"MARADONA? FU CRIMINALIZZATO. MUHAMMAD ALI? MITO E GRANDE LEADER. PER LUI NEGLI USA È STATA CAMBIATA LA LEGGE SULL’OBIEZIONE DI COSCIENZA” - OGGI A NAPOLI LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO POSTUMO DI GIANNI MINA’ CON LE INTERVISTE AL "PIBE" (CHE LO DIFESE CONTRO I COLLEGHI) E LA CONFESSIONE DI MUHAMMAD ALI' SUBITO DOPO LA CONVERSIONE ALL'ISLAM – QUANDO NEL 1996 IL PUGILE AMERICANO SCORTÒ A L’AVANA UNA DELEGAZIONE UMANITARIA CHE PORTAVA MEDICINALI E INCONTRO’ IL COLLEGA CUBANO TEOFILO STEVENSON – VIDEO

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Dagoreport

 

FAME DI STORIE GIANNI MINA COVER FAME DI STORIE GIANNI MINA COVER

Racconti inediti, aneddoti, spaccati di vita e di sport. Questo e tanto altro in «Fame di Storie», l’ultimo lavoro letterario di Gianni Minà, scomparso nel marzo scorso. Un grande giornalista, scrittore, che ha lasciato un segno indelebile nell’Italia dei oggi. Oltre 60 anni di carriera, di storie, personaggi, di rapporti umani sviscerati in 288 pagine da pochi giorni in libreria per la «Roberto Nicolucci Editore». E di storie, fantastiche, in effetti, Minà, torinese di nascita e napoletano d’adozione, ne ha vissute tantissime.

 

Come l’amicizia con due «monumenti» dello sport: Muhammad Alì e Diego Armando Maradona. Ne ha narrato le vicissitudini sportive ma anche umane. Ha fatto sì che la gente comune potesse conoscere, nel profondo, due idoli intramontabili. Ma ha contribuito, in modo indelebile, alla descrizione di un mondo in continua evoluzione, anche nel cinema, nella musica e nella politica.

 

Il libro «Fame di Storie» sarà presentato oggi, a Napoli, alle 18, presso il salotto letterario «Le Zifere», in Piazzetta Nilo 7, con la partecipazione di Roberto Nicolucci, editore e professore di storia dell'arte; di Loredana Macchietti Minà, presidente della fondazione Gianni Minà; e di Gennaro Carotenuto, docente di storia contemporanea all'università Vanvitelli.

 

Maradona, Minà e il napoletano d’adozione

GIANNI mina DIEGO maradona GIANNI mina DIEGO maradona

Minà è stato definito da tutti un torinese ma napoletano d’adozione. Perché con la città partenopea ha sempre avuto un rapporto molto stretto, anche grazie all’amicizia con Diego Armando Maradona, campione indiscusso e stella della Ssc Napoli. Grazie anche a questo rapporto, e alla sua bravura di «cantastorie», il grande giornalista ha saputo narrare quel che c'era di nascosto nel team azzurro.

 

«Con Maradona - racconta Minà nel libro - il mio rapporto è stato sempre speciale. Fin dalla sua prima stagione in Italia (1984-85) potei proporre a “La Repubblica”, con la quale collaboravo, un’intervista non solo calcistica. Mi sorprese subito la sua franchezza, non aveva paura di esporsi.

 

gianni mina cassius clay muhammad ali gianni mina cassius clay muhammad ali

La nostra confidenza crebbe rapidamente nei primi due anni a Napoli, quando ancora non era palese, per il valore medio della squadra, che la sua sola presenza in campo avrebbe mutato radicalmente gli equilibri non solo del Napoli, ma di tutto il campionato italiano. Io rispettavo il genio del pallone, ma anche l’uomo, sul quale sapevo di non avere alcun diritto solo perché lui era un personaggio pubblico e io un giornalista.

 

Per questo credo lui abbia sempre rispettato anche i miei diritti e la mia esigenza, a volte, di proporgli domande scabrose. Una certo modo di fare comunicazione spesso crede di poter disporre di un campione, di un artista, soltanto perché la sua fama lo obbligherebbe a dire sempre di sì alle presunte esigenze giornalistiche e commerciali dell’industria dei media. Maradona, che ha spesso rifiutato questa logica ambigua, è stato tante volte criminalizzato».

 

«Per i Mondiali del ‘90 - si legge ancora in «Fame di Storie» - mi ero ritagliato uno spazio notturno di mezz’ora con “Zona Cesarini”, che però aveva suscitato il fastidio di alcuni cronisti. La circostanza non era sfuggita a Maradona ed era stata sufficiente per avere tutta la sua simpatia e collaborazione.

 

leo di caprio gianni mina maradona leo di caprio gianni mina maradona

Così, nel pomeriggio prima della semifinale Argentina-Italia, allo stadio di Fuorigrotta di Napoli, davanti a un pubblico diviso fra l’amore per la nostra nazionale e la passione per lui, Diego mi promise per telefono: “Comunque vada verrò solo al tuo microfono a darti il mio commento”. Fu un’intervista unica e giornalisticamente irripetibile, solo per l’abitudine di Diego Maradona a mantenere le parole date».

 

Minà, Muhammad Ali e la Storia della boxe

 

Gianni Minà ha vissuto da vicino anche il mondo della grande boxe, quella fatta dai campionissimi che hanno aperto la strada ai boxeur di oggi e li ha raccontati anche nel volume attraverso il rapporto con Muhammad Ali. EAncoraccone alcuni stralci:

 

gianni mina muhammad ali cassius clay gianni mina muhammad ali cassius clay

«Se guardiamo la storia, solamente due pugili hanno inciso in profondità nella società: Muhammad Ali, per il quale negli USA è stata cambiata la legge sull’obiezione di coscienza, e il cubano Teofilo Stevenson che, pur avendo vinto due Olimpiadi, ebbe il coraggio di rifiutare 5 milioni di dollari per passare al professionismo.

 

Nel 1996 i due campioni si incontrarono a L’Avana perché Ali scortò una delegazione umanitaria che portava medicinali in una Cuba sempre oppressa dal blocco economico. Ebbi la fortuna di essere presente a quell’incontro insieme ad Assata Shakur, militante delle Pantere Nere in esilio a Cuba da decenni e per la quale la nostra Silvia Baraldini andò in galera, e Aleidita Guevara, l’indomita figlia del Che».

 

«“La mia storia incomincio a raccontarvela oggi in albergo”, ci urlava Ali, sballottato, malgrado la sua enorme mole, da frotte di ammiratori. Mia moglie Georgina mi aiutava come interprete. Stavamo a Miami Beach, nel suo stesso albergo, il Fontainbleau Hotel, monumento al cattivo gusto, ma reso famoso per la permanenza di Frank Sinatra».

GIANNI MINA MARADONA GIANNI MINA MARADONA

 

«Andai a trovare Muhammad Ali nella grande “farm” che possedeva nel Michigan, subito dopo aver parlato della sua malattia e dichiarato il silenzio stampa. Ma «aveva voglia di vedere un amico che lo aveva portato dal Papa». Ali non c’era. Arrivò guidando un furgone pieno di libri sulla religione islamica: “La religione e il lavoro sociale sono la base della mia vita, adesso. Ho fatto la boxe dall’età di 12 anni e ora, a 45, posso dire che è stato un lavoro duro, ma che ho ricavato tanto, insomma la boxe mi ha trattato bene. Sarei matto però se avessi nostalgia di un lavoro così difficile”».

 

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