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“C’È UNA BRUTTA VOGLIA DI COLPEVOLI” – MERLO RISPONDE A UNA LETTRICE INDIGNATA PER LA SENTENZA SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA: “FORSE INFLUENZATA DA UN GIORNALISMO SCELLERATO, VEDE NEL "CONTATTO" NON UN LECITO STRUMENTO INVESTIGATIVO, MA LA GUARDIA CHE SI FA LADRO ILLUDENDOSI DI FARE MEGLIO LA GUARDIA. FORSE HA LETTO TROPPO MACHIAVELLI. E NON C'È MACHIAVELLI NEL CODICE PENALE” – PORRO: “CONVIENE RILEGGERE IL GIORNO DELLA CIVETTA DI LEONARDO SCIASCIA. IL PRIMO ROMANZO CHE ESPLICITAMENTE SI OCCUPA DI MAFIA CON LA FAMOSA CLASSIFICAZIONE DEGLI UOMINI…”

1. UNA BRUTTA VOGLIA DI COLPEVOLI

Francesco Merlo per la “Repubblica”

 

La lettera

marcello dell'utri dopo la scarcerazione

Caro Merlo, sulla sentenza per la trattativa Stato-Mafia le chiedo: anche quando fosse stata negata e si fosse trattato di "contatti" come più volte ammesso dal generale Mori, è lecito attivare contatti con criminali per combattere il crimine? Ho insegnato per tutta la vita e spesso ho discusso con i giovani sul principio machiavellico "il fine giustifica i mezzi". Su un punto non si è mai verificato dissidio: nello Stato di diritto non si dialoga con i delinquenti, si agisce per assicurarli alla giustizia mai contravvenendo alle leggi.

francesco merlo

 

Non capisco la letteratura sul contesto, la complessità, le situazioni particolari. Capisco solo che il sistema giudiziario è in agonia e che ai giovani non si possono comunicare più quelle certezze minime senza le quali i punti di riferimento restano vuoti di contenuto e perciò di significato.

Licia Fierro

 

Cara professoressa Fierro, leggo nella sua amarezza una voglia di colpevoli a prescindere, una delusione per l'assoluzione che non capisco. Quei contatti degli uomini dello Stato con i mafiosi non erano "trattative", cedimenti, scambi illeciti. Ai suoi studenti comunichi, dunque, questa bella certezza minima di funzionamento della giustizia: non una corte levantina dietro la quale si nascondono trafficanti di cavilli o cavalli di Troia, ma la Corte d'Assise d'Appello (otto giudici, sei popolari) presieduta da un giudice, Angelo Pellino, di specchiata reputazione e grande esperienza, ha stabilito che gli ex ufficiali dei carabinieri Giuseppe De Donno, Mario Mori e Antonio Subranni sono innocenti. Questi funzionari dello Stato cercavano di trasformare i mafiosi in confidenti, collaboratori o agenti provocatori come accade in tutte le indagini del mondo.

 

MARIO MORI

Ma lei, forse influenzata da un giornalismo scellerato, vede nel "contatto" non un lecito strumento investigativo di cui l'investigatore risponde, ma la guardia che si fa ladro illudendosi di fare meglio la guardia, il carabiniere che si contamina come i pirati di sua maestà, il buono-cattivo, il mezzo Falcone e mezzo Riina. Forse ha letto troppo Machiavelli. Gli imputati non hanno commesso i reati per i quali sono sotto processo da 10 anni con conseguenze devastanti per le loro vite. E non c'è Machiavelli nel codice penale.

GIUSEPPE DE DONNO

 

2. MAFIA E STATO LA LEZIONE DI SCIASCIA

Nicola Porro per “Libero Quotidiano”

In questi giorni in cui ancora risuonano quelle poche parole del giudice coraggioso di Palermo che in pochi minuti ha smontato anni di follie giudiziarie sulla trattativa Stato mafia, conviene rileggere Il Giorno della Civetta di Leonardo Sciascia. Scritto nel 1961 è il primo romanzo che esplicitamente si occupa di mafia. E lo fa con il sapore aspro e molto siciliano, della sua ineluttabilità.

 

Leonardo Sciascia

C'è poco da fare quella mafia non si poteva combattere e il coraggioso carabiniere, il capitano Bellodi, che aveva incastrato il capo mafioso, don Mariano, finirà per vedere smontata la sua indagine e il boss tornare ricco e libero. Famosa la classificazione degli uomini fatta da don Mariano Arena mentre veniva interrogato: «io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in 5 categorie: gli uomini, i mezz' uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà...

 

Pochissimi gli uomini; i mezz' uomini pochi, perché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz' uominiE invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre».

mori de donno

 

Nella vicenda dei tre carabinieri dei Ros (Mori, Subranni, De Donno) che costruirono l'inchiesta (958 pegine) sui rapporti tra Mafia e affari poi di fatto smontata dal giudice Pietro Giammanco, nell'arresto di Totò Riina da parte degli stessi carabinieri, poi sotto inchiesta proprio per le modalità di quell'operazione, e infine nella lunga teoria di accuse che diversi procuratori (senza successo) mossero a quella pattuglia di carabinieri, è facile intuire chi siano gli uomini e chi gli «ominicchi» o se preferite i «quaquaraquà».

leonaro sciascia

 

Dopo circa venticinque anni dall'uscita del Giorno della Civetta, Sciascia scrisse il celebre pezzo sul Corriere della sera sui professionisti dell'antimafia: in cui lucidamente, lui che per primo parlò di mafia e di caparbi carabinieri, espresse fortissimi dubbi su quella che era diventata un'etichetta retorica, grazie alla quale si stava per formare in Italia, una casta di intoccabili.

leonardo sciascia, racalmuto, 1964 ferdinando scianna ANTONIO SUBRANNIdell'utriSCIASCIAsciascianicola porro foto di bacco (2)NICOLA PORROstatua sciasciaberlusconi dell'utri

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