Estratto dell’articolo di Veronica Mazza per www.larepubblica.it
Buongiorno, ho deciso di scriverLe. Sarà una lettera lunga non me ne voglia. Sarà la tenutaria (può sempre distruggerla) di un segreto, forse l’ultimo baluardo di una sbandata. Per poi rientrare del tutto nei canoni medio borghesi dettati da questa società ormai ridotta a prezzi di saldo avanzato. Mi presento: ho 46 anni, un bel lavoro che si assottiglia sempre di più a Milano, città condannata a divenire e non ad essere.
Una compagna (non ci siamo ancora sposati) da 10 anni. Una figlia di 9 anni. Molta diffidenza, isolamento e cattiveria da parte del mondo circostante. Io del Nord, Lei del Sud". Inizia così la lettera che Riccardo, ricercatore in una società di Marketing della Brianza, ha scritto come una lunga confessione. E che noi abbiamo scelto di pubblicare, per poi farla commentare alla nostra psicologa, perché tocca temi sensibili legati al tradimento: la difficoltà del vivere in coppia a lungo, l'attrazione per il proprio sesso, il ruolo dei social e la sofferenza nel far soffrire una persona che si ama. Ma non solo.
Continua Riccardo: "Il nostro rapporto si potrebbe definire “originale”. Entrambi veniamo dagli stessi studi, molto duri e severi. Determinazione e sacrificio sono parole d’ordine che finora - per fortuna - siamo riusciti a conservare e trasmettere. Il lavoro, la quotidianità di affrontare la vita non lasciano spazio a molto svago. Ma questo è. Credo che quando si decide (consapevolmente o meno) di formare una famiglia si faccia un voto, aldilà di un Credo. Alcune situazioni e/o cose non sono più ammesse; un po’ come rinunciare alla Mini Cooper decapottabile, che faceva figo a 30 anni per l’aperitivo; adesso, semmai, sorridere. Eppure il mondo è grande.
Ho avuto il privilegio di poterlo vedere di confrontarmi con altre culture lontane e al ritorno ho sofferto questa certa monotonia indotta dal grigiore lombardo; perché si ammettiamolo, Milano sarà anche figa, limitata alla cerchia dei bastioni, alle fiere del design, ma non so quanta poesia si possa trovare sulla tangenziale ovest in coda di ritorno a casa sotto la pioggia battente di novembre.
Il vivere in coppia fa ritorno a quanto esposto sopra. Ci si raffredda come un bellissimo pezzo di bollito fumante e goloso. Dieci anni a riversare tutte le nostre energie nel noi; a crescere la bambina, facendo fronte come in una battaglia alle innumerevoli situazioni di disagio e di isolamento (spesso nate dall'invidia) generate dalle famiglie di origine. Sesso e intimità vengono meno, la carne è sempre più fredda e dura. Ci si chiude in una stanza buia, senza porte e finestre: lo smartphone. Che ti illude attraverso i suoi caleidoscopici colori e suoni che fuori esista il mondo che vuoi tu. Che non consegna la vera realtà.
La scatola / stanza rilascia i tuoi interessi: mi piace leggere ogni giornale, saggio, articolo, scorro fotografie, mi informo sulle mostre, ricevo messaggi Facebook di persone ignote, fagocitando immagini di fisici scultorei che non potrò mai avere. Nel mare magnum fa capolino, a maggio scorso, un soggetto nuovo, diverso. Un Professore (lo chiameremo così). Ce lo suggerisce un contatto comune, amica scrittrice e giornalista. Il Professore ha la sua famiglia: un figlio grande che fa fatica a trovare il suo spazio, che vive solo lontano dalla città d’origine, una moglie più grande d’età molto severa, docente emerito universitario.
