Emanuele Bonini per “La Stampa”
Oxford, Cambridge, Eton? No, thanks. Gli europei «ripudiano» le università britanniche. Che si tratti degli atenei più prestigiosi e rinomati o sedi meno altisonanti, la scelta per il gradino più alto di istruzione e formazione non premia il Regno Unito, e anzi sancisce la sua bocciatura.
L'anno accademico che sta per aprirsi vede un'emorragia di iscritti e candidati dell'Europa continentale. Brexit e pandemia di Covid sono le ragioni che spiegano i numeri della crisi del sistema universitario di Sua Maestà: -43% di richieste, -56% di iscrizioni.
A certificare la fuga dei cervelli dalla Gran Bretagna il Servizio ammissioni per università e college (Ucas), l'organismo responsabile della gestione delle domande per gli istituti di istruzione terziaria del Regno Unito. I dati diffusi indicano che «9.820 studenti dell'Ue sono stati ammessi a studiare nel Paese, per un calo del 56%» rispetto agli immatricolati lo scorso anno.
Un dato che si spiega soprattutto guardando il numero di candidature, appena 27.750 presentate per l'anno 2020-2021, in calo del 43% rispetto ad un anno fa.
L'uscita del Regno Unito dall'Ue con la conseguente riscrittura delle regole del gioco è uno dei motivi che ha tenuto lontano gli studenti dell'Unione europea, orfani del loro status privilegiato e ora trattati alla stregua dei colleghi extra-comunitari. Sono aumentate innanzitutto le rette. Prima della Brexit, gli studenti europei pagavano le stesse tasse di iscrizione dei locali, vale a dire un massimo di 9.250 sterline all'anno (circa 10.800 euro).
Da quest' anno per loro il costo risulta più che raddoppiato e in alcuni casi addirittura triplicato. C'è poi la complicazione burocratica. Causa Brexit, a partire da ottobre i britannici non accetteranno più le carte di identità valide per l'espatrio. Vuol dire perdite di tempo e denaro per nuovi passaporti. Seccature che danno fastidio a molti.
A ciò si aggiunge la crisi sanitaria. L'avanzata della variante Delta ha giocato un ruolo nella decisione di rivolgersi ad altri atenei. Tra pandemia e Brexit gli addetti ai lavori però non nascondono che sia la seconda ad aver influito maggiormente.
«In realtà la domanda viene soppressa dalla sensazione che il Regno Unito sia più inaccessibile di quanto non fosse prima», sia da un punto di vista economico che di accoglienza, riconosce Vivienne Sterne, di Universities UK, l'ombrello che racchiude 140 università di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord.
Non a caso gli europei decisi a usufruire del servizio d'istruzione britannico hanno privilegiato le destinazioni dell'Ulster (+40%) dove iscrizioni e tasse universitarie sono più basse che nel resto del Regno Unito. Al momento oltre Manica non sembrano troppo preoccupati. L'emorragia di europei è compensata dall'aumento dei giovani talenti extra-europei, come malesi (+33%) e statunitensi (+30%), ma soprattutto cinesi.
Le domande di questi ultimi sono 28.490, un dato raddoppiato rispetto al 2017 e per la prima volta superiore alle richieste europee. Oxford, Cambridge e il mondo dell'eccellenza britannica non rischiano scossoni finanziari, ma la «trazione cinese» solleva perplessità e si vorrebbe che il governo facesse di più per attirare studenti europei. Di nuovo.