Andrea Galli per il "Corriere della Sera"
«Comunque, se do fastidio, io posso anche andarmene».
Scandendo la frase ai giudici, proteso in avanti come un arbitro o un cavaliere, Sante Notarnicola non provocava né millantava, pur sapendo dell' impossibilità dell' azione, chiuso com' era nella gabbia del tribunale dove, in quel 1971, si celebrava il processo d' appello a lui e al resto della banda.
La banda Cavallero, dal nome del capo, Pietro Cavallero, anche se per più di un investigatore il vero comandante - laddove si debba far pesare il dono di natura dell' intelligenza - era proprio Notarnicola, ucciso a 82 anni dalle complicazioni di un' influenza, successiva al Covid.
Restiamo su quella frase al processo. Definito forse con eccessiva facilità e maggiore indulgenza, dimenticando reati e delitti, un «autentico spirito libero», Notarnicola ha avuto, questo sì, un' irrequietezza corrosiva, nutrendo la convinzione d' essere nel posto sbagliato, dunque sentendosi legittimato per coerenza e pace con se stesso, e come rifiuto di colpe non sue, a chiuderla lì, salutare e levarsi di torno. Un anarchico, un vagabondo, un nomade.
Oppure no, e un velo di verità potrebbe esserci in un articolo.
Ottobre 1967, due settimane dopo la rapina al Banco di Napoli in largo Zandonai, terrore e tre morti a Milano, uno dei maggiori polizieschi italiani in real time: ebbene, a Dino Buzzati, posizionato nelle vicinanze dei banditi fotosegnalati e interrogati nella caserma dei carabinieri, oltre la «barbetta embrionale» e gli occhi «malinconici» quel Nortanicola fece venire in mente «un bambino messo in castigo e imbronciato».
Ché poi a maggior ragione nell' esistenza di quest' uomo, condannato all' ergastolo e tornato in libertà nel Duemila, è dirimente l' infanzia. Nato a Castellaneta, trenta chilometri da Taranto dove l' unica industria, aveva scritto lui, autore di libri e poeta, era quella dell' emigrazione, finì in un istituto per l' infanzia dopo che il papà aveva lasciato la famiglia per un' altra donna, e la mamma era emigrata a Torino.
«Mio padre era estremamente severo... Quando se ne andò non perse il mio affetto, che non aveva potuto nascere, ma il mio rispetto; tutta la sua austerità era naufragata miseramente». A tredici anni, Notarnicola abbandonò l' istituto, salì su un treno, scese a Torino, cercò il buco in periferia dove la madre aveva preso a vivere, e frequentò la strada.
Gli operai. Le idee politiche.
Ex partigiani, comunisti, sindacalisti. La commedia umana, tra solidarietà e disperazioni, rabbia e malattie.
Con Cavallero, che abitava negli stessi sobborghi, fu intesa immediata. Si conobbero per caso, si trovarono per forza. A ulteriore conferma, la legge degli innamorati unì due personalità e persone forse perfino antitetiche. Il ghigno di Cavallero, l' espressione corrucciata, a tratti mesta, di Notarnicola, che si è spento lunedì nella casa di Bologna, la moglie al fianco.
Non aveva mai accettato la rappresentazione cinematografica, quei «Banditi a Milano» di Carlo Lizzani, anzi aveva attaccato il regista per la sudditanza allo stereotipo dei pazzi sanguinari, per la banalità della narrazione; Lizzani aveva replicato di raccontare la realtà. E la domanda rimane: chi davvero sia stato il personaggio pubblico Sante Notarnicola. Un rivoluzionario?
Fu l' allora giovane magistrato Nino Scopelliti a redigere a Milano la requisitoria contro la banda Cavallero. Cinquemila pagine che includevano le accuse di trenta lesioni gravissime a cittadini e agenti, venticinque rapine, venticinque furti di auto, sei tentati omicidi, dieci violenze private aggravate, cinque sequestri di persona, sette lesioni gravissime...
Ma non ci fosse stato questo passato, ripetono i suoi sostenitori, non pochi, compagni di chiacchiere e bevute e aneddoti per portici e osterie compresa la sua, non ci sarebbe stato il Notarnicola detenuto, rabbioso combattente nelle denunce contro le limitazioni, capopopolo quando quei penitenziari divennero carceri speciali: letti fissati al pavimento, piatti e bicchieri di carta, innovativi sistemi di allarme. I brigatisti parlarono di «colpo di Stato in carcere».
Già, i brigatisti. L' hanno avvicinato ai terroristi, sceneggiando un ruolo nella genesi dell' estremismo. Stava già dentro. Pensava a come uscirne. Tentò di evadere da Favignana. Lo riportarono indietro. Tornò a cercare con gli occhi chiari i gabbiani, forse più aspirazione che consolazione da galeotto. Come da una sua poesia: «...infine vollero sbarrare il cielo/non ci riuscirono del tutto/altissimi/guardiamo i gabbiani che volano».