“PER RECITARE IL RUOLO DI COPROTAGONISTA IN LOLITA LO BOSCO ABBIAMO TROVATO DIFFICOLTÀ” – LUISA RANIERI FRIGNA PER IL RUOLO DELLA DONNA NEL MONDO DELLO SPETTACOLO: “ANCORA È FORTE L’IDEA CHE UN UOMO DEBBA AVERE PER FORZA IL NOME PER PRIMO SUL CARTELLONE. È ASSURDO MA LE DONNE SONO PAGATE DI MENO DEGLI UOMINI” – POI SI IMPROVVISA ESPERTA DI SUD ITALIA: “LA CALABRIA? UN TERRITORIO ABBANDONATO A SE STESSO. LA PUGLIA È PROTETTIVA. NAPOLI È AGGRESSIVA. QUANDO CI TORNO NELLE PRIME 48 ORE HO QUASI PAURA…”

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Dario Di Vico per "Sette - Corriere della Sera"

 

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Lolita Lobosco è un «cervello di rientro», direbbero i sociologi, perché ha rimesso piede come vicequestore della squadra mobile di Bari dopo un lungo periodo di lavoro al Nord, per la precisione a Legnano. Luisa Ranieri, che proprio in questi giorni è in Puglia per girare da protagonista la nuova serie televisiva dedicata a Lolita, si considera anche lei un’emigrata, anche se di corto raggio. È profondamente connessa al Sud e alla sua Napoli, ne conosce le contraddizioni e non è affatto indulgente, crede fermamente che un’evoluzione della società meridionale sia legata a un diverso ruolo delle donne. E nei suoi giudizi è facile rintracciare un leitmotiv: la mancanza dello Stato, l’assenza di un soggetto istituzionale che sia presente ovunque e si dia da fare per sviluppare l’economia o per far rispettare la legalità.

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Lolita in fondo somiglia molto a Luisa Ranieri, si identifica ed è un servitore dello Stato e con i suoi comportamenti sembra esprimere anche la cultura e la sensibilità sociale dell’attrice che la interpreta. Ed è con lei (l’attrice) che parliamo delle prospettive del Sud, dei suoi ritardi, delle virtù e della forza dei suoi simboli.

 

Il Sud subisce ogni anno un consistente drenaggio di capitale umano. Tantissimi giovani meridionali, si calcola il 23%, scelgono il Nord e disertano le università del Sud. C’è chi dà la colpa agli atenei meridionali, chi più rassegnato sostiene che nel Meridione resteranno solo gli anziani. Dove sta la ragione?

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«Sono andata via dalla mia Napoli a 20 anni. Prima a Milano, poi a Parigi e alla fine mi sono fermata a Roma. Affascinata dal teatro non ho finito gli studi di giurisprudenza che avevo iniziato e non ho più ripreso, ma credo che alcune nostre università costituiscano delle eccellenze e penso sicuramente alla Federico II di Napoli. Sono anche convinta che i giovani meridionali che affollano gli atenei della Lombardia, dell’Emilia e del Piemonte lo facciano non perché al Sud non ci siano le competenze e la didattica sia scadente, lo fanno perché le famiglie e loro stessi sanno benissimo che studiando al Nord c’è uno sbocco più immediato. Molta più possibilità di trovare lavoro subito».

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Nella nostra società il confronto Nord-Sud è quotidiano. I dati sulla raccolta differenziata segnalano una distanza incredibile tra Lombardia e Sicilia - per fare un esempio -mentre la risposta al Covid sotto forma di adesione alla campagna di vaccinazione ha mostrato un Sud più responsabile. La Puglia per terze dosi ha superato l’EmiliaRomagna. Eppure all’inizio si temeva il contrario.

«È vero e mi fa piacere che il Sud abbia sorpreso i pessimisti e i no vax. Nella primissima fase dell’infezione la gente che andava a cantare sui balconi mi aveva commosso, quell’abbraccio emotivo che si stabiliva tra persone che dovevano osservare il distanziamento mi aveva colpito. Anche perché la distanza sociale colpiva al cuore l’essenza stessa della meridionalità, la sua apertura verso gli altri. Poi con il passare dei mesi si è fatta strada nella popolazione l’idea che le cose stessero peggiorando e che ci stessimo inguaiando, che qui non avevamo tanti ospedali come al Nord e quindi è maturata sul campo una responsabilità civile forse maggiore che altrove. È il modo migliore che hanno i meridionali di rispondere alla mancanza dello Stato».

