Dal profilo Linkedin di Domenico De Masi
domenico de masi foto di bacco
Il Festival di San Remo si conferma come uno dei pochi prodotti italiani che continuano a eccellere. Penso, per esempio, al treno Freccia Rossa, alla terza rete radiofonica RAI, alla rivista “L’Internazionale”. Ma il Festival di San Remo si conferma anche come uno dei pochi, attendibili “analizzatori” sociali.
Cioè quei fenomeni quasi profetici che consentono di percepire la condizione antropologica della nostra società svelandone le oscillazioni e consentendo di metterle a nudo - così come si possono osservare sotto una lente di ingrandimento - i meccanismi di un orologio cui sia stata aperta la cassa.
La mancanza di pubblico imposto dalla pandemia ha costretto i geniali ideatori del Festival a inventarsi forme espressive che ne compensassero l’assenza e gli ha consentito di inserirsi nella grande onda della digitalizzazione che in questi mesi, con lo smart working, sta modificando i costumi di milioni di italiani. Inoltre ha permesso di affidare la scenografia ai soli effetti della virtualità luminosa che guadagna in spettacolarità tutto quello che risparmia nei costi, liberando il palcoscenico da tutta la paccottiglia cartonata.
Ma quest’anno il festival ha superato se stesso nell’indicarci con dovizia di indizi dove sta andando la nostra cultura post-moderna. La compresenza di Orietta Berti o di Ornella Vanoni con Madame o con Achille Lauro ha riaffermato la legittimità di unire la tranquillità del vintage con l’irrequietezza del sorprendente: come dire il palazzo tutto specchi di Hans Hollein di fronte alla cattedrale gotica di Vienna.
Ma questi fatti sono secondari rispetto alla grande novità: quest’anno, complice la pandemia, il Festival ha fatto per la prima volta un outing in piena regola, ripudiando le sue origini, quado uomini vestiti da uomini e donne vestite da donne cantavano canzoni regolamentari composte di strofe e ritornelli.
In questa edizione le canzoni sono diventate performances e i cantanti hanno stemperato la loro identità sessuale in una androginia dove i sessi sfumavano tra loro, gli uomini si baciavano tra loro, le cantanti sbattevano in faccia ai giornalisti le loro indifferenti preferenze erotiche.
Gli stessi presentatori, non più il maschio Pippo Baudo e la femmina Belen, sono stati due uomini ammiccanti tra loro, entrambi invaghiti del muscoloso Zlatan Ibrahimovic. La summa di tutto questo non poteva essere che il gruppo dei Maneskin dove uomo e donna, rock e melodico, gusto, buon gusto e cattivo gusto intenzionalmente si proponevano come trionfante patchwork culturale di sexual fluidity, pansessualità e androginìa.
Ma in questo convergere di uomo e donna chi dei due sta vincendo? La passerella di diecine di personaggi sul palco virtuale di San Remo non ha lasciato dubbi: sono le donne che, continuando a esibirsi orgogliosamente vestite da donne, colonizzano gli uomini costretti, per essere notati, a esibire abiti sempre più femminili. La fine del maschio inizia dall’estetica.
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FIORELLO MIHAJLOVIC IBRA AMADEUS fiorello sinisa mihajlovic zlatan ibrahimovic fiorello achille lauro 4 fiorello e achielle lauro fiorello 1 achille lauro 2 FIORELLO MIHAJLOVIC IBRA AMADEUS