IL DESTINO DELLA GUERRA PASSA PER KHERSON – UNA GIORNATA DI BATTAGLIA CON LA 59A BRIGATA UCRAINA CHE PUNTA A KHERSON. SAREBBERO 30 I BATTAGLIONI TATTICI RUSSI INTORNO ALLA CITTA’, CRUCIALE PERCHE' ACCESSO ALLA CRIMEA E AL MAR D'AZOV – MANNOCCHI: “QUANDO GLI ARTIGLIERI RICEVONO LE POSIZIONI RUSSE SANNO CHE DEVONO FARE PIÙ IN FRETTA POSSIBILE, SPOSTARE L'OBICE DA 152MM, VERIFICARE LE COORDINATE RICEVUTE, SPARARE LE MUNIZIONI E ALLONTANARSI PRIMA CHE ARRIVI IL CONTRATTACCO RUSSO. COLPIRE O ESSERE COLPITI

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Francesca Mannocchi per “La Stampa”

 

controffensiva ucraina nella regione di kherson 2 controffensiva ucraina nella regione di kherson 2

È mezzogiorno di sabato mattina quando gli artiglieri della 59a brigata motorizzata delle forze di terra ucraine escono correndo dalla loro base. Gli operatori dei droni di ricognizione hanno appena spedito la posizione di una batteria d'artiglieria russa a quindici chilometri di distanza, nei territori occupati della regione di Kherson.

 

Sono arrivate le coordinate dell'obiettivo e l'obice deve spostarsi e colpirlo. Deve farlo velocemente e poi spostarsi per non essere colpito a sua volta, se intercettato dai droni russi. È così che funziona la guerra d'artiglieria. È così che gli ucraini stanno provando a colpire la logistica e il rifornimento russi aprendo lo spazio alla fanteria.

 

Due giorni fa il comandante della brigata, Serhiy Cehitskyi, ci ha concesso l'accesso alla sua unità permettendoci di documentare una giornata di battaglia dell'artiglieria nell'area tra Mykolaiv e Kherson, quanto si siano accorciate le distanze tra le forze armate.

 

bandiera bianca sul carro armato russo bandiera bianca sul carro armato russo

Le cose stanno cambiando su molti fronti in Ucraina. Dopo la controffensiva di settembre nelle regioni nordorientali, uomini e mezzi dell'esercito ucraino si stanno riposizionando a Est e Sud. Sul fronte orientale, in Donbass, nell'ultima settimana i russi stanno perdendo terreno e sono stati respinti alla periferia di Bakhmut, cioè l'unica città in cui continuavano a guadagnare terreno da mesi, sebbene lentamente.

 

Sul fronte meridionale le truppe ucraine avanzano da metà agosto verso Kherson, l'obiettivo finale della prossima battaglia. Che però si presenta piena di ostacoli. Conquista di importanza strategica - città di accesso sia alla Crimea annessa al Cremlino che al Mar d'Azov - e simbolica, perché è l'unica provincia caduta interamente in mano ai russi e occupata in meno di una settimana tra febbraio e marzo.

 

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All'inizio dell'invasione le forze russe di stanza in Crimea l'hanno accerchiata, controllando prima i villaggi vicini, l'aeroporto di Chernobaevka, poi sono entrate in città, sconfiggendo le truppe ucraine in inferiorità numerica e aiutati da una solida rete di collaborazionisti. Il 3 marzo la città era occupata, così come le zone circostanti.

 

Una disfatta per l'esercito di Kiev, che proprio per questo vuole conquistarla presto, sulla scia delle vittorie a Nord e a Est, e soprattutto prima che arrivi l'inverno. Il comandante Cehitskyi è originario della città di Haisyn,nell'Oblast di Vinnytsia. È lì che è nata la brigata 59 quando nel 2014 si sono uniti tre battaglioni di difesa territoriale per combattere in Donbass.

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Cehitskyi è un veterano della guerra del Donbass, ma quei combattimenti - dice - «non hanno niente a che vedere con quello che viviamo qui». Non vede sua moglie, sua figlia e i suoi nipoti da febbraio. Guarda le foto sul telefono, insieme a quella che lo ritrae mentre aiuta un'anziana della regione a portare via dai detriti di casa le poche cose che le restano intatte dopo un attacco russo.

 

I suoi uomini vivono nelle trincee da otto mesi. Chilometri di fortificazioni altezza uomo scavate in mezzo ai canali di irrigazione nelle pianure della regione. È qui che i soldati si nascondono dai droni russi, dormono a gruppi di venti sui letti a castello costruiti con tavole di legno, si lavano al freddo, mangiano nel fango e temono l'arrivo dell'inverno. Secondo gli analisti militari resta più o meno un mese e mezzo prima che le temperature e il gelo invernali rendano complicato fare altri progressi. È proprio per questo che bisogna essere razionali, non impulsivi e valutare tutti gli ostacoli che ci sono tra l'ottimismo che deriva dalle controffensive precedenti e il raggiungimento dell'obiettivo. Cehitskyi sa che Kherson è la madre di tutte le battaglie in questa fase della guerra, e sa che la fiducia nei suoi uomini non deve fargli perdere lucidità.