Facebook è a mio modesto avviso un luogo fittizio, astratto. Dove puoi condividere elementi comuni di tuo interesse facendo scattare quel parametro che la psicologia non ammette: la comunicazione non verbale. Quella che non puoi controllare consciamente. Quanto ragioniamo effettivamente sul rilascio freddo del click del mouse? Senza pensarci troppo mettiamo like, cuori, faccine (stiamo ritornando ai segni, diciamo molto con molto poco). Il che dà adito a mille e mille interpretazioni. Ce lo possiamo permettere, a 46 anni, di evadere? Non siamo vecchi, non siamo giovanissimi.
Giovani adulti? Boh. E così tra me e il Professore inizia uno scambio di short comments, di like, di cuori, di commenti a ogni foto, articolo, situazione, post. Abbiamo lasciato andare il freno inibitore. C’era molto traffico emozionale, da parte di entrambi. Sentivo che questa persona mi faceva stare bene. Iniziamo a chattare. Ci si confida, anche lui vive una situazione non facile: viaggia di continuo da 23 anni. Su e giù dai treni.
Ma è saldamente ancorato alla sua idea di libertà: costruire una vita parallela di cui essere il Re incontrastato. Io decido (ma il tasso decisionale è davvero basso) di conoscerlo. Live. E diciamo che non vive vicino alla Brianza. Inizia da lì una singolar tenzone con la mia compagna, un processo durissimo che andrò ad affrontare e che come ogni processo che si rispetti non mi vedrà uscire né vincitore né vinto. Così come gli altri attori che fanno parte di questa messa in scena.
Con una scusa (l’inizio del castello di carte) invento un incontro di lavoro e progetto la 48h di fuga. Biglietto aereo, trasferimenti, noleggi auto. Mettendo in crisi (perché crisi è la parola adatta) il ménage familiare, costringendo a sacrifici non da poco i miei, che non possono contare sui consueti abitudinari mezzi di trasporto. Mi chiedo: in 10 anni non ho fatto niente di folle, cosa sarà mai? Cosa mai potrebbe succedere? Un’evasione, una ragazzata. Arrivo in aeroporto solo con lo zaino del lavoro: un cambio e il portatile. Pannelli luminosi chiari e inflessibili. Chiedo al Professore via messenger: “ultima chiamata per volare assieme, lo facciamo?". Risposta: "SI". Un po’ con il cuore in gola, check in.
L’aereo parte: 1.40 di viaggio. Ho cercato di dormire per recuperare quel sonno negato, ma troppi vuoti d’aria. Si ballava parecchio. Bagaglio a mano, nessuna attesa all’uscita. Nel corridoio dell’aeroporto lui si palesa: ci sorridiamo, ci abbracciamo. Un abbraccio lungo, profondo e liberatorio. Quella sensazione tattile di calore, di chi ti accoglie perché ti aspettava. Prendiamo la macchina a noleggio e fuggiamo via. Sono state 48 ore di estasi, di sogni, di potersi dire e fare ciò che si desiderava da tempo. Uscire dalla torre che ci si eravamo costruiti e in cui ci sentivamo in prigione.
Rientro con l’ultimo volo della sera. Si era aperto un varco, nei miei sentimenti, pensavo di farcela, di reggere. Ero in palese errore. Torno a Milano. L’essenza e il ricordo dell’estasi mi stanno addosso come una seconda pelle. Non riesco a fingere: sono stato bene. Siamo stati bene. Sapevamo entrambi che rivedersi sarebbe stato molto, molto difficile, ma era una prova che eravamo disposti a sostenere. Arrivo a casa tardi, forse alle 2 del mattino, ma ero SERENO.
Condizione fisico mentale quasi dimenticata. Avevo addosso il sorriso, cercavo la mia compagna, volevo fare l’amore con lei. Abbandonarmi ai sensi. Ma mi sentivo quella sua fragranza addosso. Come un testimone schiacciante dell’accusa, gioca contro di me il fatto di non aver chiamato a casa con la consueta ossessione, tipo per accertarmi se al supermercato la mia compagna stesse comprando l’olio per friggere alle arachidi piuttosto che al mais. Questo giro invece niente. Sono stato refrattario, avaro, insolito. La mia compagna mangia la foglia. Sa che qualcosa non è andato come doveva. Silenzio tra noi.
