IL "VATE" NEL WATER - TUTTI GLI INSULTI DI FILIPPO TOMMASO MARINETTI A D’ANNUNZIO: “POETINO, CIARLATANO, EFFEMMINATO, VERME” – LE BORDATE PER L’ASSENZA AL FUNERALE DI CARDUCCI – IL SARCASMO FULMINANTE: "GIACCHÉ LA GLORIA L' HA AFFERRATO PER I CAPELLI CON TROPPA VIOLENZA IL VATE È RIMASTO CALVO IN TENERA ETÀ” - OGNI ARTISTA CHE SI RISPETTI, DEL RESTO, DEVE COMPIERE UN PARRICIDIO RITUALE…

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Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”

 

d'annunzio d'annunzio

Ogni artista deve compiere un parricidio rituale. Per dimostrarsi all' altezza dei suoi predecessori o addirittura superarne la gloria, deve recidere la testa del gigante sulle cui spalle sta seduto. È quanto fece un giovane Filippo Tommaso Marinetti, allorché non era ancora futurista né famoso e il panorama letterario italiano era dominato dalla figura ingombrante di Gabriele D' Annunzio.

 

In alcuni scritti, pubblicati tra fine '800 e inizio '900 sulla rivista francese La Vogue e quindi raccolti in un libro dato alle stampe dall' editore Sansot nel 1906, Marinetti si faceva beffe del poeta, descrivendolo come uno snob dai modi effemminati, nonché come un «poetino» che plagiava i testi dai francesi e profanava i grandi del passato, credendosene erede. In due parole, un «ciarlatano». Quell' antologia di articoli al curaro ora viene per la prima volta pubblicata in italiano sotto il titolo di D' Annunzio intimo. Gli dei se ne vanno, D' Annunzio resta (pp. 232, euro 25, in uscita oggi), grazie alla meritoria azione dell' editore Aspis e alla traduzione di Camilla Scarpa.

 

Gli scritti testimoniano un misto indissolubile di «ammirazione e odio profondo», come scrive Guido Andrea Pautasso nell' Introduzione, una sorta di ossessione che induce Marinetti a cercare D' Annunzio anche dove non c' è, o a seguirlo nelle sue uscite pubbliche su e giù per l' Italia.

 

marinetti marinetti

Ecco che allora Marinetti si reca al funerale di Giosuè Carducci nel 1907 e, mentre commemora la grandezza del poeta toscano, si accorge dell' assenza di D' Annunzio: «Ha commesso un inelegante passo falso, davvero imperdonabile», commenta, a maggior ragione che il Vate aveva profanato il nome di discepolo, coll' essersi proclamato erede di Carducci, dopo aver già avuto «l' ardire di proclamarsi l' unico erede di Dante», pur non essendone altro che «una caricatura».

 

IL COMIZIO A ORTONA Ma già da tempo Marinetti aveva iniziato a fare le poste al poeta abruzzese, per metterne alla berlina il carisma da oratore. È il 1897 quando colui che diventerà il padre del futurismo si reca in Abruzzo per assistere a un comizio di D' Annunzio a Ortona, dove era candidato. In una sala «appestata da straccioni alcolizzati» appare la figura di questo «cantore aristocratico» dalla «sensualità molle» e dai «gesti femminei» che tutto sembra meno che un uomo destinato a trascinare il popolo.

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Anche quando, poco tempo dopo, lo rivede a Milano a un banchetto di letterati, D' Annunzio continua a sembrargli «un giovane snob» caratterizzato da «esaltazioni puerili» come il desiderio di «assoggettare le folle a un formidabile impero di Roma, di cui egli sarebbe l' imperatore». Il Vate, annota Marinetti, «sogna di stravolgere il mondo con un giro di frase» e «attribuisce al libro una diretta influenza sulle masse», ma non ha capito che «le folle vivono nell' ignoranza più completa dei poeti». Così, ogniqualvolta crede che ogni sua parola avrà una ricaduta politica, rischia di apparire solo come un «ciarlatano».

 

 

Marinetti si sofferma, a mo' di scherno, anche su alcuni episodi della biografia del Vate, che ne mettono in luce le vanterie sterili, quei gesti frivoli e comportamenti eccentrici, da lui costruiti ad hoc per far credere che la propria vita sia un' opera ad arte. Vedi allora D' Annunzio vestirsi «tutto di bianco (stivali, panciotto, cravatta, cappello), inerpicato su un cavallo più bianco del marmo di Carrara», evidentemente allo scopo di far «le prove per il suo monumento equestre».

 

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E poi lo ritrovi impegnato in un bizzarro processo contro il suo fattore, accusato di avergli ucciso un levriero: stavolta D' Annunzio si presenta «tutto vestito di nero», ostentando a favor di giornalisti il «lutto per il suo cane». Poi lo trovi coinvolto in un duello contro il direttore del giornale L' Abruzzo, reo di averlo attaccato in una rubrica: la spavalderia, che lo aveva portato a chiedere quello scontro per vendicare l' onore ferito, viene meno nel bel mezzo del duello, allorché D' Annunzio viene scalfito alla tempia. A quel punto la singolar tenzone si interrompe, per codardia di uno dei due sfidanti.

 

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Colui che sarebbe diventato il Poeta-Soldato non è che all' inizio brillasse per coraggio LO SCANDALO DEI PLAGI Non meno feroce è l' attacco di Marinetti sui meriti artistici del Vate. Ricorda quando D' Annunzio venne coinvolto nello «scandalo dei plagi», sostenendo che lui si serviva «dai migliori sarti del simbolismo francese!», in sostanza riprendeva interi passi dai poeti transalpini; trova le sue opere caratterizzate da «lirismo soffocante» e «assenza di originalità», da «rammollimento del fraseggiare» e da un «fuoco di fila di banalità». Ragion per cui, come sosterrà anni dopo, D' Annunzio rappresenta per la poesia un «peso morto», «dannosissimo ai giovani».

 

Tempo sarebbe passato prima che Marinetti rivalutasse il Vate arrivando a considerarlo il «precursore» del futurismo e «il più grande Poeta del mondo». Ma a inizio '900 D' Annunzio gli appariva niente più che come «un arrivista tenace» connotato dallo «strisciare sinuoso di un verme». Uno che aveva addirittura barattato la chioma con l' ambizione: «Giacché la gloria l' ha afferrato per i capelli con troppa violenza», chiosa Marinetti con sarcasmo fulminante, «Gabriele d' Annunzio è rimasto calvo in tenera età».

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