"MENO MALE CHE NON SEI MORTO, ALTRIMENTI CI TOCCAVA TUTTA LA TUA RETROSPETTIVA” - JERRY CALA’ FA 70 E RICORDA IL TELEGRAMMA DI GRILLO DOPO L'INCIDENTE D'AUTO DEL 1994 – QUELLA VOLTA CHE UN TASSISTA DI NAPOLI NON VOLLE CARICARLO DOPO "SAPORE DI MARE": L'AVETE TRATTATA MALE A MARINA SUMA! SIETE STATO NU SCURNACCHIATO!" – IL METODO STARSBERG PER IL RUOLO DI “PAROLA” IN "AL BAR DELLO SPORT, FERRERI CHE GLI CONSIGLIO’ DI GIRARE ABBRONZATISSIMI": "AHÒ, SE NON CE VAI TE, TE CE MANNO IO A CARCI NER CULO" – E SUL DDL ZAN... - VIDEO

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Luca Giampieri per "la Verità"

 

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«Il papà lo voleva ingegnere, la mamma sperava che se ne restasse a casa». Così si apre il libro Una vita da libidine, autobiografia pubblicata un lustro fa per Sperling & Kupfer. Bilanci alla mano, ora che ha appena spento 70 candeline può dirlo.

 

Una vita da libidine, come la chiama lui prendendo in prestito a sé stesso quel sostantivo tormentone che negli anni Ottanta poteva udirsi fors' anche in chiesa, tale era la sua popolarità, Jerry Calà l' ha vissuta eccome. Prima insieme agli amici di sempre, i Gatti di vicolo miracoli, poi spiccando il volo in solitaria sul grande schermo grazie alle ali fabbricate con sapienza da Carlo ed Enrico Vanzina.

 

Ali tutt' altro che Icaresche: 20 film in una sola decade, il successo in televisione, la serie Professione vacanze in onda sull' allora Fininvest, ritratto alla buona di un' estate italiana che Calà incarnerà nell' immaginario del pubblico come un totem sempiterno della villeggiatura. «La gente mi dice: "Quando ti vediamo, ci viene in mente la vacanza"», osserva compiaciuto l' attore siciliano, veronese di adozione. Racconta che per convincere Silvio Berlusconi a produrre i sei episodi divenuti cult gli bastò pronunciare il titolo. «Fatela».

 

Se li immaginava così i 70 anni?

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«Non me li immaginavo proprio (ride). So che ci sono, ma non li sento. Anche se, ripensando a tutto ciò che ho fatto, ne vedo anche di più».

 

Ha sempre detto che l' estate non è una stagione, ma uno stato d' animo. Vale anche per la giovinezza?

«Certo. I miei anni non corrispondono al mio stato d' animo. Diciamo una frase fatta: i 70 sono i nuovi 50».

 

Si sarebbe aspettato un simile successo?

«Uno lo sogna sempre. Poi, quando arriva, ti chiedi: "Ma è vero?". Nel nostro mestiere non hai mai l' impressione di avercela fatta, c' è sempre qualcosa che sfugge. Soprattutto, speri sempre che dopo un lavoro ce ne sia un altro».

 

Il famoso incubo del telefono che non squilla.

«Già. Infatti ho cercato di diversificare reinventandomi come one man show. Prima del Covid, facevo un centinaio di spettacoli all' anno tra club, discoteche, piazze d' estate. È la mia assicurazione».

 

jerry cala parola copia jerry cala parola copia

Quando si rese conto di essere diventato famoso?

«Nel 1977, facevo Non stop, programma su Rai 1 dal quale uscirono tutti i giovani attori del nuovo cinema. C' ero io con i Gatti, Francesco Nuti coi Giancattivi, Troisi con la Smorfia, Verdone. Dopo le prime puntate, la gente mi fermava per la strada dicendomi "Capittooo?". Lì capii che era successo qualcosa di grosso».

 

Dopo due film con i Gatti, la Dean film le offrì un contratto per tre pellicole da solista. Fu difficile accettare?

«Molto. Fu una separazione dolorosa dopo 12 anni, alcuni dei quali vissuti insieme nello stesso appartamento. Fu Bud Spencer a darmi il coraggio, io continuavo a voler fare entrambe le cose: la notte gli spettacoli coi Gatti e al mattino sul set di Bomber. Una sera lo trovai nella hall dell' albergo che mi aspettava: "Jerry, così non va. Quando giriamo sei stanco. Devi fare una scelta"».