Per me, ormai c’era solo il Professore. La chat era passata su un nuovo canale social con possibilità di tenere segreti i nostri scambi. Il mio ego non mi concedeva di cancellare quelle conversazioni, la traccia emotiva, scritta. E la compagna che conosceva ogni mia password (perché in amore bisogna dirsi tutto??!?) non faceva altro che leggere. Violando la mia privacy. La sua disperazione è indescrivibile. Si fa del male fisico, serio, tenta il suicidio. Cade in una depressione grave, si abbandona a pianti e isteria ogni sera mentre la bambina dorme. In un contesto normale, di persone civili, ci si lascia.
Dovevo andarmene. Lasciare la casa, mia figlia, la mia esistenza, i miei cani. Aprire un tavolo tra avvocati, liti, assegni di mantenimento, scandali, redere conto a famiglie e a terzi. Non ci riuscivo. Non riuscivo a rinunciare alla mia vita e a lei. E contestualmente non riuscivo a rinunciare al Professore. Era come entrato dentro me. Ero innamorato. Lo ammetto.
Ho cercato di mettermi a nudo cercando di ridare un senso alle cose. Nelle 48h c'era stato tradimento? Cosa intendiamo per tradimento? Quale peso gli diamo? Fisico, o anche solo mentale? Divento rigido, freddo. Cancello davanti a lei tutte le lettere, le chat, le mail. Lo banno da ogni social con le lacrime che scendono copiose, rigandomi il viso. Non piangevo così da quando ero bambino. Lacrime di coccodrillo.
Tutto torna a posto, apparentemente. Lei ritrova fiducia e stabiliamo un precario equilibrio. Iniziano le vacanze natalizie che passiamo dalla suocera e io decido di non lasciarla un attimo. Prendo le ferie per dedicare 12 giorni alla ricostruzione di un noi. Ma Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, così il Professore ed io troviamo il modo di scriverci di nuovo. Ci ritroviamo, anche se solo per lettera. Un’empatia enorme ci unisce, ci sosteniamo a vicenda.
Commetto di nuovo l’errore di lasciare il computer acceso e lei in un attimo riesce a trovare le nuove password. Si fa furba, mi lascia agire e usa sapientemente i varchi d’accesso leggendo in diretta ciò che scrivo. Persino di notte, mentre stiamo a letto insieme: girati di spalla uno scrive, l’altra legge. Lo fa per lungo tempo: 40 giorni. Una Quaresima alla quale non segue una Pasqua. Un pomeriggio qualsiasi di gennaio, quando torno a casa, ho una sorpresa. […]
Parliamo e nel cercare di chiarirci escono le frasi più belle e sincere che ci siamo mai scambiati in tanti anni. Capivo che non voleva rinunciare a me, a noi alla famiglia. Le ferite fisiche che si era procurata, con fatica si erano rimarginate; quelle psicologiche non so se mai si chiuderanno. Le confesso apertamente che al Professore volevo bene, anzi che lo amavo; mi ero immedesimato nella sua triste vita e volevo salvarlo. Il nostro era uno scambio continuo di affetti, di tenerezze.
Ho sempre trovato seccanti certi film che raccontano i gay (che brutta parola) scorgendo sempre la stessa prospettiva. Sempre dalla parte del peccato, della vergogna. Le donne, anzi forse l’umanità intera dovrebbe avere un minino di tolleranza. Chissà quanti contatti tra i tornei di calcetto, le partite a carte, i progetti di gruppo, ci sono stati, in segreto. Sta a noi capire il livello dell'attrazione e a trarne le conseguenze, se si ha il coraggio di farlo.
