giampaolo pansa copia

VIVA PANSA! - GIULIO ANSELMI: ''IMMAGINIFICO E ULTRACREATIVO,  MA NON AVER MAI AVUTO UNA DIREZIONE È STATO IL CRUCCIO DELLA SUA VITA'' - MERLO: ''LO TRATTAVANO DA SOPRAVVISSUTO, MA ADESSO CHE GIAMPA È MORTO, GIAMPA RITORNA FINALMENTE A VIVERE'' - VALENSISE: '''IL SANGUE DEI VINTI' LO CONSACRÒ COME AUTORE DI BEST SELLER E LO CONDANNÒ COME UN PARIA, UN TRADITORE, PERCHÉ RUPPE UN TABÙ DELLA SINISTRA''

  1. «BALENA BIANCA E DALEMONI, LE GRANDI INTUIZIONI»

Maria Luisa Agnese per il “Corriere della Sera

 

giulio anselmi foto di bacco

«Immaginifico e ultracreativo, Pansa ha reinventato e dato nuova linfa al giornalismo politico, con le sue intuizioni linguistiche, le balene bianche, i bestiari, i Dalemoni, crasi fra D' Alema e Berlusconi, per spiegare l' inciucio fantasioso». Giulio Anselmi è stato direttore dell' Espresso con Giampaolo Pansa condirettore. Una convivenza che ricorda come un periodo buono, anche se aggiunge che spesso «bisognava ricordargli chi era il direttore. E forse il non avere mai avuto una direzione è stato il cruccio della sua vita».

 

Aveva una gran facilità di linguaggio, dice Anselmi, e un talento affabulatorio: «Quando arrivai all' Espresso lui aveva già vissuto una stagione di intesa straordinaria con il direttore precedente, Claudio Rinaldi, una strana coppia, di personaggi diversi ma con una incredibile intesa politica». Anselmi ha intuito subito che Pansa aveva anche un talento «fra l' ironico e il cattivo per le copertine». Anselmi lo assecondò, anche se sapeva che gli avrebbe creato qualche grattacapo. «Successe quando Berlusconi vinse le elezioni. Il Cavaliere, si sa, aveva il vezzo di ripetere "mi consenta, mi consenta", e lui suggerì la famosa copertina con la scritta E ora mi consento».

 

giampaolo pansa

Altra carina, ricorda Anselmi, fu la copertina, con Francesco Rutelli e Barbara Palombelli e la scritta «Cicciobelli», in occasione della candidatura di Rutelli. Quello che si irritò fu l' editore Carlo De Benedetti, che nell' occasione aveva deciso di appoggiare Rutelli e non Giuliano Amato. «In ogni caso la presenza di Giampaolo nelle riunioni di redazione era sempre vitalizzante».

 

Amava i giovani? «Non ricordo una sua particolare propensione verso di loro, con l' eccezione di Marco Damilano, che poi ho assunto proprio su segnalazione di Pansa e non me ne sono mai pentito». Lo spirito battagliero, quasi dispettoso da giornalista di razza lo portò anche, da un certo punto in poi, a impegnarsi in quella pubblicistica fortemente revisionista della Resistenza.

 

«Un inedito per chi come lui aveva sempre avuto un taglio da giornalista di sinistra, ma un po' per il suo spirito da bastian contrario, un po' perché era lusingato dai consensi e dalle lettere che riceveva, restò quasi prigioniero di quella persona che era diventato, diversa dal Giampaolo Pansa che conoscevamo. Era risentito, forse inseguiva qualcosa che non aveva mai avuto».

 

eugenio scalfari giampaolo pansa

 

  1. ADDIO A GIAMPAOLO PANSA, IL CRONISTA D'ITALIA

Francesco Merlo per ''la Repubblica''

 

Lo trattavano da sopravvissuto, ma adesso che Giampa è morto, Giampa ritorna finalmente a vivere. E finalmente ci metteremo a studiare quegli articoli che lanciavano grandi sguardi sugli avvenimenti indugiando su minuzie descrittive sempre condite dall'aneddoto e spesso dalla malignità: la Balena Bianca, il Coniglio Mannaro, l’epica delle truppe mastellate all’assalto dei congressi.

