Vincenzo Iurillo per il “Fatto quotidiano”
Annullata con rinvio la sentenza di Corte d’appello civile di Firenze che aveva visto Tiziano Renzi “vincere facile” anche in secondo grado, come aveva fatto in primo, per mancanza di avversario, come nelle vecchie pubblicità del Gratta e Vinci. Tiziano Renzi aveva fatto causa civile per diffamazione contro il direttore del Fatto e aveva vinto 50 mila euro in primo grado perché la sua controparte era rimasta contumace, per mancata notifica dell’atto di citazione.
Vittoria poi confermata in Appello perché a Marco Travaglio era stato impedito di far valere le sue difese. Motivo? Non essendosi costituito in primo grado perché ignaro del processo, aveva omesso “di invocare l’esimente del diritto di cronaca o critica e, conseguentemente di fornire la prova della veridicità del fatto narrato” ed era troppo tardi per farlo in Appello, avevano scritto i giudici.
Insomma, Travaglio non si era potuto difendere in ben due gradi di giudizio. E non aveva potuto ricondurre nel perimetro del diritto di cronaca e di critica le affermazioni perle quali era stato condannato. Pronunciate durante una puntata di Otto e Mezzo il 9 marzo 2017, rispondendo a una domanda di Lilli Gruber.
Erano i giorni in cui impazzava il caso Consip e Travaglio disse: “Se il padre del capo del governo si mette in affari o si interessa di affari che riguardano aziende controllate dal governo, magari a beneficio di imprenditori che finanziano o hanno finanziato il capo del governo, questo non so se sia un reato questo è un gigantesco conflitto d’interessi”.
Ora, che il padre di Renzi si fosse interessato delle gare di Consip era un dato pacifico, persino ribadito dal suo coinvolgimento nell’inchiesta con l’accusa di traffico d’influenze illecite, a cui il direttore non aveva fatto cenno nel suo intervento. Ma per la Corte d’appello, come per il tribunale prima, queste parole erano state “demolitive sul fronte etico, politico e della dignità personale” dei Renzi. E andavano risarcite con 50 mila euro. Per fortuna c’è un giudice a Roma.
La Cassazione, accogliendo il ricorso degli avvocati Caterina Malavenda e Antonio Sigillò, ha stabilito che “l’esistenza o meno della scriminante del diritto di cronaca o di critica integra una eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio a prescindere dalla specifica e tempestiva allegazione della parte e anche in Appello”. I giudici di secondo grado avrebbero dovuto valutarla di propria iniziativa e la Cassazione ora ordina loro di farlo.