Steve Della Casa per ''Tuttolibri - La Stampa''
POLIDOR E POLIDOR DI MARCO GIUSTI
Può un nome, un solo nome, unire Fellini e Charlie Chaplin, Pasolini e Nino Taranto, Lello Bersani e Mario Verdone, Fred Buscaglione e Ezra Pound, Sergio Leone e la bella Otero? E, soprattutto, può quello stesso nome farci conoscere una storia che unisce il circo, il cinema delle origini, l’avvento del sonoro, il varietà e l’avanspettacolo, il grande cinema degli anni Sessanta e la mestizia del ripescaggio delle vecchie glorie?
Non solo: può la vicenda dipanarsi tra Torino e Cuba, tra il Sudamerica e Viareggio, tra Roma e una prigione del New Jersey? E infine: è mai possibile che ci siano due fratelli che assumono lo stesso nome d’arte separati dall’Oceano Atlantico, senza mai più incontrarsi e ignorandosi l’un l’altro fino a un tragico fatto di cronaca? Nella vicenda di Ferdinand Guillaume, in arte Polidor, Marco Giusti è riuscito a reperire tutti questi elementi e a restituirli con un saggio documentato e preciso, ma che si legge come un vero e proprio romanzo d’avventure.
Polidor e Polidor, edito dalla cineteca di Bologna, ci racconta una storia incredibile che ha sullo sfondo l’evolversi del mondo dello spettacolo nel Novecento: è un esempio di perfetta convivenza tra cinefilia maniacale e grande arte del narrare, la stessa che ritroviamo nel programma Stracult che lo stesso Giusti ha inventato per Raidue. Partiamo dalla fine. Nel 1961, gli Stati Uniti sono scossi da un fatto di sangue tremendo: un clown, noto come Polidor the Clown, uccide con un colpo d’ascia e 50 coltellate la sua compagna Gabrielle di vent’anni più giovane, anche lei artista che convive con lui da un po’ di tempo ma che non vuole sposarlo perché troppo vecchio.
Il fatto è che in Europa c’è un altro clown, anche lui si chiama Polidor e proprio in quegli anni sta faticosamente cercando di tornare al cinema, approfittando dell’interesse di due nomi notevoli come Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Il mistero è ben presto svelato: il Polidor vero, quello che negli anni Dieci faceva ridere tutti gli italiani, è quello italiano, si chiama Ferdinand Guillaume, ha origini circensi e vive a Viareggio.
L’altro è suo fratello Edouard Guillaume, che si è americanizzato in Edward perché dagli anni Venti vive nel nuovo continente. I due fratelli non si sentono e non si vedono da trent’anni, però hanno lo stesso pseudonimo e fanno entrambi gli attori-acrobati. E già questo ci mette sull’avviso che si tratta di una vicenda assolutamente unica. Lello Bersani, il grande cronista televisivo di spettacolo, realizza una straordinaria intervista al Polidor europeo.
C’è tutto, in quell’intervista: la voglia di inseguire la notizia, ma anche il profondo rispetto per quello strano personaggio che un tempo era famosissimo e che nell’Italia del boom cerca con grande dignità di proporsi in un mondo in cui lo spettacolo è diventato qualcosa di completamente diverso. E, sullo sfondo, quel fatto di sangue e quella strana, stranissima vicenda famigliare. Marco Giusti rievoca tutto, nei minimi dettagli e precisando con cura le tante fonti consultate. E così scopriamo che, prima come Tontolini e poi cone Polidor, Guillaume è una star nel nostro cinema di inizio secolo: ma che è il primo che, avendo visto le prime comiche interpretate da un certo Charlie Chaplin, si rende conto che quella complessità di costruzione sarà il futuro del cinema.
Dopo la prima guerra mondiale si riciclerà come regista di film con le donne «forti», una sorta di Maciste in gonnella che piacevano tanto agli spettatori dell’epoca, lanciando la misteriosa Astrea che forse era una nobildonna veneta, che gira qualche film per poi tornare nell’ombra senza che nessuno sappia più niente di lei. Il suo periodo d’oro è ormai alle spalle, ma la sua fama no. E la riprova è un altro fatto tragico: nel 1920, a Napoli, si annuncia la morte di Polidor in un incidente aereo. Lacrime, lutto, messaggi di commiato, ricordi affettuosi: peccato che la vittima non sia Ferdinand ma suo fratello Natale, anche lui divo del circo prima e del cinema poi ma molto meno noto del fratello.
Insomma, i fratelli di Polidor vivono di luce riflessa: e quando capita loro qualcosa di tragico, Polidor si trova involontariamente a essere al centro dell’attenzione. Tra notizie vere, morti presunte e nobildonne capricciose, Polidor abbandona il cinema. Si dedica al teatro e fonda il Teatro della Risata con il quale realizza spettacoli un po’ in tutta Italia. Spettacoli che non hanno la forza innovativa delle compagnie Zabum fondate nello stesso periodo da Mario Mattoli, ma che comunque suscitano l’interesse ad esempio di Ezra Pound che riconosce in quelle rappresentazioni un che di antiborghese. Gli anni Trenta saranno molto difficili, mentre negli Stati Uniti il fratello Edward che si fa chiamare anche lui Polidor è un clown famoso e di successo.
Ma i due fratelli non sanno niente l’uno dell’altro, e Polidor riappare al cinema ogni volta rilanciato come «il vecchio Polidor, il divo di tanti anni fa»: il primo caso di revival, di operazione nostalgia in un tempo che non sapeva ancora cosa fosse la postmodernità. Con lo stesso spirito Polidor affronta il secondo dopoguerra. Fa un film con Roberto Roberti, il regista del muto che era il preferito di Francesca Bertini e che da tempo non lavora, proprio come Polidor (e sul set c’è anche un certo Sergio Leone, che di Roberti è il figlio e che sembra proprio un ragazzo che farà strada). Poi Fellini, che dal circo è sempre stato ammaliato, lo vuole in tanti sui film come personaggio chiave, paradossale, etereo: tutti ricordano i palloncini che lo circondano in La dolce vita.
Con Fellini incontra anche Pasolini (i due erano amici, poi litigarono) e anche il poeta scopre le potenzialità di quello sguardo stanco ma dignitoso, proponendogli un memorabile becchino in Accattone. Ma Polidor è stanco, malato, non ha una pensione: e molti artisti, tra i quali Buscaglione, organizzano una serata per fargli avere qualche soldo. Una storia incredibile, dicevamo all’inizio. Un viaggio nel secolo breve, in tutta la sua umanità e nella sua crudeltà. Con tante sorprese e con la certezza che le storie del cinema ufficiali molto spesso le vere storie non le hanno mai sapute raccontare.
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