"VOLEVO ESSERE LA JENNIFER LOPEZ ITALIANA" (CIAO CORE) – QUANTO HA SOFFERTO SERENA AUTIERI: ''PER ANNI SONO STATA OGGETTO DELLE PRESSIONI PIÙ DISPARATE AFFINCHÉ CELASSI LE MIE ORIGINI PARTENOPEE'' - ''SUL PALCO DAVANTI A WOJTYLA RIMASI SENZA VOCE PER L'EMOZIONE'' - PROPOSTE INDECENTI? NESSUNA...” – E POI QUEI PIEDI CHE TROVAVA "BRUTTI" - VIDEO

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Antonello Piroso per “la Verità”

 

Serena Autieri: classe 1976, e una classe innata. Cantante. Attrice in tv (in onda su Rai1 con la fiction Un passo dal cielo), al cinema e a teatro. Doppiatrice.

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La ragazza che voleva essere «la Jennifer Lopez italiana» ha una versatilità non comune e già venticinque anni di onorata carriera alle spalle.

 

Partiamo dal suo essere una napoletana sui generis, almeno quanto all' aspetto: bionda, occhi azzurri, un mare di efelidi. Oltre al 40 di piedi, che una volta trovava «brutti».

(Ride). «Vedo che si è preparato. L' aspetto l' ho ereditato dal lato paterno della famiglia.

Ma nonostante questo, per anni sono stata oggetto delle pressioni più disparate affinché in qualche modo mi affrancassi dalle mie origini, non enfatizzassi le mie radici, celassi l' essere venuta al mondo all' ombra del Vesuvio».

 

Un po' come nella gag di Massimo Troisi in Ricomincio da tre? Lui fa l' autostop, lo carica un automobilista che quando apprende che è napoletano, commenta: «Ah, emigrante». E lui: «Perché, un napoletano non può viaggiare per diletto?».

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«Evidentemente una donna partenopea che canta o recita veniva considerata prima una napoletana e poi un' artista. E a Napoli chi canta o è un rapper arrabbiato o è un melodico o un neomelodico, anche se poi lì sono nati anche Pino Daniele e Eugenio Bennato».

 

Lei ha iniziato accompagnata al pianoforte da suo zio.

«Ma non sono figlia d' arte. Quando ero bambina, a Soccavo, ero una specie di maschiaccio, anche se la mamma mi regalava le Barbie. Una sera andai a cena con amici al Ranch al belvedere dei Camaldoli: avevo 15 anni. Canto Almeno tu nell' universo di Mia Martini al karaoke, e il proprietario mi offre un lavoro. Iniziai a fare lì pianobar, in duo con mio zio Franco alle tastiere, e con mio papà (non contento) che mi scortava nei locali. In repertorio avevo Whitney Houston e Luther Vandross».

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1997. In primavera incide il suo primo album, Anima soul, e a settembre si ritrova sul palco all' incontro di papa Wojtyla con i giovani di tutto il mondo.Come c' era arrivata?

«Cercavano voci giovani e qualcuno, forse i miei stessi discografici, segnalò il mio disco.

Che evidentemente fu apprezzato, visto che fui convocata».

 

Come andò l' incontro?

«Inizialmente un disastro. Lui era assiso sulla sua sedia, io vado al microfono emozionata e intimidita. Parte la base musicale e io muta, senza fiato. Non riuscivo a emettere suoni. Mi richiamano nel backstage, bevo un tè caldo e torno sul palco. Fu un piccolo trauma che fortunatamente ho subito superato».

Nel 2016, per la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, ha indossato il sari bianco con i bordi blu della Missionarie della carità per leggere in Vaticano alcune pagine dei suoi diari. Però anni prima dichiarò di essersi avvicinata al buddismo...

«Nessun "avvicinamento". La mia era una curiosità culturale, ho grande rispetto per tutte le discipline che riguardano la spiritualità. Senza che questo offuschi la mia fede, che vivo senza bigottismi».

 

Com' è stato invece confrontarsi, a teatro con la pièce Diana & Lady D, con un personaggio così «iconico»? È vero che nel preparare lo spettacolo talvolta l' ha sognata?

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«Vero. Ho lavorato moltissimo sulla sua storia e sulla sua personalità, con il prezioso supporto di una psicologa che mi ha permesso di entrare meglio in alcune complesse dinamiche emotive di Diana, ma anche di esaminare i miei nodi irrisolti e le mie fragilità. Mi sono così immedesimata che sono dimagrita tantissimo. Era una donna anticonformista, che credeva nell' amore: emotiva, passionale e istintiva. Ho ritrovato in lei molto del mio carattere».

 

2003. Il Festival di Sanremo con Pippo Baudo. La svolta.

«Nel 1998 ero entrata nel cast di Un posto al sole, interpretavo una cantante. Nel 2000 mi esibii nella Domenica in di Amadeus, dove fu lei a invitarmi, Piroso. Poi feci Stranamore al fianco di Alberto Castagna. Quindi mi ritrovai in teatro protagonista del musical Bulli e pupe. E fu nella tappa di Trieste che in sala si materializzò Baudo».

 

A Trieste?

«Fu convinto da Gino Landi. Prese l' aereo e arrivò. Dopo lo spettacolo, mi fece i complimenti in camerino, ma senza aggiungere altro. Poi a Roma mi invitò a fare un provino: mi riempì di belle parole, ma anche questa volta senza dirmi nulla dei suoi progetti. La sera eravamo in scena a Milano, arrivano i componenti del cast e mi dicono: "Maledetta, non ci avevi detto niente!". "Ma di cosa?". "Il Tg1 ha appena annunciato che farai Sanremo con Baudo e Claudia Gerini". Baudo mi aveva tenuto completamente all' oscuro. Senza quel Sanremo chissà che piega avrebbe preso la mia vita. Anche per questo, ho voluto Baudo testimone alle mie nozze».

