"ULTRAS": STORIA D’AMORE, DI TIFO E DI TRIBU’- IN SALA, E POI SU NETFLIX, UN FILM SUI TIFOSI NAPOLETANI, OPERA PRIMA DI FRANCESCO LETTIERI, REGISTA DEI VIDEO DEL CANTANTE SENZA VOLTO LIBERATO – “NON VOLEVO FARE UN RITRATTO DEL VERO MOVIMENTO ULTRAS A NAPOLI. HO INVENTATO DEI GRUPPI DI FINZIONE E MI SONO STACCATO DALLA REALTÀ. GLI ULTRAS HANNO SAPUTO DEL FILM E IO HO VOLUTO TRANQUILLIZZARLI: QUESTA NON È UN' OPERA SULLA CRIMINALITÀ, NON CI SONO PISTOLE” - I LAVORI CON LIBERATO SONO SERVITI.AVEVAMO GIÀ FATTO DI TUTTO, AI LIMITI DELLA LEGALITÀ – VIDEO

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Stefano Pistolini per il Venerdì-la Repubblica

 

ultras ultras

Più la vediamo al cinema e in tv, più Napoli sembra un mondo a parte, con inarrivabili bellezze e devastanti bruttezze. Contiene progresso e arretratezza, stile e monnezza, passione e violenza. Pure se si parla di calcio, tutto è diverso ed eccessivo. Ora arriva un film non sulla Napoli del pallone, ma su ciò che ci vive attorno: è la sfida di Francesco Lettieri, al debutto sul grande schermo, dopo essersi fatto una reputazione come alter ego e regista dei videoclip di Liberato, il misterioso cantore della Napoli XXI secolo. Ultras è una storia di tifo tribale e di confronto tra generazioni che faticano a convivere nelle stesse piazze.

 

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Il film schiera un potente concentrato di nuovo talento: oltre alla regia di Lettieri, c' è la fotografia di Gianluca Palma (anche lui con Liberato) forte di colori e di contrasti, la scrittura intensa di Peppe Fiore, la produzione di Nicola Giuliano, l' uomo dietro Sorrentino e le ultime cose di Martone. Al centro della vicenda, la prova d' attore di Aniello Arena, l' ex ergastolano di camorra trasformatosi in prodigioso interprete di Reality, La Paranza dei Bambini, Dogman, acquisendo meriti artistici che gli hanno restituito la libertà.

 

«Ho voluto questa parte. La sentivo mia» racconta Aniello quando lo incontriamo a Roma. «Mohicano è un solitario, emarginato anche dallo stadio, dove la legge non lo fa più entrare. È pieno di dubbi e si sorprende a scoprire che l' amore può soppiantare quei rituali del tifo che l' hanno tenuto vivo. Ho voluto dare tante sfumature al personaggio, in un film su Napoli che finalmente non parla di criminalità».

 

Ultras esce nelle sale il 9,10 e 11 marzo, poi dal 20 sarà visibile su Netflix. Ne parliamo con il regista.

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Lettieri, si direbbe che la stagione in cui è stato un regista di video fosse l' anticamera di questo debutto «Realizzando i video musicali ho sempre cercato di mantenere un' estetica cinematografica e narrativa. Ho cominciato a girare clip per il mio coinquilino cantante, poi ho lavorato con artisti come Calcutta, Thegiornalisti e Liberato, sviluppando la mia visione. Che con Calcutta calzava bene per i suoi toni romantici e a cui Liberato ha aggiunto Napoli, la nostra città, raccontata in modo originale».

 

Perché lei è un espatriato, un napoletano a Roma

«Non più. Sono tornato a Pozzuoli, per amore. Si può fare il regista anche a Napoli. Adesso che dalla tv mi arrivano offerte per il futuro, voglio prendermi il tempo e riflettere sul prossimo film. Sto a Pozzuoli nella mia casetta, scrivo, penso».

 

In Ultras mostra una personalità forte, in cui confluiscono citazioni alte e basse.

«Insieme a Gianluca Palma, il direttore della fotografia, abbiamo costruito un' estetica visuale, che chiamiamo "Pop Povero". È un mix di elementi patinati e di riferimenti al cinema popolare di Risi e Comencini, che raccontò grandi storie umane. Aspiro a un cinema per tutti, per ridere e per piangere, senza intellettualismi, moderno ma che guardi al passato e alla funzione che il cinema ha avuto nel Paese».

 

Com' è finito tutto dentro Ultras?

