1. SE I TALK SHOW SONO MORIBONDI, ANCHE I GIORNALI DI CARTA NON SE LA PASSANO MEGLIO DOPO PER INSEGUITO, E SCIMMIOTTATO, IL TRASH-SENSAZIONALE DEI FORMAT TV 2. LA PERDITA DELLA LEADERSHIP IN EDICOLA DEL “CORRIERE” CON IL SORPASSO, SIA PURE IN DISCESA, DEL SUO CONCORRENTE “LA REPUBBLICA” SUL FILO DELLE MISERE 300 MILA COPIE, È LA CONFERMA CHE IL MALE OSCURO DELL’EDITORIA NON È SOLTANTO IL WEB, MA LA QUALITÀ (E LA SOBRIETÀ) DEL PRODOTTO DA FAR DIGERIRE AI SUOI CLIENTI-LETTORI 3. E SE I CLIENTI FUGGONO DALLE EDICOLE E LA CRISI DELL’EDITORIA FA STRAGI TRA I GIORNALISTI E’ INUTILE AGITARE IL FANTASMA DEL WEB: PERCHE’ I LETTORI DE “LA REPUBBLICA” DOVREBBERO MORIRE PER RENZI E QUELLI DEL “CORRIERE” PER UN LETTA NIPOTE?

DAGOANALISI

Se i "talk show politici" in televisione sono morti, il giornale di carta non se la passa davvero meglio nell'inseguire, e spesso scimmiottare, quel modello trash-sensazionale imbottendo ogni giorno le sue pagine delle frivolezze (e delle nefandezze) che dovrebbero raccontarci la vita pubblica dei Palazzi romani.
Alla faccia della autorevolezza sempre rivendicata e della mancata sobrietà rinfacciata, invece, ai format televisivi.

E se l'audience dei vari (avariati) "Ballarò", "Virus", "La Gabbia", "Piazzapulita" ha raggiunto i livelli di guardia - secondo il criticone tv di via Solferino, Aldo Grasso "non approfondiscono un bel niente" (Paolo Mieli ospite fisso dei talk show, ringrazia) -, il loro collasso segnala che questi (s)format(i) sono finiti nel "buco nero" della politica e che pure l'informazione scritta sguazza, malconcia, nello stesso pozzo maleodorante per i lettori.

La perdita della leadership in edicola del "Corriere della sera" con il sorpasso, sia pure in discesa, del suo concorrente "la Repubblica" sul filo delle misere 300 mila copie, è la conferma che il male oscuro dell'editoria non è soltanto il web, ma la qualità (e la sobrietà) del prodotto da far digerire ai suoi clienti-lettori.

L'informazione online è Il Grande Alibi dentro il quale cercano, alla meno peggio, di nascondere (e mascherare maldestramente) la propria crisi d'identità sia gli editori dei Poteri marci sia i giornalisti, considerati ormai l'anello debole (e sacrificale) dell'attuale sistema informativo.
Appare, poi, addirittura schizofrenico l'atteggiamento dei giornali di carta rispetto ai siti d'informazione e allo strapotere invasivo di Google e degli altri motori di ricerca.

Domenica scorsa a Torino, al Prix Italia della tv, il direttore del Corriere, Flebuccio de Bortoli, ha confessato che è stato "un errore offrire contenuti on line gratuitamente" tant'è che in via Solferino pensano di introdurre la paywall.

Nelle stesse ore del suo pentimento pubblico, all'ippodromo di Milano gli "strilloni" dell'Rcs regalavano al pubblico accorso alle corse centinaia di copie omaggio del "Corriere della Sera e della "Gazzetta dello Sport".

Una pratica tarocca (e abusata da molto tempo) per gonfiare le tirature.
E una giuria composta del presidente della Federazione degli editori, Giulio Anselmi, e da ex direttori (Paolo Mieli, Gianni Riotta) quest'anno assegnerà il premio "E' giornalismo", animato dall'imprenditore del vino Giancarlo Aneri, proprio al Grande Fratello Maligno, Google.
Già, come si può conciliare la filosofia di Flebuccio de Bortoli di far pagare il Corriere on line e continuare a offrire gratis la copia stampata?
Ah saperlo!

Intanto, nelle note con cui i comitati di redazione annunciano di solito una giornata di sciopero contro la cacciata dei colleghi - una vera e propria mattanza nelle redazioni -, curiosamente non c'è mai traccia di critica alla direzione e al modello di giornale. E non si vede neppure ombra dell'interrogativo riguardante la qualità del prodotto che viene confezionato in redazione.
Né i giornalisti si domandano se, per caso, la disaffezione (di massa) dei lettori dipenda anche dal fatto che il "prodotto" non è più gustato (e digerito) come una volta.
Niente.

