inghilterra, molto più ricco e ambizioso, Towne chiede a Corman di non metterci Vincent price come protagonista. Corman si scusa quasi con lui e gli dice, al telefono “Abbiamo preso Vincent, ma è ok. Abbiamo preso anche il truccatore di Marlene Dietrich”. E’ grazie al lavoro fatto sui piccoli film di Corman, che viene chiamato per riscrivere “Bonnie and Clyde” di Arthur Penn, ufficialmente scritto da David Newman e Robert Benton, il primo dei tanti film che scriverà, anche segretamente, per il suo amico Warren Beatty. Sono proprio Penn e Beatty a spalleggiarlo nel riscrivere molte scene e la struttura stessa del film.

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“Una volta che una scena era scritta, non c’era nessun cambiamento nei dialoghi. Nessuna improvvisazione. Era uno dei film meno improvvisati al mondo”. Lo troviamo sempre come angelo custode di Beatty in “I compari” di Robert Altman, in “Cisco Pike” di Bill Nolan con Kris Hristofferson e Harry Dean Stanton, “I nuovi centurioni” di Richard Fleischer, senza mai comparire. La stessa cosa accade per i dialoghi tra Brando e Pacino in un altro film Paramount, “Il padrino”, diretto da Francis Coppola.

 

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E’ lo stesso Coppola, vincendo l’Oscar per la sceneggiatura che lo ringrazia pubblicamente dal palco. Riscrive, stavolta firmandolo, il copione di Sam Peckinpah di “Viva! Viva Villa!”, che finirà diretto da Buzz Kulick, perché non piaceva al protagonista Yul Brynner. La prima vera e grande sceneggiatura che firma da solo è quella per “L’ultima corvé” di Hal Ashby per il suo amico Jack Nicholson. E subito dopo arriverà “Chinatown”, diretto da Roman Polanski e interpretato da Jack Nicholosn come J.J.Gittes.

 

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Due successi che ne faranno una star assoluta a Hollywood. Anche se proprio su “Chinatown” rompe con Polanski e non gli parla più per un certo periodo (“ci sono cose su quel film – e io so che è buono, dannatamente buono e quindi è stupido parlarne – che mi hanno rotto il cuore”, dice nel 1975), riprenderà tre volte il personaggio di Gittes, nel sequel diretto dallo stesso attore, “The Two Jakes”, per il copione di “Cloverleaf”, che verrà rielaborato da Robert Zemeckis per “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”, se ci pensate è un classico noir ambientato a Los Angeles.

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Senza parlare del progetto che divideva in questi ultimi tempi con David Fincher per Netflix di una serie prequel -Chinatown. Il suo status, a 39 anni, è tale che un produttore importante come Robert Evans afferma in quel periodo che è meglio avere cinque film scritti da Robert Towne che cinque film con Robert Redford, “perché so che se ho un film scritto da Robert Towne ho buone possibilità che sia un film di successo. Per me la sceneggiatura, la proprietà, è sempre stata la star più grande”. Così gli fa scrivere qualsiasi cosa, anche “White Dog” dal romanzo di Romain Gary.

 

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 Per tutti gli anni ’70, Towne scrive grandi film, pensiamo a “Yakuza” di Sydney Pollack, “Shampoo” di Hal Ashby, un film dove ci si riconosce interamente, con Warren Beatty che interpreta un celebre parrucchiere donnaiolo di Hollywood che morirà nella strage della Banda Manson. Un parrucchiere che lui ha consciuto perché legato a Barrie Chase, una ballerina molto sexy con la quale ha avuto una storia tempo prima. Ma scrive anche “Il Paradiso può attendere” per la regia del suo amico Beatty. Con tutto il successo e le domande di lavoro, seguita a riparare copioni e scrivere scene importanti per le star, in film importanti come “Missouri” di Arthur Penn o di genere come “L’orca assassina” di Michael Anderson scritto da Luciano Vincenzoni.

 

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“Ci sono pochissimi autori americani”, dirà nel 1975, “Quanti tra i registi di questo paese si scrivono i film da soli? Francis è una dei pochi…”. E sfrutta il momento in cui, diventando troppo caro rigirare le scene che non funzionano, i produttori preferiscono mettere a posto personaggi e dialoghi chiamando uno script doctor efficiente come lui. A Hollywood il suo è un segreto di Pulcinella, da subito Warren Beatty ha dichiarato che il copione di film come “Bonnie and Clyde” è scritto da lui e non dagli sceneggiatori ufficiali.

 

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Arriva alla nomination all’Oscar per “Greystoke”, un film che vede, non gli piace e firma col nome di “P.H.Vazak”, e Vazak è il nome del suo cane, molto amato, come il precedente, un pastore ungherese chiamato Hijira. Anche quando decide di passare alla regia, per film mai davvero riusciti, “Personal Best” con Mariel Hemingway, uno dei primi lesbo movies legato allo sport, il noir “Tequila connection” con Kurt Russell, Mel Gibson, Michele Pfeiffer, “Chiedi alla polvere” da John Fante, seguita a rimettere a posto le sceneggiature per gli amici e per Hollywood. Come per “8 milioni di modi per morire”, “Frantic” di Roman Polanski, “Armageddon”, “Allarme rosso”

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