Estratto dell’articolo di Francesca Angeleri per https://torino.corriere.it/
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Se lo dice Rocco vale di più. È giusto che si cominci a parlare di educazione sessuale a scuola? «Era ora». Il più grande pornodivo italiano ha iniziato, con lo scoccare del sessantesimo compleanno, a calcare altri palcoscenici e, con la produzione e la regia di Paolo Ruffini, giunge anche a Torino con un monologo incentrato sulla sua vita. Siffredi racconta Rocco sarà al Teatro Alfieri lunedì 4 novembre alle 21.
Siffredi, perché è giusta l’educazione sessuale/sentimentale a scuola?
«I ragazzi, oggi, si mettono a ridere se parliamo di posizioni. La cosa più importante è educarli ai sentimenti. Creare uno spazio dove possano capire a chi apparteniamo. Tutti noi».
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Come è questa sua nuova vita a teatro?
«Mi entusiasma, ma ci vado piano perché il teatro è fatto da chi ha studiato per farlo. Non mi aspettavo di vivere questa esperienza. Fino a quando non ho visto a New York lo spettacolo in cui c’era Mike Tyson che si raccontava. Ho pensato che era fighissimo e che mi sarebbe piaciuto farlo».
Lei ha fatto il lavoro che tutti gli uomini sognano.
«Lo sognano ma è complesso, in un mondo dove regna il senso di colpa verso la sessualità. Quando ero adolescente era sbagliato masturbarsi, era sbagliato desiderare di voler fare il porno (aveva 13 anni, ndr), mio fratello mi diceva che ero pazzo, un altro voleva picchiare mia madre perché me lo aveva permesso. C’è sempre disperazione quando si parla di sessualità, anche in SuperSex, anche nel documentario francese che hanno fatto su di me Thierry Demaizière e Alban Teurlai».
COPERTINA NON FARTI FOTTERE - LILLI GRUBER
Non le è piaciuto SuperSex?
«Mi è piaciuto tantissimo. Non è colpa di Borghi né di nessuno. Solo non si racconta mai l’altra parte. Quella di Siffredi che ha vissuto 30 anni di porno facendo sesso, sperimentando sensualità, a volte anche violenta, per cercare di rompere quel meccanismo di noia e ripetitività che i porno offrono. Io sono diventato Siffredi perché ho portato nel mondo del porno qualcosa di estremamente nuovo che non esisteva».
Cosa?
«Tra i 70 e gli 80 il porno era tutto uguale. Poi “è arrivato questo italiano che ha scomposto tutto”. Quando Catherine Breillat mi chiamò per il film Pornocrazia le dissi che non avevo mai recitato. “Ho visto come sc...: ci metti l’anima. Per me sai recitare”».
Qual è la cosa che l’ha resa più felice e quale quella che l’ha resa più triste?
«La più felice sicuramente mia moglie e la mia famiglia. Sopra ogni cosa. Oltre al fatto di essere riuscito a realizzare il sogno della mia vita, che era diventare una pornostar. Ciò che mi ha reso più infelice è la mia dipendenza».
Dal sesso?
«Non se ne esce da soli, bisogna farsi aiutare molto. È peggio di tutte le altre. Forse della droga no… Perché sembra che sei figo, che vai sempre in giro a sc…, ma non sei tu che ci vai. È il tuo corpo. Non ci va la tua anima. Cerchi e trovi ancora più dolore. Non è facile».
Rocco Siffredi e il femminismo: un rapporto difficile?
«Oggi si sta esagerando nel dare tutte le colpe all’uomo. Lilly Gruber nel suo libro sul porno descrive le donne sempre come vittime del maschio».
Non è così?
«Il problema è che non si cerca un incontro, un dialogo. Dobbiamo trovare un modo per ripartire da capo nei rapporti. Adesso si accusano tutti. Gli sportivi, ad esempio. Negli anni 80 o 90 i più grandi musicisti e rocker violentavano le ragazzine dopo i concerti».
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Intende le groupie?
«Una mia amica attrice porno è stata con David Bowie quando aveva 13 anni. Mica c’è solo Puff Daddy. Non sto giustificando ma dico che secondo me, piuttosto che limitarsi ad accusare, bisogna ripartire da zero». […]
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