PENSATE LO STRAZIO DI CHI ENTRA NEL TRITACARNE DELLA GIUSTIZIA - L'INFERMIERA DI LUGO, DANIELA POGGIALI, HA SCONTATO 1300 GIORNI IN PRIGIONE ACCUSATA DI DUPLICE OMICIDIO - PER I PM ERA COLPEVOLE DI AVER INIETTATO DEL POTASSIO A DUE ANZIANI, UCCIDENDOLI - DOPO UNA CONDANNA A 30 ANNI IN PRIMO GRADO, E' STATA ASSOLTA IN APPELLO "PERCHE' IL FATTO NON SUSSISTE" - L'AVVOCATO DELLA DONNA SOSTIENE CHE LE INDAGINI SONO STATE "FAI-DA-TE", "INAFFIDABILI" E "ABUSIVE" - COME POSSONO GLI INDIZI PORTARE A DUE SENTENZE TOTALMENTE OPPOSTE? QUALI GARANZIE HA DAVVERO UN CITTADINO DAVANTI A QUESTA "GIUSTIZIA"?

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Franco Giubilei per "la Stampa"

 

L'immagine del mostro Daniela Poggiali ha fatto di tutto per cucirsela addosso, col sorriso strafottente ai fotografi mentre veniva portata via in manette, ma soprattutto con quel selfie sciagurato e osceno scattato mentre alzava il pollice davanti a una paziente inconsapevole, dallo sguardo perso nel vuoto e la bocca storta per la sofferenza.

 

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Il cammino giudiziario invece si è rivelato molto più contrastato di quell'espressione da colpevole perfetta, culminando nella doppia sentenza di assoluzione di ieri: la corte d'assise d'appello ha respinto per la terza volta la richiesta di ergastolo della procura generale relativa alla morte di Rosa Calderoni, 78 anni, l'8 aprile 2014 all'ospedale Umberto I di Lugo, cancellando anche i trent' anni disposti in primo grado per il decesso in corsia del 94 enne Massimo Montanari.

 

Per l'ex infermiera, 49 anni, è una vittoria giudiziaria importante, anche se il processo potrebbe trovare nuovo impulso in caso di nuovo ricorso in Cassazione: «Sono felicissima, non poteva che andare così, da domani (oggi, ndr) mi godo la mia famiglia», ha commentato Poggiali. La sorella e il cognato, presenti in aula, hanno festeggiato con lei una decisione che sancisce anche la sua scarcerazione.

 

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A conferma dell'andamento soffertissimo del processo, le sentenze opposte: dalla colpevolezza piena in primo grado per aver soppresso le sue vittime con iniezioni di potassio ad assoluzioni altrettanto piene in appello perché «il fatto non sussiste». In questi anni, l'ex dipendente dell'ospedale di Lugo si è fatta qualcosa come mille giorni di carcere, contando solo il periodo precedente alla prima scarcerazione, avvenuta nel 2017 dopo l'assoluzione in appello per il presunto delitto dell'anziana: per il giudice era morta per cause naturali. La Vigilia di Natale di tre anni dopo Poggiali è tornata in cella dopo i trent' anni comminati per la morte del 94 enne.

 

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L'altalena giudiziaria è proseguita alternando ricorsi in Cassazione dell'accusa contro le assoluzioni in appello, cui il giudice di secondo grado ha sempre risposto, come ieri, mandando assolta l'imputata. Ieri, in apertura di udienza, l'ex infermiera ha ricostruito la vicenda, respingendo le accuse e negando la sostituzione di un campione di sangue prelevato a Rosa Calderoni, morta poche ore dopo il ricovero l'8 aprile del 2014.

 

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Quanto alla seconda vittima, Massimo Montanari, morto il 12 marzo dello stesso anno, gli inquirenti sono risaliti a Poggiali per le modalità del decesso, trovando analogie con l'altra morte e insospettendosi per il fatto che l'uomo era stato il datore di lavoro del compagno dell'infermiera.

 

Il ruolo del mostro, consacrato mediaticamente dalle due foto di cui si diceva, le stava addosso così bene che vennero compiuti accertamenti statistico-forensi sulle sue presenze in ospedale, rilevando singolari coincidenze fra i turni in cui Poggiali era in servizio e un sensibile aumento delle morti in corsia: il tasso di mortalità fra i pazienti era risultato «tre-cinque volte superiore rispetto alla media degli altri infermieri».

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Un diabolico angelo della morte doveva avere agito fra i degenti dell'ospedale di Lugo, ma le prove raccolte dagli inquirenti, valutate come chiari segni di colpevolezza in primo grado, venivano puntualmente smontate in appello, per poi tornarvi dopo i ricorsi in Cassazione in un estenuante gioco dell'oca.

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Quando ha parlato ieri, Poggiali ha definito l'accusa «qualcosa di folle», ma quel che l'andirivieni del giudizio dimostra ha piuttosto a che fare con elementi di prova tutt' altro che incontrovertibili, se i giudici si sono spaccati fra colpevolezza e innocenza. Esultano anche i difensori della donna, Lorenzo Valgimigli e Gaetano Insolera: il primo, in particolare, definisce la sentenza «un passo nevralgico e decisivo», entrando nel merito di un'inchiesta caratterizzata da modalità di repertazione discutibili, da parte dei dipendenti Ausl, delle tracce di potassio in un deflussore. Le indagini? Per l'avvocato sono state, oltre che «fai-da-te e inaffidabili», pure «abusive».

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