“QUANDO L'HO VISTO SULLA PORTA, SONO SCOPPIATA A PIANGERE” – PAPA FRANCESCO VA CASA DI EDITH BRUCK, POETESSA EBREA SOPRAVVISSUTA ALL’INFERNO DEI LAGER E VEDOVA DEL REGISTA NELO RISI: “CI SIAMO ABBRACCIATI COME FRATELLI. ERAVAMO TUTTI E DUE PIENI DI COMMOZIONE” – UNA VISITA DURATA DUE ORE DURANTE LE QUALI BERGOGLIO HA CHIESTO PERDONO A DIO IN NOME DELL'UMANITÀ: “ERO TALMENTE COLPITA, CHE NON RIUSCIVO A PRONUNCIARE UNA PAROLA COME SI DEVE…”

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Domenico Agasso per "La Stampa"

 

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Il Papa le dice di essere venuto a trovarla a casa, a sorpresa come da suo stile, «per ringraziarla della sua testimonianza e rendere omaggio al popolo martire della pazzia del populismo nazista». E alla poetessa ebrea ungherese naturalizzata italiana Edith Bruck, sopravvissuta all'inferno dei lager, commossa e quasi incredula davanti al Pontefice, Francesco scandisce le parole forti «che ho pronunciato dal cuore allo Yad Vashem e che ripeto davanti ad ogni persona che come lei ha sofferto tanto a causa di questo: perdono Signore a nome dell'umanità».

 

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È stato «un incontro inimmaginabile», esclamerà poco dopo la scrittrice, «con il Papa ci siamo scambiati un abbraccio tra fratelli». La conversazione dura tanto, quasi due ore, durante le quali emergono le atrocità dei campi di concentramento ripercorse da questa tenace donna che le ha dovute guardare con i suoi occhi e subire sulla sua pelle. L'ottantottenne sceneggiatrice ungherese vive da lungo tempo nel centro di Roma (ha trascorso due terzi della sua vita in Italia). Nata il 3 maggio 1932 a Tiszabercel, un piccolo villaggio contadino, è l'ultima di sei figli di una povera famiglia ebrea. Nel marzo 1944 Edith, con gran parte della sua famiglia, viene prelevata dai nazisti e condotta prima nel ghetto ebraico del capoluogo e poi di lì deportata con un treno merci nel lager di Auschwitz, dove sua madre e un fratello muoiono subito nelle camere a gas.

 

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Dopo alcune settimane, Edith e una sorella vengono trasferite a Dachau (in Baviera), per poi tornare verso nord, prima a Bergen-Belsen (in Bassa-Sassonia, a sud di Amburgo), poi a Christianstadt (nell'attuale Polonia) e infine, con una marcia a piedi durata cinque settimane, di nuovo a Bergen-Belsen, dove saranno liberate dalle truppe alleate anglo-canadesi il 15 aprile 1945. In gran parte delle sue opere Edith renderà testimonianza degli orrori della Shoah. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito, il poeta regista Nelo Risi (1920-2015) trae l'omonimo film del 1966 con Geraldine Chaplin.

 

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Furono due sconosciuti, di cui raccolse l'ultima voce nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, a chiederle di testimoniare al mondo il male assoluto e incredibile: «Racconta, non ti crederanno, ma se tu sopravvivi racconta, anche per noi».

 E lei ha tenuto fede alla promessa. Senza tralasciare i momenti di luce che non le hanno fatto perdere la speranza nemmeno in quel maledetto buio. Quando lavorava a Dachau per scavare trincee un soldato tedesco le lanciò la sua gavetta da lavare, «ma al fondo aveva lasciato della marmellata per me». E poi, ecco il ricordo indelebile del cuoco che le dice, con il viso scosso e inquieto, di avere «una bambina della tua età». E poi, «tirò fuori dalla tasca un pettinino e guardando la mia testa con i capelli appena appena ricresciuti me lo regalò. Fu la sensazione di trovarmi davanti dopo tanto tempo un essere umano. Mi commosse quel gesto che era vita».

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L'Osservatore Romano l'ha intervistata lo scorso 26 gennaio per la Giornata della Memoria. Bergoglio ha letto, e ne è rimasto colpito e turbato. Cosi ha chiesto di poterla vedere, e ieri ha oltrepassato il Tevere per andare nella sua abitazione. Con lui, il direttore del quotidiano della Santa Sede, Andrea Monda. Il Papa le dona una menorah, il candelabro a sette bracci della religione ebraica, e un libro, il Talmud babilonese. «Quando l'ho visto sulla porta, sono scoppiata a piangere. Anche lui mi ha abbracciato. Eravamo tutti e due dentro pieni di commozione. Non si poteva reggere la commozione», spiega Edith a Vatican News, il sito della Santa Sede.

 

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Le lacrime rigano il suo volto per gran parte del colloquio. «Ho preparato una bella poltrona con dei cuscini. Con la voce tremante gli ho presentato le poche persone che erano in casa». Il Pontefice parla con dolore anche della Shoah. Sottolinea il valore della memoria e il ruolo degli anziani nel coltivarla e tramandarla ai più giovani. E chiede «perdono personalmente. Ero talmente colpita, che non riuscivo a pronunciare una parola come si deve». Ci sono anche lunghi attimi lieti. Francesco non si nega «un dolce con della ricotta. E poi gli ho dato una mia poesia che ha apprezzato moltissimo». Il Papa parlando con Edith ricorda anche vari passaggi del suo libro Il pane perduto, pubblicato da La nave di Teseo nella collana Oceani.

 

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Bruck rammenta di esseri salvata anche grazie a un militare tedesco. «È successo proprio all'arrivo nel lager. Ero con mia madre. Mi hanno destinato con lei al crematorio nella parte sinistra. Ma l'ultimo soldato ha sussurrato e mi ha detto di andare a destra». La ragazzina non capiva «cosa volesse dire. Mi sono aggrappata alla carne di mia madre. Non volevo lasciarla». Alla fine il soldato, non sapendo come separarle, «ha colpito mia madre con un calcio del fucile. Lei è caduta e poi non l'ho più vista. Ha colpito anche me e mi ha trascinato fin quando poi non mi sono trovata a destra. In quel momento non sapevo che voleva salvarmi».

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