 

Armato di penna e di binocolo per rubare un’espressione, una smorfia, un fastidio. Il Pci era l’elefante rosso, e nella sede della Dc scoprì il tavolo che il corto Fanfani aveva fatto segare. E poi gli onorevoli Cazzetti e Cazzettini, ma anche il canto dell’'Internazionale che nell'aula bunker divenne uno sghignazzo, le facce dei morti ammazzati, la ferocia dei terroristi che si trasformò in miseria e pena quando li rincontrò come ex terroristi, con tutte quelle sanguinarie dall'aria mansueta. E poi le interviste, i ritratti: Berlinguer, Romiti, Lama, Andreotti, Craxi, Berlusconi, D'Alema…

 

francesco merlo foto di bacco (2)

È l’opera che illumina tutta la vita di Giampaolo, anche i suoi errori, l’ossessione di celebrare Salò e le vittime dell’antifascismo: “Ho descritto tante Italie. Mi sono inoltrato su terreni che nessuno voleva esplorare, come la guerra civile e il sangue dei vinti”. Pansa diceva di dovere a Fenoglio il passaggio da sinistra a destra, dalla tesi di laurea sulla Resistenza concordata con Alessandro Galante Garrone, ai libri appunto su Salò che tanto hanno venduto e che lo hanno gettato in quella rissa culturale che confessava di amare per istinto: “Non mi piace ubbidire perché non mi piace comandare”.

 

E la sua prosa, la sua passione, la sua liberà cocciuta facevano dimenticare tutto il resto, si faceva perdonare con una metafora, con due aggettivi: “Una giornata di sole asciuga tutti i bucati”, si dice a Casale Monferrato, dove era nato. E tutto finiva e ricominciava nella  sua risata da munfrin, che sono gli omoni di schiatta contadina, picareschi e spavaldi descritti da Fenoglio che non fu solo il poeta delle Langhe.

 

Davvero è morto, in quella clinica dov’era ricoverato da un mese e dove continuava a scrivere, il rompiscatole del giornalismo italiano, il cronista più bravo, il campione della passione e del risentimento, con noi e contro di noi, con Repubblica e contro Repubblica, con la sinistra e poi con la destra ma sempre restando se stesso, maestro della scrittura come risarcimento, del colpo di penna come colpo di spada.

 

IL DITTATORE - GIAMPAOLO PANSA

Aveva accanto Adele, la donna che più ha amato, la compagna che era anche la sua coscienza, grazie a lei e alla scrittura riuscì a sopravvivere alla morte, a soli 55 anni, del figlio Alessandro, un capitano d’industria stimatissimo, alla Feltrinelli, a Finmeccanica, al Credito italiano, banchiere d’affari…, il contrario del padre che nei numeri si perdeva, un macigno per il vecchio Giampa che sembrava destinato a una morte felice: “Come posso credere a un Padreterno che ha preso lui anziché prendere me”.

 

Monferrino timido e ribelle, Giampa aveva il coraggio e la modestia di quella piccola specialissima patria piemontese, il complesso di inferiorità della provincia che è la cuccia di tutti i grandi italiani. Anche da vecchio scriveva ancora per il papà Ernesto, operaio del telegrafi, per la mamma Giovanna che non leggeva i suoi articoli, per la nonna Caterina, contadina analfabeta «che non aveva altra terra se non quella dei vasi da fiori», la nonna che perse il marito — Giovanni — nei campi, poi perse un figlio — Paolo — che cadde da un'impalcatura. Ed è a loro che fu dedicato il ragazzo: Giovanni e Paolo, Giampaolo.

 

GIAMPAOLO PANSA IL SANGUE DEI VINTI

C’era la foga del malessere come risorsa persino nel suo famoso stile che è diventato una scuola. Sferzante e imprevedibile, ogni tanto si faceva spericolato, come sempre è accaduto ai grandi giornalisti impressionisti che si possono permettere anche la libertà di inventarsi un Kant fatalista di provincia: «Fai quel che devi e avvenga quel che può», si inventò un giorno.

 

Pansa era fatto così, concentrava in sé tutto il bene e il male di un mestiere che si sta inesorabilmente rovinando, la velocità di scrittura, la fantasia delle citazioni, la memoria e l’amore per la battuta. Riassumeva se stesso così: “Tutto ciò che resterà della mia vita è quello che ho scritto”.  E tutti sapevano che avrebbe scritto pure sui muri, sempre funambolico, la vita come spettacolo — «Scrivo da un Paese che non esiste più», fu l'incipit dal Vajont — e quell'attenzione dolce per il dolore che è un’altra delle lezioni più belle di Fenoglio.

 

Senza concessioni alla moda detestabile del maschio femminista e senza i compiacimenti generazionali per la malafemmina, Pansa è anche la straordinaria storia d’amore con la signora Adele Grisendi: “Non ero io che decisi di guardarla, ma era lei che mi obbligò a farlo”.

