Massimo Lugli per “il Venerdì di Repubblica”
L’ultimo sospettato è un fantasma. E ci mancava solo questa, la svolta surreale e vagamente horror del grande giallo a puntate, l'ultimo capitolo di una serie interminabile di misteri mai risolti.
Casi giudiziari che si snocciolano per decenni, indagini che si aprono, si chiudono, tornano a riaprirsi con la promessa di una svolta sempre attesa e mai in arrivo. Presunti colpevoli che finiscono sotto i riflettori e svaniscono nel buio, innocenti alla gogna mediatica, testimoni che si contraddicono o riacquistano la memoria dopo anni e anni, perizie tecniche in disaccordo, magistrati e poliziotti che si accapigliano tra loro, sentenze capovolte nei vari gradi di giudizio.
I cold case italiani sono un pentolone che ribolle di continuo sotto la fiamma alimentata da titoli d'apertura dei telegiornali, interminabili dissertazioni in diretta, criminologi da salotto, lettere anonime ad avvocati improbabili. E quasi sempre la vittima ha un nome e un volto di donna, da Wilma Montesi a Christa Wanninger, da Milena Sutter a Ida Pischedda, preistoria criminale. Fino a Simonetta Cesaroni. Già, lei, la ventenne di via Poma, la ragazza sulla spiaggia in costume da bagno con un'espressione che vorrebbe essere disinvolta e un sorriso strano.
È il Giallo per eccellenza, una serie tv interminabile che sembra riservare un colpo di scena a ogni nuova stagione. Fino agli ultimi sviluppi recenti.
Dopo Pietrino Vanacore, il portiere del palazzo, arrestato e scarcerato in meno di un mese, dopo Federico Valle, nipote di un noto ingegnere che abitava a via Poma e che fu indagato e scagionato senza mai arrivare a un processo, dopo Raniero Busco, l'ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, condannato a ventiquattro anni in primo grado e definitivamente assolto in Appello e Cassazione, adesso nel mirino è finito un personaggio scomparso sei anni fa: indagini riaperte per un processo che non si farà mai.
L'omicidio di via Poma, 7 agosto del 1990, sembra uno di quei casi destinati a restare nella storia, forse il più noto tra i gialli senza colpevole (o con un colpevole molto dubbio) che tengono i lettori e gli spettatori della cronaca nera col fiato perennemente sospeso.
Il nome del "sospettato", tenuto nascosto nei primi giorni dopo l'uscita della notizia, è finito per trapelare come inevitabilmente succede in questi casi. Ed è un nome che pesa: Francesco Caracciolo di Sarno, ex presidente dell'Associazione italiana alberghi della gioventù, l'ufficio dove Simonetta lavorava da poco e che avrebbe lasciato il giorno successivo al delitto.
Famiglia blasonata, personaggio corrusco e scontroso che si era rintanato da tempo nella sua tenuta di Tarano, nella Bassa Sabina, Caracciolo era entrato e uscito dall'inchiesta a passo di carica.
Il suo alibi («Avevo accompagnato mia figlia e un'amica all'aeroporto a prendere un aereo e poi mi sono fatto riaccompagnare a Tarano») sembrava inattaccabile e, del resto, in quei primi giorni la Squadra mobile puntava tutto sul portiere, Vanacore. Ricordiamolo: l'uomo si uccise alla vigilia della sua nuova testimonianza in Corte d'Assise durante il processo Busco: rimorso? Paura di venire smascherato? O addirittura un omicidio mascherato da suicidio? Altri misteri. Sta di fatto che, secondo la pm Ilaria Calò, Vanacore avrebbe avuto comunque un ruolo nel delitto, se non altro di copertura.
La nuova pista, in realtà, non è affatto nuova. Di Francesco Caracciolo di Sarno si parlò in un'informativa della Digos, una delle tante carte dimenticate, in cui l'uomo veniva definito più o meno un molestatore seriale.
Nel 2010, una testimone che smentiva la sua versione fu ascoltata dalla polizia ma la cosa finì lì. È stata la pubblicazione di un romanzo Il giallo di via Poma, edizioni Newton Compton, firmato da chi scrive e da Antonio Del Greco, a riaccendere i riflettori sulla vicenda della ragazza uccisa con ventinove pugnalate. Del Greco è l'ex funzionario della mobile che diresse le indagini sul giallo assieme a Nicola Cavaliere: fu lui ad arrestare Vanacore e, successivamente, a indagare su Federico Valle.