Alla fine decidiamo di entrare in terapia di coppia. Non possiamo permettercelo privatamente, ma scopro che il consultorio pubblico è gratuito e fortemente sostenuto dalla Regione. Racconto il fatto allo psicologo, il quale mi ascolta con assordante silenzio. Stiamo ancora assieme […]
La psicoterapeuta commenta la lettera: "Se in gabbia si vive in due, quando uno trova la forza di evadere l’altro, spesso, prova un'inconscia invidia "
Abbiamo sottoposto la lettera del nostro lettore a Maria Claudia Biscione, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa, perché potesse commentarla e aiutare Riccardo - oltre a tutti noi - nel capire come affrontare una situazione di questo tipo.
“La prima cosa che colpisce è l’onestà con la quale Riccardo ci racconta la sua storia, senza alibi o giustificazioni. Si mette a nudo con tanta sincerità che il suo tradimento sollecita più riflessioni e interrogativi che non rabbia e facili giudizi. Perché sì, non tutti i tradimenti sono uguali e non tutti fanno scopa con falsità e ipocrisia. Il lettore descrive il suo rapporto cambiato nel tempo, sfiorito e un po’ ammaccato come un qualcosa di abbastanza inevitabile e con cui è facile convivere, giusto o meno che sia. Il suo incontro con il Prof non è cercato.
Non si muove tra i social come uno squalo a caccia di prede ma, più che altro, come un piccolo pesce che si trova in uno scambio che pian piano lo cattura, accoglie e seduce. Il traffico emozionale racconta come nel deserto di colori emotivi in cui facilmente una coppia si può trovare, un’infedeltà può trovare facilmente lo spazio in cui inserirsi e conquistare. Riccardo si chiede se sia possibile evadere a 46 anni, se ce lo si può permettere. Viene da rispondere che l’evasione è una fuga da una costrizione, una gabbia e che, quindi, bisognerebbe poter tracciare prima i confini di una relazione per evitare che il bisogno di scappare prevalga o assalga. Respirare aria fresca a pieni polmoni non dovrebbe avere età, ma solo giudizio e la responsabilità con sé stessi di chiedersi perché non c’è più aria pulita nel luogo in cui avevamo scelto di stare.
il traditore lamenta stress per giustificare la sua assenza
Il fine settimana che Riccardo si concede diventa la realtà parallela che riempie, nutre, con una nuova chimica, complicità, seduttività, gioco e adrenalina che tutti i nuovi inizi regalano. Il suo ritorno, così pieno dell’essenza dell’altro, però si scontra velocemente con la compagna che ha già capito. Perché spesso quello che si dimentica quando si tradisce, in un caso come questo, è che nella gabbia si vive in due e se è vero che non tutti hanno la forza di evadere, però quando lo fa uno, l’altro, spesso, percepisce con una inconscia “invidia” la capacità di essere riusciti a compierlo.
Così al dolore di una infedeltà si aggiunge la rabbia di non aver saputo fare altrettanto, di essere rimasti lì impantanati, abbandonati e soli in quella sorta di patto implicito disfunzionale in cui va bene la mancanza di emozioni purché riguardi entrambi. E così per lei inizia la caduta negli inferi, viola la privacy, certo sbagliando, ma l’ego di cui parla Riccardo nel non nascondere o cancellare le tracce racconta quanto il bisogno di sorridere non riesca, spesso, a limitarsi.
Si diviene ingordi e prevale la necessità di leggere di nuovo i messaggi per riviverla continuamente quella nuova avventura, di ripensarci, fantasticare, corteggiare con le parole, che continuano a fare eco e a vibrare ben oltre gli incontri reali. La depressione della compagna, poi, evidenzia uno stato di frustrazione e disagio emotivo probabilmente già presente, che questo tradimento ha solo scoperchiato e acuito. La sua reazione non porta Riccardo a chiudere per viversi il suo innamoramento, ma bensì lo ancora di più al suo “regno” e, seppur difficilissima, fa inizialmente la sua scelta: restare con lei. […]