TERAPIA OFFENSIVA - UN TERZO DEGLI INFERMIERI IN ITALIA HA DICHIARATO DI AVER SUBITO UN EPISODIO DI VIOLENZA NELL'ULTIMO ANNO - LA PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE DEGLI INFERMIERI, BARBARA MANGIACAVALLI: "ALLA BASE DEL PROBLEMA C'È LA CARENZA DI PERSONALE" - MOLTI DEI SANITARI AGGREDITI, SIA VERBALMENTE CHE FISICAMENTE, PREFERISCONO NON DENUNCIARE GLI EPISODI: ALCUNI PENSANO CHE LA VIOLENZA SIA LEGATA ALLE CONDIZIONI DEL PAZIENTE OPPURE CHE IL RISCHIO SIA UNA CARATTERISTICA DEL LAVORO, MENTRE ALTRI…

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Michele Bocci per “la Repubblica”

 

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Non solo le botte e i vandalismi: spinte, schiaffi, cazzotti e calci, abbinati anche da porte spaccate e attrezzature mediche buttate in terra. La violenza di pazienti o loro accompagnatori dentro ospedali e strutture sanitarie spesso è verbale. Si tratta di un flusso continuo. Offese pesanti e minacce sono all'ordine del giorno. Spesso vengono indirizzate agli infermieri, cioè i professionisti che stanno più a contatto con i malati nei reparti nelle sale di attesa degli ambulatori: per chi lavora in certi settori, gli insulti sono pane quotidiano.

 

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Una ricerca appena pubblicata fa comprendere la portata del fenomeno. Il 32,3% degli infermieri, cioè quasi 130 mila persone, dichiara di aver subito un episodio di violenza solo nell'ultimo anno. I reparti più colpiti sono stati le medicine, i pronto soccorso e le rianimazioni. Il dato di coloro che ogni dodici mesi segnalano all'Inail un infortunio sul lavoro legato appunto a una violenza è molto più basso, cioè circa 5 mila.

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Tre quarti delle vittime sono donne e nel 70% dei casi si tratta di violenza verbale. Il 30% delle volte invece c'è stato anche il contatto fisico. A realizzare lo studio promosso dall'Università di Genova sono stati otto atenei. Ed è stato impiegato un ampio campione di infermieri, quasi 6 mila persone.

 

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A volte la violenza esplode contro le stesse strutture. Lunedì notte, ad esempio, all'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale del Mare di Napoli, un uomo ha sferrato calci alla porta di ingresso perché pretendeva di entrare. È stato denunciato. «Come dimostra il lavoro scientifico, ci sono innumerevoli situazioni che aumentano la percezione di pericolo, alla cui base c'è sicuramente la carenza di personale che, proprio da questa ricerca, emerge in modo chiaro», dice Barbara Mangiacavalli, la presidente della Federazione degli infermieri.

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Spesso, come dicono i dati Inail, si preferisce non denunciare e si cerca di sopportare lo stress provocato dalle violenze che per qualcuno, ormai, fanno parte del lavoro. Sono infatti solo il 54% coloro che hanno segnalato gli episodi di offese o aggressioni. Circa i due terzi di chi ha taciuto ha ritenuto che la violenza fosse legata alle condizioni dell'assistito e circa il 19% pensa, appunto, che il rischio sia una caratteristica dell'impiego. Il 20% dei professionisti non hanno avvistato neanche la loro azienda perché erano convinti che tanto non avrebbero ricevuto risposta.

 

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Ma qual è l'identikit degli aggressori? Intanto sono più numerosi gli uomini, ma non di tanto visto che rappresentano il 52%. Circa il 25% ha tra i 46 e i 55 anni, il 21% tra i 36 e i 45. «Gli infermieri conoscono i tratti e le caratteristiche di un potenziale comportamento di aggressione - spiega la coordinatrice dello studio, Annamaria Bagnasco - Tuttavia, per varie ragioni, non riescono a intercettare e prevenire questi episodi. E una delle concause è la comunicazione inadeguata tra il personale e l'assistito, o il suo l'accompagnatore».

 

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