ILLAZIONI E VELENI
Dopo l'uscita del libro, l'ex poliziotto fu letteralmente bersagliato di segnalazioni, sospetti, suggerimenti, insinuazioni più o meno velenose. La maggior parte erano spazzatura ma, tra le tante soffiate fasulle, è arrivata quella, molto più consistente, che puntava a Caracciolo. Ascoltato in Procura per oltre cinque ore, Del Greco ha ripreso in mano tutti gli appunti e la documentazione sull'omicidio.
Disincantato e scettico per natura, l'ex investigatore evita di sbilanciarsi ma sembra convinto che, stavolta, la pista potrebbe reggere - e se ci crede lui Il problema è che l'inchiesta è diretta dallo stesso pubblico ministero che, dodici anni fa, sostenne l'accusa in quel delirio giudiziario che fu il processo a Raniero Busco e riuscì perfino a vincerlo: 24 anni di galera per il segno di un morso che forse non era un morso sul seno della ragazza e per una traccia di Dna sul reggiseno.
Una follia che, fortunatamente, non costò all'ex fidanzato neanche un giorno di carcere: i due successivi gradi di giudizio ristabilirono una verità fin troppo evidente: innocente come Abele.
Cambiare strada, ammettere l'errore e ricominciare da capo è segno di intelligenza e duttilità e bisogna vedere fino a che punto la Procura sarà in grado di smentire se stessa. Una sola cosa è certa: l'inchiesta si fermerà dove dovrebbe cominciare, visto che non si possono fare accertamenti su una persona deceduta né tantomeno condannarla post mortem. La verità, almeno quella ufficiale, sancita da una sentenza definitiva, insomma, resterà sempre nascosta.
il morso sul seno di simonetta cesaroni
Restano il dolore dei familiari di Simonetta, la delusione degli investigatori di allora, l'interesse quasi maniacale per un omicidio che continua a dilagare e ad alimentare ricostruzioni più o meno deliranti che rimbalzano di continuo sui social e sui siti sempre più frequentati di crime investigation.
SERVIZI TROPPO SEGRETI
I grandi gialli, dicevamo, sono quasi sempre al femminile. Gli ingredienti perché una storiaccia di cronaca nera diventi un mistero infinito sono sempre gli stessi: la vittima deve suscitare empatia e compassione, nell'indagine deve comparire un presunto colpevole, gli indizi debbono essere labili o poco convincenti. Ciliegina sulla torta: il caso deve prestarsi a quelle dietrologie tipicamente italiane che fantasticano di servizi segreti deviati, grandi intrighi internazionali e, magari, misteri d'Oltretevere.
il corpo di simonetta cesaroni
Già perché un altro viso di ragazza che contende a Simonetta il primato di vittima più nota d'Italia è quello di Emanuela Orlandi.
Quindici anni, figlia di un dipendente del Vaticano, l'adolescente uscì da una lezione di musica il 22 giugno del 1983 e scomparve nel nulla. Di lei si è saputo tutto senza sapere niente. L'elenco delle piste investigative potrebbe riempire un'antologia del crimine: rapita dalla Banda della Magliana come ritorsione per i fondi della gang bloccati dallo Ior, la Banca vaticana, uccisa durante un'orgia di pedofili in clergyman, sequestrata da agenti segreti bulgari, seppellita sotto un palazzo romano, ricoverata in permanenza in una clinica psichiatrica a Londra, viva e madre in Turchia, avvistata in vacanza su un'isola greca.
Rivelazioni a tassametro, spiate di detenuti infami, rivelazioni in diretta a Chi l'ha visto?, una tonnellata di fiction, docufiction, romanzi, dibattiti televisivi, film, serie tv, disperati appelli del fratello che cerca ancora la verità con implacabile ostinazione. Risultati: zero.
La sceneggiata più assurda fu la riapertura dell'ossario della basilica di Sant' Apollinare in Classe, dove fu sepolto Enrico De Pedis, il "Renatino" della Magliana, con tanto di analisi sui resti umani che risalivano al 1500, ovviamente sotto l'occhio onnipresente delle telecamere. Indagini spettacolo destinate a dissolversi come fumo.
Ma l'esempio più eclatante di inchiesta mediatica senza risultati fu il caso di Denise Pipitone, la bimba di 4 anni scomparsa all'ora di pranzo del 1° settembre 2004 a Mazara del Vallo e mai ritrovata.