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Lei è nata a Napoli, vi ha girato dei film e ora sta lavorando per la tv a Bari. Che differenze trova tra le due città?

«Tante. Napoli è più aggressiva, ruggisce. Non a caso da quell’atmosfera di contrasti anche violenti sono emersi scrittori, registi, personalità artistiche. Il dramma inevitabilmente forgia. Napoli è un unicum di colori, caos, vitalità ma è anche una città feroce. Quando ci vado ho nelle prime 48 ore quasi una sensazione di paura e poi quando mi allontano sento il bisogno di tornare. Tutto è amplificato: il traffico, la gente che urla, come ci si veste e come ci si muove. Anche la gentilezza è più cruda, non ha tratti borghesi. Penso che Napoli non sia replicabile, non è globalizzabile».

 

Bari invece...

«La Puglia è decisamente più dolce, la trovo protettiva, quasi materna. I baresi hanno toni più morbidi. Un temperamento diverso. E anche il peso della criminalità si avverte meno che a Napoli. Ho trovato i baresi molto attaccati al loro dialetto, c’è un legame identitario con il suono delle parole. Amo i dialetti, li studio quando riesco perché sanno realizzare una connessione profonda con la pancia delle persone. Adda passà ‘a nuttata è un’espressione che tradotta in italiano perderebbe la sua forza e insieme non trasmetterebbe lo stesso sentimento di speranza».

 

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Una delle grandi sorprese del Sud è la bassa demografia. Non ci sono quasi più differenze con il Nord. Come è potuto succedere?

«È vero, è qualcosa di incredibile. Prima a Napoli il numero minimo era di tre figli per nucleo. Adesso conosco tante famiglie con un figlio o addirittura zero. Credo che pesi sui mancati genitori un’eccessiva preoccupazione sul futuro e poi si è sviluppato anche un certo egoismo, quasi che i figli togliessero gusto alla vita. Costringessero a troppe rinunce. Non so dire tra i due sentimenti quale prevalga ma la rinuncia grande, quella ai figli, è legata anche a un modello che ci è stato inculcato. Esisti se hai e se possiedi, se performi. Non ti puoi fermare».

 

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Nel film di Sorrentino, «È stata la mano di Dio», lei interpreta una donna che impazzisce proprio perché non riesce ad avere figli.

«È una donna che vede cose che gli altri non vedono. Non avere figli diventa per lei un dolore insuperabile nel quale si identifica e si perde. Sorrentino assegnandomi quella parte mi ha fatto un grande regalo. In genere mi offrono ruoli più consolidati o di amica della porta accanto o di donna sexy, in quello ho visto qualcosa di differente. “È un personaggio che ti darà tantissimo”, mi aveva detto saggiamente mio marito Luca. E dopo aver letto la sceneggiatura aveva aggiunto ridendo: “Se non vai tu, vado io”».

 

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Torniamo a passare in rassegna il Sud. Fuori dalle grandi città come Bari e Napoli cosa vede? La stessa ricchezza di umori, le medesime passioni o più disincanto, nostalgia, fatalismo?

«Posso parlare della Calabria dove ho avuto modo di girare. Ho visto una condizione diversa da Napoli e dalla Puglia, un territorio abbandonato a sé stesso. Sulla Sila mi è capitato di vedere una frana recintata e lasciata marcire così da 20 anni. La sensazione è che lo Stato fatichi ad essere presente ovunque nel Sud. E anche per questo amo il personaggio di Lolita, lei è lo Stato. È intransigente, conosce le contraddizioni del Sud e non se le nasconde. È figlia di un contrabbandiere di sigarette, dialogando con sua madre che aveva una piccola attività in nero la mette sull’attenti sostenendo che le regole devono valere per tutti. Ed è importante che Lolita per farsi rispettare non si sia dovuta travestire. È lo Stato ma è anche donna-donna, non deve rinunciare a niente per essere autorevole con i suoi colleghi, con i superiori o con le persone che vengono coinvolte nelle indagini».

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Lo Stato però spesso deve retrocedere davanti alla forza della criminalità organizzata anche perché si trova davanti al consenso che i fuorilegge trovano nella popolazione.

«Non voglio dare lezioni o tirar fuori analisi originali sulla criminalità, dico solo che la dobbiamo allontanare dalle giovani generazioni. Dobbiamo offrire ai giovani del Sud formazione e occupazione per togliere spazio alla mafia e alla ‘ndrangheta. Poi la criminalità sappiamo che esiste anche al Nord, ci sono fior di inchieste giudiziarie che lo attestano, non è una prerogativa del Sud. Ma da noi spesso riesce a catturare l’appoggio popolare perché sembra supplire all’assenza dello Stato, si insinua nelle contraddizioni di chi non ha lavoro o fatica a chiudere il mese. Si offre come sostegno».