 

I Gatti come la presero?

«Sul momento non bene. Poi l' amicizia ha prevalso».

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Quali differenze vede tra la commedia all' italiana degli anni Sessanta e quella di cui lei è stato protagonista?

«Diciamo che noi, e dicendo noi penso ai fratelli Vanzina, abbiamo portato una ventata di novità in un momento in cui la commedia all' italiana si rifaceva troppo a sé stessa. Carlo ed Enrico erano sempre in giro: d' inverno a Cortina, d' estate a Forte dei marmi, avevano amici a Milano.

 

Rispetto agli sceneggiatori che vivevano negli attici romani, avevano il polso di ciò che accadeva e l' hanno fotografato alla loro maniera. Forse con uno stile più leggero, ma ugualmente efficace».

 

Aveva un attore di riferimento?

«Renato Pozzetto. Una volta mi disse: "Attento ché tendi a imitarmi"».

 

Cosa gli ha rubato?

«Forse lo stralunamento. Il fatto di inventare parole tormentoni».

 

Quello che l' ha impressionata di più?

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«Angelo Infanti. Feci con lui Sottozero e capii che grande attore fosse. Quasi mi commuoveva. Non sembrava di recitare. A volte, sul set, gli chiedevo: "Ma che stai a dì?". E lui: "Sto a dì le battute del copione". Pareva che parlasse dei fatti suoi, tanto era naturale».

 

Si è mai sentito schiavo dei suoi tormentoni?

«No, affatto. Una cosa divertente mi capitò a Napoli con un tassista dopo Sapore di mare. Mi disse: "Io a voi vi conosco, l' avete trattata male a Marina Suma! Siete stato nu scurnacchiato!". Non voleva caricarmi».

 

Diversamente da altri comici, lei non sembra uno che non appena si spengono i riflettori diventa malinconico.

«No, non è il mio caso. Un momento oscuro fu l' incidente che ebbi nel 1994, quando finii nel greto di un fiume con l' auto. Però mi fece molto ridere il telegramma che mi inviò Beppe Grillo: "Meno male che non sei morto, altrimenti ci toccava tutta la tua retrospettiva" (ride)».

 

All' apice della notorietà, era conosciuto per essere un tombeur de femmes. Ugo Tognazzi diceva che quando uno smette di fare l' amore è segno che la morte è dietro l' angolo. È della stessa idea?

jerry calà mara venier jerry calà mara venier

«No, nonostante Tognazzi sia stato un altro grande riferimento e abbia avuto la fortuna di frequentarlo. Passai un bellissimo ultimo dell' anno da lui, con la sua famiglia e altri attori noti. A un certo punto disse: "Dai, facciamo un' improvvisata al ristorante di Benito". Quando entrammo la gente impazzì. Comunque non nascondo che, da giovane, per me la conquista era molto importante».

 

Altro cavallo di battaglia: «Non sono bello piaccio».

«Sì, però a me le donne non sono mai cadute ai piedi. Dovevo faticare, inventarmi corteggiamenti sempre nuovi. Quella frase era un sunto».

 

Che ricordo ha di quell' Italia?

«Di entusiasmo, voglia di buttarsi in avventure. Nel cinema c' era grande fermento».

 

Lo rimpiange?

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«Non vivo di rimpianti. La mia filosofia si riassume in un verso di un grande cantautore che è stato anche un amico, Pierangelo Bertoli: "Vivo con un piede nel passato e lo sguardo aperto e dritto sul futuro"».

 

C' è un' interpretazione che ricorda con particolare affetto?

«Un ragazzo e una ragazza, di Marco Risi. Marco mi fece capire che dovevo mollare le faccette per cominciare a essere un attore vero. In quel film trovai la mia misura tra comicità e malinconia».

 

In questo clima di dibattito sul ddl Zan, mi è capitato di pensare che tanti dei suoi film oggi non si potrebbero più fare. La vede come un' evoluzione o un' involuzione?

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«Per un attore comico e per chi scrive qualcosa che voglia divertire, può diventare un ostacolo non poter toccare certi argomenti, certe categorie. Io lo trovo limitante. Ma credo che si troverà un compromesso».