In redazione aleggia soltanto il fantasma del web. Uno spettro che, per esempio, nulla ha a che fare con il debito mostruoso (oltre un miliardo) accumulato in Spagna (acquisizione-pacco di Recoleta) dall'Rcs che edita Corriere e Gazzetta.

Come ricorda un cronista di lungo corso, quando ancora c'erano i partiti di massa (la Dc, il Pci e anche Psi e Msi), il Corrierone dedicava, oltre al pastone-nota, una paginetta e mezzo ai fatti (misfatti) della cosiddetta Prima Repubblica.

E, parimenti, si regolavano i suoi concorrenti, prima dell'arrivo de "la Repubblica"-Partito di Eugenio Scalfari. Magari al solo scopo di non disturbare troppo Lor Signori (al governo) o la partitocrazia d'antan delle fumose "convergenze parallele".

La metafora-provocazione dei "Millecinquecento lettori" scritta da Enzo Forcella nel lontano 1959, al momento di lasciare "la Stampa", è forse la migliore attestazione di quell'epoca in cui la cronaca politica urlata era lasciata in esclusiva ai giornali di partito. Ma nel suo passo d'addio dal quotidiano della Fiat, Forcella osservava pure qualcosa di ancora valido (e saggio) sul mestieraccio del cronista di Palazzo:

"I fatti per un giornalista politico non parlano mai da soli. O dicono troppo o dicono troppo poco. Quando dicono troppo bisogna farli parlare più sottovoce, quando dicono troppo poco bisogna integrarli per renderli al loro significato. Ma la chiarezza - concludeva Forcella - in questo lavoro è ingombrante".

Nell'Italia della post Rivoluzione "all'Italiana", figlia bastarda di Tangentopoli e sostenuta dagli editori dei Poteri marci nel tentativo di farla franca nella grande retata di Mani pulite, il vecchio e triste politichese è stato ahimè sostituito sui media-megafono; con l'invettiva ululata; la vajassata; le bastonate alle Caste (altrui); lo scandalismo da lavandaia; le interviste-cabaret o, peggio, in ginocchio...

Diceva nel lontano 1921 il giornalista e saggista Walter Lippmann che la "fedeltà del pubblico dei compratori a un giornale non viene sancita da alcun contratto (...) il lettore è l'unico e quotidiano giudice della propria fedeltà, e non gli si può far causa per rottura di promessa di matrimonio o per mancata corresponsione di alimenti".

E se la "costanza" del lettore dei quotidiani viene meno, ciò dipende, sosteneva ancora Lippmann, da molti elementi. Ma il più importante, aggiungeva, e che "ciascuno di noi tende a giudicare un giornale da come tratta quella parte delle notizie in cui si sente coinvolto".
E perché, allora, i lettori de "la Repubblica" di Ezio Mauro dovrebbero appassionarsi fino alla nausea alla saga politica del Pd e del suo maghetto viola, Matteuccio Renzi?

E perché da alcuni anni i lettori del "Corriere" di Flebuccio de Bortoli dovrebbero riconoscersi, e farsi trascinare in edicola, da un giornale che da anni picchia alla cieca in testa a tutte le Caste (altrui) e che per oltre un anno ha sostenuto il governo Monti Lacrime&Sangue, il peggiore della storia repubblicana?

Già, morire (in edicola) per Renzi o Enrico Letta?
"Gli aspetti negativi della vita politica sono stati sbandierati in modo esagerato e irresponsabile da un giornalismo scandalistico, con il risultato che l'opinione pubblica è giunta alla convinzione che la politica sia una pratica propria di individui amorali, inefficienti e inclini alla corruzione", ha osservato lo scrittore-Nobel Mario Vargas LLosa nel suo ultimo saggio "La civiltà dello spettacolo" (Einaudi).

Un giornalismo, insomma, "banalizzato" e "sacrificato" al solo scopo di combattere alla cieca la partitocrazia; una stampa autoreferenziale e supina al mondo dei Poteri marci che oggi agonizza e diserta i "patti di sindacato" con lena forse superiore ai lettori (smarriti e confusi) dei quotidiani.

 

renata polverini a ballaroTRAVAGLIO A LA GABBIA DI PARAGONE PAOLO MIELI MICHELE SANTORO Googlegoogle-logoGIANNI RIOTTA MAURIZIO CAPRARA piro05 giancarlo aneri Ferruccio de Bortoli Paolo Mieli Scott Jovane e Laura Donnini, amministratore delegato di RCS Libri.Laura Boldrini e Eugenio Scalfari FABIO FAZIO EZIO MAURO Mario Vargas Llosa

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