LE REGIONI IN RIVOLTA CONTRO IL RITORNO IN CORSIA DEI MEDICI NO VAX: "STIANO FUORI DAGLI OSPEDALI" - EMILIA-ROMAGNA, LAZIO, PUGLIA E CAMPANIA ALZANO UN MURO E IL SOTTOSEGRETARIO GEMMATO ALZA LA CRESTA: "IMPUGNEREMO LE NORME REGIONALI" - IL MINISTRO DELLA SALUTE, ORAZIO SCHILLACI, SCARICA LA PATATA BOLLENTE SU ASL E OSPEDALI: “COSA ANDRANNO A FARE I MEDICI REINTEGRATI SARANNO LE SINGOLE DIREZIONI SANITARIE A DECIDERLO” - MA DI QUANTE PERSONE STIAMO PARLANDO? DAI 4MILA SOSPESI, TOLTO IL 47% DEI PENSIONATI E 400 ODONTOIATRI, DI MEDICI NE RESTANO 1.878, A MALA PENA MILLE SE SI CONSIDERA CHE UN BUONA FETTA FA SOLO LIBERA PROFESSIONE IN STUDIO…

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Paolo Russo per “la Stampa”

 

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Mentre si apre il fronte delle Regioni in rivolta contro il ritorno di medici e infermieri no vax in corsia, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, scarica la patata bollente su Asl e ospedali. «Ho letto di polemiche su quello che i 4mila medici reintegrati andranno a fare, ma questo saranno le singole direzioni sanitarie a deciderlo», ha detto dai microfoni di Corriere Tv. A chiarire meglio chi dovrà questa settimana sbrogliare la matassa è Giovanni Migliore, il presidente della Fiaso che rappresenta i manager delle aziende sanitarie.

 

«È il medico del lavoro che può esprimere l'idoneità o meno a lavorare in un determinato reparto dopo la valutazione del rischio legata a salute ed età». Insomma non è detto che chi prestava lavoro in oncologia o in una Rsa rientri negli stessi ranghi di prima mettendo a rischio i pazienti più fragili.

 

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Sicuramente non lo faranno i sanitari No vax di Emilia Romagna, Lazio, Campania e Puglia, che con leggi regionali, direttive o semplici dichiarazioni hanno già alzato il muro che terrà alla larga i non immunizzati dai pazienti, almeno quelli fragili. «È stata inviata ai direttori generali delle asl e delle aziende ospedaliere una direttiva a mia firma per mettere in campo tutte le azioni dirette a contrastare ogni ipotesi di contagio, evitando il contatto diretto del personale non vaccinato con i pazienti», ha annunciato il presidente campano Vincenzo De Luca, che considera il ritorno dei No vax «un'offesa a colleghi e pazienti».

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L'Emila Romagna si è rimessa invece agli ordini professionali. Saranno loro a dover revocare la sospensione, altrimenti niente reintegro per i 480 renitenti al vaccino, che comunque non potranno lavorare nei reparti occupati dai pazienti a rischio. Che è poi quanto previsto dalla legge regionale pugliese del 2018, aggiornata in epoca pandemica, che tiene lontani dai reparti più delicati i sanitari non vaccinatati contro il Covid, ma anche contro le altre malattie infettive, influenza compresa.

 

Il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, ha annunnciato che il governo impugnerà la legge pugliese, ma dalla Regione replicano che i termini sono già scaduti. Anche il Lazio è intenzionato a muoversi sulla stessa linea, che potrebbe essere seguita da altre Regioni governate dalle forze di opposizione. Il Piemonte reintegra invece i suoi con il solo paletto di non spedirli proprio nei reparti Covid.

 

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Che intorno al reintegro sia in atto più uno scontro ideologico che una questione di sostanza lo confermano comunque i numeri diffusi ieri dalla Fnom, l'Ordine dei camici bianchi, per cui dai 4mila sospesi tolto il 47% dei pensionati e 400 odontoiatri di medici ne restano 1.878, a mala pena mille se si considera che un buona fetta fa solo libera professione in studio. A fare da sponda al governo è però proprio il presidente della Fnom, Filippo Anelli, secondo il quale «far tornare i medici non vaccinati al lavoro in questo mento non è rischioso».

 

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«La norma nazionale sull'obbligo durante l'emergenza ha funzionato bene, ma ora la situazione epidemiologica consente il ritorno alla normalità. Resteranno le mascherine e la prudenza», è la sua conclusione che non dispiacerà alla premier e al ministro Schillaci. Il quale tende la mano ai medici di famiglia, grandi elettori dell'ordine, quando dice: «Stiamo valutando se le case di comunità siano la risposta giusta per il territorio». E, guarda caso, in quei maxi ambulatori territoriali, aperti sette giorni su sette, dovrebbero lavorare molto più di quanto oggi non facciano nei loro studi proprio i medici di base.

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