 

Non voglio essere reticente: indimenticabili sono state le cattiverie polemiche che scrisse su Ezio Mauro, Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari perché sino alla fine Repubblica gli tornava in gola. Erano fratelli e si guastarono, dove guastarsi è un'altra maniera di vivere insieme, senza mai perdersi di vista. Come ha detto Scalfari i grandi protagonisti delle polemiche del tempo, quando passa quel tempo, non hanno conti da saldare. Rimangono gli stili e i dettagli di vita come contributi alla biografia del giornalismo italiano della carta stampata, alla struggente bellezza di una professione morente che ha premiato Pansa sino a eleggerlo maestro.

marina valensise foto di bacco

 

 

  1. RUPPE IL TABÙ DELLA SINISTRA

Marina Valensise per ''Il Messaggero''

 

 

Parla Pansa. Se ne va con Giampaolo Pansa uno degli ultimi giornalisti liberi della sua generazione. Un uomo dal talento generoso e straripante, un uomo buono, colpito dalla morte del figlio adorato, scomparso a 55 anni nel 2018, un intellettuale audace e al tempo stesso irriverente, uno scrittore e un autore di successo che ha fatto scuola non solo nel giornalismo italiano, ma nel modo di raccontare il nostro passato prossimo e remoto, mostrando il coraggio di squarciare il velo di ipocrisia su alcune delle sue pagine più tragiche anche a costo di attizzare una polemica furiosa, e di finire nel campo dei reprobi, dei paria, dei condannati all'ostracismo.

 

GIAMPAOLO PANSA LA REPUBBLICHINA

LE DOMANDE

Parla Pansa. Rispondeva così al telefono, sempre pronto a rispondere alle domande dello scocciatore, del giovane cronista, del lettore fanatico. E da quel tono allegro e sardonico, pieno di generosa ironia, si capiva che la libertà gli piaceva da matti, anche a rischio di passare per un provocatore. Era in fondo ed è sempre stato un outsider, nel giornalismo italiano del dopoguerra, un tipo senza complessi, che si divertiva a confondere i confini, passare le linee, uscire dalle gabbie ideologiche dei vari campi di appartenenza in anni in cui la militanza politica era una religione civile. Anni lontani, dove i confini tra fascismo e antifascismo erano invalicabili, e dove era impensabile passare da un fronte all'altro per il solo gusto di conoscere la verità della storia.

 

Pansa questo fece. Il figlio della sarta di Casale Monferrato che aveva vissuto da ragazzo la stagione più nera della guerra civile in Italia, sognava di diventare uno storico. E infatti si laureò con Guido Quazza con una tesi sulla Guerra partigiana tra Genova e il Po, e continuò per qualche tempo a lavorare all'Università con Alessandro Galante Garrone, altro grande storico torinese, studioso della Rivoluzione francese, di Buonarroti, e della congiura degli Eguali, la genealogia del socialismo. Catturato dal giornalismo, fu cronista della Stampa, passò al Giorno, tornò alla Stampa, come inviato da Milano all'epoca in cui il direttore era Alberto Ronchey, e seguì da vicino la strage di Piazza Fontana.

giampaolo pansa

 

Per due anni, tra il 1972 e il 1973, fu anche caporedattore al Messaggero. Quando passò al Corriere diretto da Piero Ottone, a metà degli anni Settanta, mise a nudo la trama dello scandalo Lockheed, e nel 1977 passò a Repubblica e al Gruppo Espresso, dove rimase per trent'anni, maestro inimitabile, graffiante, sardonico, ingestibile, nella sua analisi della politica, nel suo racconto dei vizi dei potenti di turno, e del teatrino ineffabile del potere.

 

LA SVOLTA

La vera svolta avvenne per lui nel 2001 quando pubblicò un saggio, I figli dell'aquila, per raccontare di un volontario della Repubblica sociale italiana. Iniziò allora per lui il così detto ciclo dei vinti, la narrazione molto romanzata ma veritiera delle violenze compiute dai partigiani ai danni dei fascisti, negli anni bui della guerra di liberazione, che fu come gli storici più coraggiosi ebbero modo di dimostrare, una guerra civile. Il sangue dei vinti, pubblicato nel 2005, lo consacrò come un autore di best seller e lo condannò come un paria, un traditore, un revisionista agli occhi della sinistra radicale e antifascista che mal tollerava la libera perlustrazione in un campo minato.

 

pansa alessandro

Nel 2006, ricordo ancora il clamore, l'indignazione, e l'ostracismo che segnò l'uscita di Sconosciuto 1945, un altro best seller pubblicato da Sperling&Kupfer, sui ventimila scomparsi, torturati e uccisi, per le vendette dopo il 25 aprile, nella memoria dei vinti. Non era un altro capitolo dell'antistoria della Resistenza che Pansa perseguiva da anni, ma un'opera di liberazione intellettuale e morale. Per la prima volta Pansa apriva ai suoi lettori il suo archivio, per dare direttamente voce alle centinaia di fonti che per sessant'anni erano rimaste chiuse sottochiave, condannate al silenzio.

ALESSANDRO PANSA

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