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LA GUERRA DEL VINO - IN PIEMONTE DEFLAGRA LO SCONTRO TRA CANTINE MEDIO-PICCOLE, CHE PUNTANO SULLA QUALITA', E LE GRANDI AZIENDE CHE FANNO UTILI SULLA QUANTITA' - IL CONSORZIO DI TUTELA DEL BAROLO E BARBARESCO E QUELLO DEL ROERO HANNO MESSO IN VENDITA LE QUOTE DI "PIEMONTE LAND OF WINE" E ORA... 

Roberto Fiori per "la Stampa"

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A New York, Hong Kong, Londra quando dici vini piemontesi tutti pensano a Barolo e Barbaresco. Ma se guardiamo alle istituzioni enologiche regionali, Barolo e Barbaresco non fanno più parte del Piemonte. 

 

Il Consorzio di tutela del Barolo e Barbaresco e quello del Roero (il terzo figlio del Nebbiolo) hanno deliberato all'unanimità di uscire e di mettere in vendita le proprie quote di Piemonte Land of Wine, il super consorzio nato nel 2011 per offrire ai 14 enti di tutela del vino piemontesi una casa comune e un braccio operativo per la promozione delle tante denominazioni piemontesi in Italia e all'estero, sfruttando al meglio i finanziamenti a disposizione. 

 

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Non solo: il presidente di turno Matteo Ascheri, che è anche presidente del Consorzio del Barolo e Barbaresco, ha rassegnato le dimissioni dichiarando di non condividere le politiche di Piemonte Land e denunciando l'impossibilità di attuare una strategia realmente utile alle cantine. La tempesta perfetta in un anno, il 2022, in cui le Langhe ospiteranno la Conferenza Mondiale del turismo enologico e saranno il centro del mondo che viaggia per degustare. 

 

«Abbiamo provato in ogni modo a proporre iniziative serie e piani di promozione di ampio respiro, ma ce li hanno bocciati tutti, preferendo finanziare eventi che non vanno nella direzione da noi auspicata - dice rabbioso Ascheri, nominato presidente nel 2020 -. Di fronte a due visioni molto diverse sull'immagine e sul futuro del vino piemontese, l'unica soluzione era farsi da parte e proseguire ognuno per la sua strada». 

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Dunque, al prossimo Vinitaly o alla Prowein di Düsseldorf (le due fiere più importanti in programma tra marzo e aprile, Covid permettendo), i vignaioli piemontesi potrebbero ritrovarsi a convivere da separati in casa, o a guardarsi in cagnesco da stand a stand come nelle migliori tradizioni campanilistiche, invece che fare gruppo sotto un unico brand di grande valore e potenzialità come quello del Piemonte enologico. 

 

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Il motivo? Si stanno scontrando due realtà che da sempre viaggiano su binari differenti: quella albese, dominata da cantine medio piccole che puntano tutto sulla qualità e sull'esclusività dei propri vini, e quella astigiana, dove a prevalere sono spesso le dinamiche delle grandi aziende e delle società cooperative che mettono sul mercato grandi quantità di prodotto.

 

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 Da una parte il mondo del Barolo, del Barbaresco e del Roero, dall'altra quello della Barbera e dell'Asti: difficile far convivere sotto lo stesso tetto le necessità e le ambizioni di entrambe, sia nelle grandi strategie, sia nelle piccole promozioni. Ad esempio, per fronteggiare la crisi pandemica l'anno scorso la maggioranza di Piemonte Land aveva deliberato di chiedere alla Regione sussidi per la vendemmia verde e per la distillazione del vino, relegando in minoranza chi invece proponeva aiuti per la conservazione e lo stoccaggio del prodotto, così come è stato fatto quest' anno. 

 

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Anche la decisione di partecipare al Vinitaly Special Edition dello scorso ottobre è stata oggetto di contrapposizione tra chi la riteneva inutile e chi doverosa. «Tra le nostre proposte, c'era l'idea di organizzare a Torino ogni due anni Piemonte Grapes, una manifestazione per presentare il variegato mondo vinicolo regionale in modo autonomo e di alto livello - racconta Ascheri -. Ma è stata cassata, così come quella di una Piemonte Academy dedicata alla formazione di professionisti e narratori delle nostre eccellenze». 

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Il presidente del Consorzio del Roero, Francesco Monchiero, parla di «un malumore diffuso ormai da troppo tempo. Se Piemonte Land da braccio operativo vuole diventare un organo politico, noi non ci stiamo». 

 

Il vicepresidente di Piemonte Land e presidente del Consorzio Barbera d'Asti, Filippo Mobrici, si dice «molto amareggiato per questa decisione. Il super consorzio finora è stato uno strumento estremamente utile: ha forse bisogno di una rinfrescata e di nuovi obiettivi, ma non di primedonne suscettibili che faticano a condividere il loro successo. Il vigneto piemontese è composto da 44mila ettari, non solo dai 3500 di Barolo, Barbaresco e Roero». 

 

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L'assessore regionale all'Agricoltura, Marco Protopapa, per ora non si sbilancia: «So dei malumori, ma non ho ancora ricevuto nessuna comunicazione ufficiale. C'è indubbiamente una questione territoriale, ma è interesse di tutti avere una struttura gestionale in grado di rappresentare tutte le anime del vino piemontese, tanto più in un momento in cui il mercato internazionale ci sta premiando come non mai».

 

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