 

In questa legislatura è stato istituito un sussidio che si chiama reddito di cittadinanza rivolto in particolare a dare risposte alla povertà nel Sud. C’è una discussione ancora ampia sulla sua efficacia e sul senso stesso di una misura forzatamente assistenziale, lei cosa ne pensa?

LUCA ZINGARETTI LUISA RANIERI LUCA ZINGARETTI LUISA RANIERI

«Onestamente credo che sotto i colpi della pandemia aver avuto a disposizione uno strumento come il reddito di cittadinanza sia stata per molte famiglie in difficoltà un’ancora di salvezza, ma è chiaro che non può durare in eterno. Nel breve termine sì, ma poi ci deve essere una prospettiva di lavoro. E a quanto capisco questa seconda gamba, come la chiamano, non ha funzionato, non ha portato le persone in difficoltà a trovare un’occupazione dignitosa. Ho letto che il presidente del Consiglio Draghi ha parlato di rilanciare i porti, mi pare una giusta prospettiva».

 

È scomparso di recente uno studioso inglese, Percy Allum, che aveva dedicato molto tempo a studiare Napoli, aveva ripreso le analisi di altri studiosi che avevano parlato di familismo amorale e aveva studiato l’economia del vicolo. Come vede la famiglia del Sud degli anni Venti?

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«So bene come la famiglia sia un teatro di incredibili e dolorose contraddizioni. Ad esempio ormai è diventato un posto dove un giovane resta parcheggiato fino a 30 anni facendo finta di averne sempre 16. Personalmente credo che la famiglia possa migliorare, nel Meridione come altrove, grazie innanzitutto a una maggiore indipendenza economica delle donne. Nella sua storia Napoli è matriarcale, comandano le donne anche se poi non lo fanno vedere per salvare le apparenze. E io vengo da una famiglia di donne, sono stata cresciuta da un secondo padre ma il potere decisionale in casa lo esercitava mia madre. Che mi ha sempre trasmesso l’idea di essere autonoma, indipendente da un uomo. La bellezza dura poco, l’intelligenza di più, mi ripeteva».

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Come sta affrontando il Sud i temi della diversità? Crede che ci sia ancora discriminazione sessuale?

«Direi proprio che non è più accentuata che altrove. Anzi, a Napoli la figura del femminiello sia nell’arte sia nella vita di tutti i giorni è stata sempre presente e accettata. Almeno tra il popolo, tra i borghesi non so».

 

Tra le tante contraddizioni del Sud c’è quella di una preoccupante avanzata dell’obesità giovanile nella patria della dieta mediterranea.

«Il ricorso al cibo-spazzatura da parte dei giovani è quasi un dramma e uno schiaffo per una terra che produce il cibo che tutto il mondo ci invidia. Si deve intervenire. E nel nostro piccolo, con la società di produzione che abbiamo creato con mio marito Luca, qualcosa abbiamo fatto. Un cartone animato sulla sana alimentazione dei bambini che andrà prossimamente su Rai Yoyo ed è stato prodotto tutto a Napoli. In città sta nascendo un piccolo distretto dell’animazione che utilizza giovani talenti che fanno la spola e si alternano tra il Golfo di Napoli e l’estero».

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Nel mondo dello spettacolo il protagonismo e la soggettività femminile stanno facendo passi in avanti oppure no?

«Purtroppo la seconda che ha detto! È assurdo ma le donne sono pagate di meno degli uomini, e di tanto. Trovo incredibile poi che per trovare attori disposti a recitare in un ruolo di coprotagonista della serie di Lolita la produzione abbia dovuto faticare prima di individuare la persona giusta. Ancora è forte l’idea che un uomo debba avere per forza il nome per primo sul cartellone. È agghiacciante ma nell’anno di grazia 2022 è ancora così».

 

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Un’ultima domanda. Cosa pensa della ministra Mara Carfagna che proprio di recente ha organizzato un importante summit di governo sul Sud a Sorrento?

«La conosco poco e non sono in grado di esprimere giudizi. Da quello che leggo si sta costruendo un suo spazio. Mi pare una figura politica che sta cercando anche di affermare un punto di vista femminile. E ce n’è bisogno».

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