«Ho capito che ero pronto a fare un film. Ho cercato Peppe Fiore, sceneggiatore e mio caro amico, e abbiamo cercato la storia migliore. Ho creduto fosse onesto che il mio primo film si svolgesse a Napoli. Poi dal computer è rispuntato il soggetto di un videoclip per Calcutta mai girato, ambientato a Latina, la sua città, per raccontare i derby col Frosinone (la canzone era appunto Frosinone, ndr). Avevo immaginato la storia di un ultrà col Daspo e Peppe ha detto: "È il tuo film: racconta tutto un mondo"».

 

Come l' avete sviluppato?

«Abbiamo pensato di fare un film "classico", avevamo in mente Gran Torino di Clint Eastwood. È stato Nicola Giuliano, il produttore della Indigo Film, che nel momento in cui la sceneggiatura ha preso un connotato ibrido, inseguendo tentazioni autoriali, ci ha detto: "Avete pensato di fare un film tradizionale e con una recitazione naturalistica. Andate fino in fondo"».

 

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Le location sono potenti

«Io sono dei Camaldoli e conosco bene la città. Già con Liberato avevamo cannibalizzato Napoli ma qui volevo una lettura originale. La difficoltà era raccontare una Napoli diversa da quella di Gomorra, ma il rischio c' è, se pensi a certe luci di Gomorra create da Paolo Carnera, il maestro del mio direttore della fotografia.

 

Siamo stati attenti a tenere le distanze: cercando un' altra Napoli, come nelle scene attorno alla chiesa nella darsena di Pozzuoli o davanti alla questura ricostruita nella ex-base Nato. Alla fine il film si muove soprattutto nei Campi Flegrei, tra Bacoli, Miseno e il rione Gescal di Pozzuoli».

 

Certe scene non sono state semplici da realizzare.

«La scuola dei video con Liberato è servita! Avevamo già fatto di tutto, a volte ai confini della legalità. Napoli è difficile ma anche facile, se ti presenti nel modo giusto. Devi avere buoni mediatori e devi saperti rapportare con le persone. Perché quando arriva la cinepresa c' è ancora entusiasmo».

 

Il cast: una delle chiavi del film.

«Ho finito la scrittura senza avere idee sugli interpreti: un errore che non rifarò. L' unica a cui avevo pensato è Antonia Truppo (la camorrista di Lo chiamavano Jeeg Robot, per cui ha vinto un David, ndr) per il ruolo di Terry.Poi ho capito che Aniello aveva le caratteristiche per essere il mio protagonista: un napoletano verace e prestante. Lui ha contribuito molto alla creazione del personaggio, rendendolo meno tenebroso e dandogli più ironia e umanità».

francesco lettieri francesco lettieri

 

Attorno a lui, una galleria pirotecnica di figure.

«Un mix di professionisti e no. Come i personaggi di Pechegno e Gabbiano, Simone Borrelli e Daniele Vicorito, due attori che faranno strada. O gli interpreti che ho scovato facendo un casting nel carcere di Poggioreale, una fucina di talenti, a cominciare dallo stesso Aniello.

 

Ma Garrone ci è passato prima di noi. Io ci sono arrivato perché non trovavo le facce adulte che volevo. Coi ragazzini è diverso: se fai street casting e fermi per strada quelli che ti piacciono, nei provini due su dieci si rivelano spontanei davanti alla macchina da presa. Li fermavo, citavo Liberato e loro venivano».

 

Il tema del tifo a Napoli. Una questione delicata.

«Ho inventato questa dinamica intergenerazionale nel tifo partenopeo. Non volevo fare un ritratto del vero movimento ultras a Napoli, che come tutte le tifoserie organizzate è geloso della sua identità. Ho inventato dei gruppi di finzione e mi sono staccato dalla realtà. Nel film anche il campionato in corso è di fantasia e perfino la squadra non viene mai nominata.

 

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Gli ultras hanno saputo del film e io ho voluto tranquillizzarli: questa non è un' opera sulla criminalità, non ci sono pistole. È una storia di fratellanza tra individui che hanno un' attitudine alla violenza. Io non giudico, descrivo.Temevano d' essere bollati come "venduti alla tv", nel loro ambiente. Ma non è assolutamente vero».

 

Le musiche: Liberato l' ha seguita anche nel film.

«Lui aveva già attinto alla tematica ultras. Quando ho scritto un film su Napoli era inevitabile che le musiche fossero sue. È stato bravo a spaziare tra i generi e a mettersi al servizio della storia. Ora i pezzi diventeranno il suo nuovo disco. Intanto è uscito il video di We come from Napoli, composto con Del Naja dei Massive Attack».

 

La formula Netflix coi tre giorni in sala e poi online le piace?

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«È un' opera prima: sapere che sarà sempre visibile in tutto il mondo, supera l' ansia di lavorare per anni a un film che in due settimane sparisce. Ho avuto budget, quasi due mesi di set, piena libertà e nessun condizionamento: mi considero un fortunato».

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