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Quando sono arrivate le notizie che i russi stavano evacuando forzatamente la popolazione di Kherson con i traghetti verso la sponda orientale del Dnipro, per esempio, non ha gioito. Non ha pensato che i russi si stessero preparando a cedere la città, non ha celebrato la parziale ritirata, ha pensato piuttosto a quanti civili fossero ancora intrappolati in mezzo al fuoco dell'artiglieria.

 

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«Fa parte della strategia di Mosca, lasciano la gente lì a fare da scudo umano per trattenere l'avanzata - dice - ma prima della terra, dobbiamo salvare la nostra gente». Il comandante Cehitskyi sostiene che i suoi uomini abbiano visto le truppe russe rafforzare le linee di difesa e che siano certi dell'arrivo di nuove truppe dopo la chiamata alla mobilitazione parziale del mese scorso.

 

Dato confermato dalle trasmissioni radio russe intercettate che provano la presenza dei coscritti russi recentemente mobilitati e già impegnati a scavare trincee e creare corridoi di evacuazione. Secondo Oleksiy Arestovych, consigliere di Zelesnky, dopo l'arrivo dei nuovi coscritti sarebbero 30 i battaglioni tattici russi intorno a Kherson, ognuno composto da 800 soldati, «una forza militare massiccia che sarà molto difficile abbattere», ha detto Arestovych.

 

Il comandante Cehitskyi non crede a una ritirata frettolosa da Kherson come quella vista a Nord un mese fa. Teme la guerra urbana, uno scenario brutale. E ha ragione, per Putin sarebbe una sconfitta inaccettabile, soprattutto dopo che un mese fa, con i referendum farsa, ha proclamato l'annessione della città ai territori della Federazione russa, «perciò - dice - continueremo a vivere nel fango e sparare».

 

Nascondersi e colpire

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La guerra in Ucraina è stata per lo più una guerra di cieli: razzi, missili, droni. Per mesi la Russia ha attaccato città, villaggi, infrastrutture e obiettivi militari da posizioni che gli ucraini non erano in grado di colpire. Una modalità non nuova per i russi aiutati da enormi scorte di cannoni: colpire il bersaglio con una pioggia di proiettili e sfiancare l'esercito avversario per conquistare infine, i territori resi ormai irriconoscibili ammassi di macerie come già fatto ad Aleppo e a Grozny. Per mesi il rapporto dei colpi è stato di dieci a uno a favore dei russi, ma con l'arrivo delle armi di precisione occidentali le cose sono cambiate.

 

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Gli Himars soprattutto, ma anche degli obici M777 forniti dagli americani che possono colpire fino a 30 km dietro le linee russe. È con l'arrivo di queste armi che i russi hanno dovuto ripensare le loro posizioni, la logistica e spostare i mezzi più lontano dal fronte, cioè indietreggiare.

 

Le truppe di Kiev quindi oggi non solo hanno mezzi più sofisticati per difendersi ma uomini meglio addestrati a combattere che stanno distruggendo le scorte di munizioni e le linee del rifornimento russe.

 

Stanislav ha 23 anni, anche lui viene dall'Oblast di Vinnitsya, anche lui ha già combattuto in Donbass dal 2018 al 2020, quando - dice - «ero solo un ragazzino».

Il volto, oggi, è quello di un giovane la cui identità di adulto si sta formando nella vita di trincea.

 

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Non si lamenta, non è livoroso. Combatte perché l'ha scelto e l'ha scelto per ragioni semplici. Ha una fidanzata a casa che lo aspetta, l'avrebbe sposata a maggio se i russi non avessero invaso il Paese, vogliono dei figli e una casa con un grande giardino dove crescerli. «Voglio la pace per loro, per i figli che ancora non ci sono», dice guardandosi prima l'uniforme, guardandosi intorno nel camion pieno di munizioni, guardandole come se fossero in contraddizione con la forza della parola myr, pace.

 

«Però, dice, non può esserci pace senza libertà, per questo combatto». È lui che, nel campo, con l'obice nascosto tra gli alberi segna le coordinate, chiama l'inclinazione, grida l'ordine di sparare e grida quello di spostarsi. Qui a Sud, il primo ostacolo è la geografia. Il terreno di battaglia è un campo aperto in cui è difficile ripararsi dai colpi, e nella guerra d'artiglieria la cosa più importante è nascondersi in fretta.

 

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Quando gli artiglieri della 59esima brigata ricevono le posizioni russe sanno che devono fare più in fretta possibile, spostare l'obice da 152mm, verificare le coordinate ricevute, sparare le munizioni che servono e allontanarsi prima che arrivi il contrattacco russo. Tornato alla base Stanislav aspetta il video degli operatori dei droni, la prova che l'incursione sia andata bene arriva due ore dopo.

 

Nel video che la brigata ci ha concesso di mostrare, un tank russo centrato nelle campagne a Nord di Kherson. Stanislav mette il telefono in tasca, torna a riposare steso a terra. Aspetta la prossima posizione, il prossimo obiettivo, il prossimo spostamento, scommessa col destino. Centrare o essere centrati.

 

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Tra gli edifici segnati dalle battaglie quelli che non se ne sono voluti andare, che continuano a vivere, raccogliendo le foglie ingiallite che l'autunno ha stesso a terra, pascolando mucche e capre nelle aie dietro casa. Quando sulla strada passano gli obici che li richiamano alla realtà della guerra, si avvicinano all'asfalto, salutano i soldati e gridano «Slava Ukraini».

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