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A TAVOLA CON IL VIRUS – ANDARE A MANGIARE FUORI O BERSI UN CAFFÈ AL BAR POTREBBE METTERCI PIÙ A RISCHIO DI CONTRARRE IL CORONAVIRUS: PAROLA DEI CDC AMERICANI CHE HANNO SCOPERTO CHE I PAZIENTI POSITIVI RIPORTAVANO DI AVER CENATO IN UN RISTORANTE NEI 14 GIORNI PRECEDENTI IN PERCENTUALE QUASI DOPPIA RISPETTO A CHI È RISULTATO NEGATIVO – “LA VENTILAZIONE E L’INTENSITÀ DEL FLUSSO D’ARIA POTREBBERO…”

Marta Musso per "www.wired.it"

 

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Andare a mangiare fuori o bersi un caffè al bar potrebbe metterci più a rischio di essere infettati dal coronavirus. È questa l’ipotesi degli statunitensi Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) che hanno scoperto che i pazienti positivi al Sars-Cov-2 riportavano di aver cenato in un ristorante nei 14 giorni precedenti al tampone in percentuale quasi doppia rispetto, invece, a chi è risultato negativo al test.

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 I dati della nuova ricerca, che arrivano quando la maggior parte dei Stati americani sta consentendo alle persone di cenare nuovamente nei luoghi al chiuso, vanno tuttavia presi con molta cautela: il campione di partecipanti, infatti, è davvero piccolo e non è stata fatta distinzione né tra le mascherine utilizzate dai partecipanti né tra il mangiare all’aperto o al chiuso. Serviranno, quindi, studi molto più approfonditi per poter confermare questi nuovi risultati.

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Nello studio, i ricercatori hanno coinvolto un totale di 314 partecipanti, di cui 160 persone negative al tampone (gruppo di controllo) e 154 pazienti risultati positivi al coronavirus in 10 Stati tra il primo e il 29 luglio scorso. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare dei sondaggi e rispondere a interviste riguardanti le attività svolte nelle ultime due settimane.

 

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Dalle risposte, i ricercatori hanno notato che circa la stessa percentuale di partecipanti in entrambi i gruppi ha riferito di aver sempre indossato la mascherina nei luoghi pubblici (71% dei casi positivi rispetto al 74% dei casi negativi). Dai dati, inoltre, non sono emerse differenze significative tra i due gruppi nel rischio di infettarsi per lo shopping, riunioni di lavoro, visite a casa di amici e parenti, o anche per chi era andato in palestra, dal parrucchiere e in un luogo di culto.

 

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Un’associazione significativa, invece, è emersa tra chi è risultato positivo al nuovo coronavirus e l’aver mangiato in un ristorante nelle due settimane precedenti al tampone. L’associazione è stata spiegata misurando il cosiddetto p-value (in questo caso pari a 0,01), valore che aiuta a capire se la differenza tra il risultato osservato e quello ipotizzato è dovuta alla casualità o se è statisticamente significativa. 

 

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Questi dati, spiegano i ricercatori, suggeriscono che le persone si infettano nei luoghi in cui devono rimuovere le mascherine, per esempio per mangiare e bere. “La ventilazione e l’intensità del flusso d’aria potrebbero influire sulla trasmissione del virus, anche se le misure di distanziamento sociale e l’uso delle mascherine sono implementate secondo le linee guida attuali”, si legge nello studio. 

 

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“Le mascherine non possono essere indossate efficacemente mentre si mangia e si beve, mentre lo shopping e numerose altre attività al chiuso non precludono il loro utilizzo”. Come suggeriscono i ricercatori, dovrebbero pertanto essere prese in considerazione strategie per ridurre le possibili esposizioni in luoghi in cui si mangia e beve sul posto per proteggere i clienti, i dipendenti e la comunità.

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Dai dati inoltre è emersa anche un’altra associazione significativa: chi è risultato positivo ha avuto maggiori probabilità di essere stato in stretto contatto con un caso di Covid-19 confermato (il 42% rispetto al 14% dei negativi). Nel 51% dei casi, precisano i ricercatori, i contatti stretti erano membri della famiglia.

 

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Tuttavia, lo studio presenta alcune importanti limitazioni: oltre alle piccole dimensioni del campione (c’è chi si è rifiutato di rispondere e chi non ha voluto partecipare), i ricercatori non hanno descritto la gravità della malattia dei pazienti positivi, non hanno chiesto ai partecipanti quali mascherine indossavano e se avessero mangiato all’aperto o, invece, al chiuso. Serviranno, concludono i ricercatori, studi più ampi e dettagliati per poter confermare questi risultati.

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