CONDANNATA A SEI ANNI DI CARCERE LA 27ENNE  DELLA PROVINCIA DI TORINO CHE TRAVOLSE CON LA SUA AUTO L'UOMO CHE VOLEVA VIOLENTARLA, LA NOTTE DI CAPODANNO DEL 2019 - LA DONNA ERA STATA ASSOLTA IN PRIMO GRADO MA LA CORTE D’APPELLO HA RIBALTATO IL VERDETTO, DOPO AVER RIASCOLTATO ALCUNI TESTIMONI, RIESAMINATO GLI ATTI E RICHIAMATO IN AULA I CONSULENTI TECNICI: NON FU LEGITTIMA DIFESA - LA STORIA

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Estratto dell’articolo di Simona Lorenzetti per https://torino.corriere.it

 

Ha investito e ucciso l’uomo che voleva violentarla. Legittima difesa fu il verdetto della Corte d’Assise di Alessandria che decise di assolvere Aurela P., 27 anni, dall’accusa di omicidio volontario. Ora la Corte d’Assise d’Appello di Torino ha ribaltato la sentenza e pur riconoscendo all’imputata un ampio spettro di attenuanti l’ha condannata a sei anni di carcere. Viene così riscritta la storia della morte di Massimo Garitta, 57 anni, ucciso a Ovada la notte di Capodanno del 2019.

 

AURELA PERHATI MASSIMO GARITTA AURELA PERHATI MASSIMO GARITTA

L’imputata era una giovane commessa dell’outlet di Serravalle, la vittima un barbone dalla vita disordinata. Quel pomeriggio, intorno alle 18, Aurela P. fa salire l’uomo a bordo della propria auto, una Lancia Y: lui aveva bisogno di un passaggio, lei forse cercava un po’ di droga. Si dirigono verso l’autostrada, ma durante il tragitto lui l’aggredisce.

 

A quel punto la ragazza imbocca una strada che sfocia in un campo: lottano e lei riesce a sfuggire all’aggressione scendendo dalla vettura. Garitta a sua volta la segue. Ed è in quel momento che la ragazza risale in fretta in auto, ingrana la marcia e fa inversione a U con l’intento di allontanarsi il più possibile. Mentre esegue la manovra,  l’imputata investe il 57enne.

MASSIMO GARITTA MASSIMO GARITTA

 

Per la difesa e i giudici di primo grado, l’uomo aveva cercato di intercettare la vettura per costringere la donna a fermarsi e portare a termine la violenza. Per l’accusa, Aurela P. lo ha ucciso senza che vi fosse un reale pericolo. La donna non ha denunciato l’accaduto, solo qualche giorno più tardi i carabinieri sono risaliti a lei: sulla giacca della vittima era impresso il marchio della marmitta della Lancia Y, una firma indelebile per gli investigatori. A quel punto l’ex commessa ha confessato. La sua narrazione aveva trovato conferma in una consulenza tecnica.

 

I giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno però letto in maniera diversa le prove raccolte: hanno riascoltato alcuni testimoni, riesaminato gli atti e richiamato in aula i consulenti tecnici che analizzarono le tracce lasciate dalla vettura. E infine hanno ribaltato il verdetto. […]

 

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