 

Bizzarro, se si pensa che due mesi fa il ministero della cultura ha abolito la censura cinematografica in Italia.

«(Ride) Adesso c' è l' autocensura».

 

La critica ha sempre avuto un problema coi comici. E anche con lei non è stata tenera. Ha mai vissuto il complesso del fratello bistrattato?

«Solo per il primo film, Vado a vivere da solo. Scrissi perfino una lettera a una critica che mi aveva stroncato. Ne rimase così toccata che volle incontrarmi. Poi, sempre il mio maestro Pozzetto, mi disse: "Ué Jerry, guarda che quando cominciano a parlare bene di te è lì che ti devi preoccupare"».

 

jerry cala alessandro benvenuti il ragazzo del pony express jerry cala alessandro benvenuti il ragazzo del pony express

Quando Marco Ferreri la scelse per Diario di un vizio, però, si prese una discreta rivincita. Gli stessi che l' avevano stroncata la incensarono.

«Quello fu un colpo di libidine mica da ridere. Al festival di Berlino fui invitato in un ristorante dove mi consegnarono il Premio del Gotha della critica italiana come migliore attore, scusandosi per come mi avevano trattato. Poi, quando ricominciai a fare le commedie, ripresero a massacrarmi».

 

È vero che subito dopo, quando le proposero Abbronzatissimi 2, fu proprio Ferreri a spingerla ad accettare sostenendo che «l' attore è una prostituta»?

jerry cala chicken park 2 jerry cala chicken park 2

«Sì. Ingenuamente, dopo Diario di un vizio aspettavo i grandi autori. Invece arrivò Abbronzatissimi. Andai da Marco per avere un consiglio. "Ahò, se non ce vai te, te ce manno io a carci ner culo", disse con quel suo romanesco milanese».

 

Pochi sapranno che per preparare la parte di Parola in Al bar dello sport si affidò al metodo Strasberg.

«Quel film non lo volevo fare. In un momento in cui tutta l' Italia parlava coi miei tormentoni, mi offrivano il ruolo del muto. "Come? Io faccio il muto e Banfi spara tutte le sue belle battute?". Mi finsi malato e mi chiusi in casa. Poi mi affidai a un gruppo di sordomuti che due volte a settimana veniva da me per aiutarmi. Alla fine ebbi delle ottime critiche».

 

jerry cala demetra hampton. chicken park jerry cala demetra hampton. chicken park

È riuscito a farsi qualche amico vero nel cinema?

«Si contano sulle dita di una mano, ma sì. C' era quel bellissimo personaggio nel film di Truffaut, Effetto notte. Una signora che faceva la maglia, guardandosi attorno, diceva: "Cos' è questo mondo dove tutti si baciano e subito dopo si mandano a fare in culo?".

 

Il cinema è un po' questo. Si recita insieme, ci si diverte, poi a meno che non capiti un altro film non ci si rivede più. Però qualche amico mi è rimasto: Boldi, Greggio, Roncato. Mara Venier, che è una sorella».

 

WOODY ALLEN CON UMBERTO SMAILA JERRY CALA - NINI SALERNO - FRANCO OPPINI WOODY ALLEN CON UMBERTO SMAILA JERRY CALA - NINI SALERNO - FRANCO OPPINI

Si considera imborghesito o in lei vive ancora il Calogero figlio di un ferroviere emigrato al nord?

«Imborghesito? Ma va! Sono tornato a Verona proprio per fare la mia vita di sempre, con gli amici che volevano stare con Calogero e non con Jerry Calà».

 

Se non fosse diventato Jerry Calà, cosa avrebbe fatto?

«Il professore di greco e latino. Mi ero iscritto a lettere antiche a Bologna, ero un grande latinista e grecista. Poi la vita mi ha portato altrove».

 

Ha qualche rammarico?

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«Non fu una gran mossa quella di saltare giù dal carro dei cinepanettoni. Però in quel momento avevo voglia di fare altro. Sarà stato un errore, soprattutto economicamente, ma io credo al destino. Se non lo avessi fatto, forse non avrei incontrato Ferreri».

 

Uno sfizio che vorrebbe togliersi?

«Non so un personaggio insolito, magari. Adesso che ho un' età potrei fare il prete, o il professore. Ecco, ce l' ho! Il siciliano in una puntata de Il commissario Montalbano. Mi riuscirebbe benissimo».

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