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Lei deve molto anche al grande maestro Armando Trovajoli.

«Ho fatto tesoro dei suoi insegnamenti e siamo stati davvero legati, al punto che sua moglie è la madrina di mia figlia, anche per una circostanza che per una che crede a certi "segni" come me non poteva passare senza conseguenze: Trovajoli è morto il giorno in cui Giulia Tosca è nata».

 

In Senato, presenti il presidente Elisabetta Casellati e quello della Rai Marcello Foa, ha cantato in napoletano.

«Siamo stati invitati Massimo Ranieri ed io per un "Omaggio a Napoli", e ho eseguito alcune canzoni dello spettacolo La sciantosa ovvero Elvira Donnarumma, "'a capinera napulitana", regina indiscussa dei cafè chantant d' inizio Novecento. Ma a teatro ho anche affrontato l' impegnativo Rosso napoletano, uno spettacolo incentrato sulle 4 giornate di Napoli nel 1943, che racconta quindi un momento storico molto importante, non solo per la città, con la sua gioia per la libertà riconquistata sul campo, ma per tutto il nostro Paese, ricordandoci la fierezza di essere italiani».

 

A questi appuntamenti con Napoli è arrivata solo dopo anni di collaudata professione.

serena autieri e il marito serena autieri e il marito

«Dovevo essere pronta a presentarmi al pubblico della mia città al meglio. Ovviamente a Napoli avevo già fatto più volte tappa con gli altri lavori. Ma salire sul palco per impersonare un personaggio come Elvira, lì dove lei era diventata un simbolo, be', per me rappresentava un vero esame di maturità. È stato come un cerchio che si chiudeva, visto che la mia carriera è iniziata a Napoli con Un posto al sole».

 

È vero che quando portò in scena la commedia di Maurizio De Giovanni Ingresso indipendente disse: «Finalmente faccio la zocc...»?

«Non mi sono espressa così, si sarebbe potuto equivocare. Dissi invece: "Questa volta niente moglie, niente principessa. Finalmente interpreto una escort. Anzi, come diciamo in scena, proprio una zocc...". Rosalba, questo il nome della signorina mantenuta, ricordava un po' Irma la dolce di Shirley MacLaine. Fa la vita, ma ha studiato, è logopedista. Il testo, brillante, è una girandola di confronti ed equivoci in una specie di guerra dei sessi, in cui le protagoniste sono le donne».

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Mai avuto proposte o pressioni «indecenti»?

«Credo che ogni donna sappia quali segnali può lanciare per indicare una eventuale disponibilità, e come invece comportarsi perché non ci sia possibilità di fraintendimenti.

Parlo per me: io non ho mai ricevuto avance, pressioni o proposte indecenti forse anche perché, in presenza di ammiccamenti o battutine, ho sempre mantenuto le distanze circoscrivendo i rapporti all' ambito professionale. In questo, il mio apparire algida probabilmente mi ha aiutata».

 

Infatti: niente gossip, una ordinaria vita affettiva.

«Mi è stato trasmesso il senso della famiglia dai miei genitori, che stanno insieme da oltre 50 anni. Ho aspettato l' uomo giusto, e quando l' ho incontrato me lo sono sposato (il matrimonio con Enrico Griselli, produttore anche di altri artisti, risale al 2010, nda)».

 

Ha vinto la prima edizione di Tale e quale, facendo piangere Loretta Goggi con un' interpretazione da brividi di Maledetta primavera. Mi sarei aspettato di ritrovarla anche nell' edizione successiva.

«Non è successo ma non ho l' abitudine, per carattere, di soffermarmi su quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Convivo con un certo grado di fatalismo, che però non mi fa essere rassegnata o meno determinata, semmai il contrario: mi impegno ancora di più per farmi trovare pronta e preparata al momento giusto. Come si dice? "Fai quel che devi, accada quel che può"».

 

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Visto che mi cita un politico della Primissima Repubblica, Pietro Nenni, le chiedo: come giudica la situazione italiana?

«Non voglio infilarmi in una disamina delle odierne dinamiche, anche perché talvolta si ha come l' impressione che la loro comprensione sfugga perfino agli stessi protagonisti.

Quello che giudico preoccupante è il costante quadro di instabilità, ogni volta è come se si dovesse ricominciare da capo a mettere mano a problemi che sono quelli di sempre, e che nel frattempo si aggravano mentre tutti giurano di essere pronti a risolverli. E siccome la vita è quello che ti succede mentre tu sei lì a fare progetti, ecco che la situazione si avvita su se stessa. In peggio».

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Lei ha una bambina di 6 anni e mezzo. Come vede il suo futuro?

«Mio marito ed io non siamo certo come certi genitori che annunciano: "Appena posso mando mia figlia a studiare all' estero". Per carità, ognuno si regola come crede. Ma mia figlia crescerà e studierà qui. Ecco, mi basterebbe credere in uno Stato pronto a investire di più in istruzione e cultura, e in un sistema pronto a riconoscere e praticare, e non solo a parole (perché a parole la predicano e rispettano tutti), la meritocrazia. Dando a tutti pari opportunità di partenza, ma alla fine premiando chi se lo merita davvero.

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