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LA STORIA DI SEBASTIANO VITALE, POLIZIOTTO PALERMITANO CHE RAPPA SOTTO LO PSEUDONIMO REVMAN - NELLE SUE CANZONI DENUNCIA LO SPACCIO DI DROGA, L'OMOFOBIA, LA GUERRA E LE MAFIE: "NON MI SENTIVO RAPPRESENTATO DALL'ESALTAZIONE DEL MODELLO CRIMINALE. NEI TESTI DEI CANTANTI TRAP LO SDOGANAMENTO E L'ESALTAZIONE DELLE DROGHE È COSA NOTA" - IL PADRE POLIZIOTTO, LA MADRE IMMORTALATA DA LETIZIA BATTAGLIA IN "LA RAGAZZA CON IL PALLONE": "LA COSA INCREDIBILE DI QUESTA STORIA È CHE…"

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Francesco Garozzo per “la Stampa”

 

Denunciare lo spaccio di droga, scrivere versi contro la mafia e incoraggiare chi è costretto a pagare il pizzo a ribellarsi, raccontare le donne vittime di violenza. Cantare contro l'omofobia e girare un video in cui due ragazzi si danno la mano avvolti nelle bandiere di Russia e Ucraina, come nel caso dell'ultimo singolo «Tra di noi», uscito lo scorso 17 maggio in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia: a parlare di tutto questo nelle sue canzoni è un rapper, Revman.

 

Cosa di per sé già insolita, visto che il mondo del rap e della trap strizza da sempre l'occhio - spesso in modo un po' stereotipato - al guadagno facile, alla prevaricazione, all'estetica da gangster importata dalle metropoli statunitensi.

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Ancora più insolito è che il 32enne Revman, cioè Sebastiano Vitale, palermitano, nella vita sia un poliziotto. Poliziotto assegnato alla questura di Milano, da dieci anni per le vie del capoluogo lombardo a ripercorrere la strada del padre Salvatore, poliziotto anche lui: «Sono stato poliziotto prima di diventarlo», dice Revman. «Crescere con un padre in polizia ti trasmette la mentalità dell'appartenenza. L'appartenenza al mondo della legalità, a quel mondo che si impegna contro ogni tipo di illegalità».

 

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I turni in volante, le notti in giro per la città, la scoperta della Milano del degrado e della criminalità: esperienze che Revman ha trasferito nei testi delle sue canzoni. La passione per la musica risale ai tempi dell'adolescenza, «anni in cui mi sono avvicinato alla break-dance. Da lì ai musicisti rap il passo è stato breve, a cominciare da Eminem, il riferimento principale per gli appassionati della mia generazione».

 

Seppur affascinato da quelle rime e da quei ritmi, qualcosa per Sebastiano suonava comunque stonato: «Non mi sentivo rappresentato dall'esaltazione del modello criminale, dell'uomo che tende a prevaricare sulle donne e sugli altri. Soprattutto nei testi dei cantanti trap lo sdoganamento, e a volte l'esaltazione, dell'uso delle droghe è cosa nota. In me è così maturata la voglia - spiega - di produrre un tipo di rap che non si era mai sentito prima».

 

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Dicendo cose che nessun rapper aveva mai detto prima. Una piccola rivoluzione, «la nascita del rap della legalità», come il poliziotto Sebastiano Vitale ama definire il suo stile. In «Rogoredo Trap» - (il boschetto di Rogoredo, periferia milanese, è stato per anni la principale piazza di spaccio del Nord, ndr) versi come «scrivo per i ragazzi senza obiettivi, senza qualcosa che li renda vivi non sono qui per farti la morale ma della vita farti innamorare» spiegano bene l'approccio di Revman. Ancora più urgente la denuncia in «Musica contro le mafie», brano in cui si ascolta la frase-manifesto del suo pensiero: «Io credo nella giustizia e non in questa immondizia».

 

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Affascinante poi scoprire come il caso e la vita si siano divertiti a combinare e scombinare le carte. Siamo a Palermo, è l'estate del 1980. Una bambina di dieci anni sta giocando con un pallone per le strade del quartiere La Cala. Una delle più grandi fotografe italiane, la palermitana Letizia Battaglia (anni a documentare il dramma della mafia sulle pagine del quotidiano L'Ora), ha finito da poco di pranzare in una trattoria ed è colpita da quella bambina. Si avvicina e scatta.

 

Lo scatto diventerà «La bambina con il pallone», una delle immagini più celebri della fotoreporter scomparsa lo scorso 13 aprile. Quella bambina, Caterina Malizia, è la madre di Revman: «La cosa incredibile di questa storia è che per quasi 40 anni ho vissuto senza saperne nulla», racconta Caterina, che oggi è tornata a vivere nel suo paese d'origine, Monreale. «Solo quando Letizia Battaglia, nel 2018, lanciò un appello per ritrovare la sua" bambina con il pallone", sono riuscita a ricostruire tutto. Quella bambina ero io, quel pomeriggio del 1980 ero a La Cala in visita ai miei zii che abitavano non lontano dal punto della fotografia».

 

La bambina con il pallone di letizia battaglia

Caterina ha quindi avuto modo di conoscere Letizia Battaglia, di diventare sua amica, «di apprezzarla come fotografa e come donna. Dolce e determinata, è riuscita a trasmettermi dei valori che ormai fanno parte della mia vita». Caterina fa parte del cast di «Solo per passione», il film per la tv - la seconda puntata in onda stasera su Raiuno - diretto da Roberto Andò con Isabella Ragonese nel ruolo di Letizia Battaglia. Tutto si tiene, in questa storia di un figlio che diventa poliziotto come il padre e che canta la legalità e la lotta alle criminalità; e di un ex bambina che diventa amica di una fotografa simbolo di testimonianza e lotta alla mafia. Perché, come conclude Revman, «Falcone e Borsellino hanno lanciato i semi; noi dobbiamo essere la foresta».

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