«IO SO DOV' È»
Faida familiare, visto che la piccola era nata da una relazione adulterina? Vendetta? Ritorsione? Indagini difficili, in un contesto intriso di omertà e diffidenza, con personaggi pericolosamente vicini alle cosche locali e, sembra, alcuni investigatori collusi. Dopo anni di silenzio, l'ex pm, Maria Angioni, trasferita al Tribunale del lavoro, diventa una specie di star televisiva e riapre il caso.
il corpo di simonetta cesaroni
Parla, accusa, denuncia, indica nuove piste a tamburo battente e riesce nella difficile impresa di comparire in tre diversi programmi nel giro di un solo giorno. «Io so dov' è, ha due figli, vive all'estero ed è felice», annuncia, sibillina, a Storie Italiane, il programma condotto da Eleonora Daniele, davanti agli ospiti basiti e ai telespettatori esterrefatti. E non demorde neanche quando le sue rivelazioni verranno puntualmente smentite dagli inviati delle televisioni, che sembrano gli unici a indagare veramente mentre la magistratura sonnecchia.
Conclusione: l'indagine viene nuovamente chiusa e l'ex pm Angioni finisce sotto processo per ostacolo alle indagini e falsa testimonianza. Per consolidare la fiducia nella magistratura non è decisamente il massimo.
il corpo di simonetta cesaroni 2
Ma in Italia, del resto, le toghe dei giudici non sono state mai particolarmente amate, forse per via di tre gradi di giudizio che a volte, se la Cassazione annulla un dibattimento, possono diventare quattro o cinque con sentenze stravolte o capovolte nel giro di pochi mesi. Chi ha ragione? L'ultimo che parla?
OTTIMO PER UN BESTSELLER
Anche per questo il caso di Marta Russo si è lasciato dietro uno strascico di polemiche e dubbi che durerà almeno per un paio di generazioni. La ragazza, studentessa di giurisprudenza (voleva diventare magistrato), fu uccisa da un colpo di pistola calibro 22 in un vialone dell'università La Sapienza, il 9 maggio del 1997.
Omicidio senza movente, arma del delitto scomparsa, classico processo indiziario: il 15 dicembre del 2003 la Corte di Cassazione condanna in via definitiva gli assistenti universitari Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, a 5 anni e 4 mesi e a 4 anni e 2 mesi di reclusione, una pena quasi simbolica. Una sentenza contestata in ogni modo possibile e immaginabile: troppo blanda, di compromesso, ingiustificata, "pilotata", assurda. I due non hanno mai confessato e molti continuano a ritenerli innocenti. I dubbi, comunque, restano.
È chiuso per sempre, invece, un altro dei gialli romani più clamorosi dell'ultimo mezzo secolo: l'omicidio di Alberica Filo della Torre, strozzata nella sua villa dell'Olgiata il 10 luglio 1991, l'anno successivo al delitto di via Poma, una sorta di maledizione estiva capitolina. Classico giallo alla Poirot, con ingredienti da best seller: una nobildonna fascinosa assassinata mentre stava per festeggiare i dieci anni di matrimonio, una rosa di sospettati ristretta, una famiglia con legami nel mondo della finanza e della politica.
Manca solo un detective impomatato che se ne esca con «L'assassino è in questa stanza».
Per vent' anni gli investigatori si arrabattarono dietro le piste più folli senza cavare un ragno dal buco. Un magistrato piuttosto noto arrivò a ipotizzare che un unico serial killer avesse ucciso Simonetta, Alberica e, perché no, anche altre tre o quattro donne romane. Il caso fu archiviato e riaperto nel 2011 dopo ripetute istanze della famiglia.
Ai nuovi investigatori bastarono pochi giorni per trovare una macchia di sangue mai analizzata e individuare il colpevole: Manuel Winston Reyes, ex domestico della villa, licenziato dalla contessa.
L'assassino è il maggiordomo, roba da Agatha Christie. Winston Reyes confessò, si beccò 16 anni, è uscito pochi mesi fa ed è tornato dalla figlia, battezzata Alberica come la sua vittima.
"Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem", dice il principio del Rasoio di Occam che risale al XIV secolo, "Non moltiplicare gli elementi più del necessario". Un concetto chiarissimo: a parità di fattori, scegli la spiegazione più semplice. Funziona, ma molti investigatori sembrano essersene dimenticati. O magari non averlo mai sentito nominare.
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