UNA VITTORIA PER BIDEN: POTRÀ ALZARE LE TASSE ALLE MULTINAZIONALI AMERICANE SENZA CORRERE IL RISCHIO CHE SCAPPINO ALL'ESTERO PER NON PAGARE. ACCORDO PER UNA TASSA MINIMA GLOBALE DEL 15% ALLE IMPRESE IN TUTTO IL MONDO. IL VIA LIBERA DEI PAESI OCSE: DAL 2023 IN ARRIVO 150 MILIARDI DI DOLLARI DI RICAVI FISCALI IN PIÙ - A RESISTERE ERANO STATE ESTONIA, IRLANDA E UNGHERIA MA SONO STATE CONVINTE...

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PAOLO MASTROLILLI per la Stampa

 

 

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La corsa al ribasso fiscale finisce qui, con l'accordo annunciato ieri dall'Oecd (Ocse) per imporre una "global minimun tax" del 15% alle imprese in tutto il mondo. Ciò significa in generale una maggiore equità globale, con la redistribuzione dei ricavi, ma in particolare un successo per gli Usa, perché Biden potrà alzare le tasse alle multinazionali americane senza correre il rischio che scappino all'estero per non pagare. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati dalla competizione tra i paesi per le imprese straniere, offrendo aliquote sempre più basse.

 

Così hanno finito per rincorrersi, tagliando sempre più le tasse, allo scopo di battere la concorrenza e attirare il business internazionale. Poi magari le aziende non producevano nulla sul loro territorio, ma questo non era il punto: l'importante era risparmiare sul fisco. A perderci erano i paesi dove le compagnie basavano davvero le attività, che erano al centro del loro successo commerciale, ma finivano per ricavarne poco o niente. Invece per gli altri stati, che le attiravano con la corsa al ribasso, era tutto guadagnato, perché prima non avevano nulla, ma dopo incassavano un po' di tasse e un po' di indotto. L'altro fenomeno prevalente erano le multinazionali che invece di pagare il fisco nei paesi dove generavano i profitti con le vendite, lo facevano in quelli che offrivano condizioni migliori.

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Tutto questo dovrebbe finire con l'accordo annunciato ieri dall'Oecd, a cui hanno aderito 136 stati, ossia tutti i membri, tranne Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka. Verrà presentato al vertice dei ministri delle Finanze del G20, che l'italiano Franco presiederà a Washington il 13 ottobre, e poi ai leader che si troveranno a Roma a fine mese. A quel punto dovrà essere ratificato dai Parlamenti.

 

L'intesa si basa su due pilastri. Il primo prevede una riallocazione dei diritti di tassazione su circa 125 miliardi di dollari, che consentirà ai paesi in via di sviluppo di guadagnare più rispetto a quelli ricchi. Il secondo impone una tassa minima globale del 15%, alle compagnie che incassano più di 750 milioni di euro. Ciò dovrebbe generare circa 150 miliardi di dollari di ricavi fiscali aggiuntivi, che i governi potranno investire nelle infrastrutture o altri interventi per crescere.

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I paesi che avevano resistito erano tre, Estonia, Irlanda e Ungheria, ossia quelli che avevano scommesso di più sulla corsa al ribasso. Il primo ha ottenuto garanzie che i suoi imprenditori non verranno danneggiati; il secondo che le piccole imprese saranno risparmiate; e il terzo che la transizione durerà 10 anni, invece di 5. Il loro via libera ha consentito di finalizzare l'accordo. Il risultato sarà una maggiore equità globale, ma gli Usa avevano proposto il provvedimento perché Biden vuole aumentare le tasse sulle grandi compagnie americane, in modo da finanziarie i due pacchetti di infrastrutture fisiche ed umane da 1,2 e 3,5 trilioni. Il suo timore era che le aziende sarebbero fuggite all'estero, ma così pensa di aver disinnescato la mina.

 

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