boris johnson

LA BREXIT SI TINGE DI FARSA: GLI ANTI NO-DEAL IMPONGONO A BORIS UN RINVIO, MA DEVE ESSERE ACCETTATO DALL'UE. E SE GLI STATI MEMBRI TEMPOREGGIANO, POTREBBERO COSTRINGERE IL PARLAMENTO AD ACCETTARE NEL FRATTEMPO L'ACCORDO FIRMATO DA JOHNSON, PROPRIO PER EVITARE IL NO-DEAL. SERVE L'UNANIMITÀ DEI 27 PER CONCEDERE L'ENNESIMA PROROGA, E NON È DETTO CHE TUTTI LA VOGLIANO DARE…

 

  1. BREXIT: MIN. TEDESCO, DECISIONE UE SU PROROGA TRA GIORNI

(ANSA-AP) - Ci vorrà qualche giorno prima che l'Unione europea decida se concedere o meno al Regno Unito una proroga per la Brexit: lo ha lasciato intendere oggi il ministro dell'economia tedesco Peter Altmaier nel corso di un'intervista all'emittente radiofonica Deutschlandfunk.

 

boris johnson alla conferenza tory di ottobre 2019

Altmaier ha commentato che il governo del premier Boris Johnson cercherà di far votare il suo accordo con Bruxelles in Parlamento questa settimana: "Avremo un pò più di chiarezza nei prossimi giorni e quindi eserciteremo la nostra responsabilità e prenderemo rapidamente una decisione", ha aggiunto. Il ministro ha quindi sottolineato che non avrebbe nulla in contrario con un'eventuale proroga "di qualche giorno o qualche settimana" della data del 31 ottobre se servirà ad evitare una Brexit senza accordo.

 

  1. DOPPIO GIOCO BORIS SUL RINVIO,'HO I NUMERI PER IL DEAL'

Alessandro Logroscino per l'ANSA

 

boris johnson e carrie symonds alla conferenza tory di ottobre 2019 2

Una richiesta di proroga fantasma, che c'è, ma resta senza nome e potrebbe anche finire nel cestino prima di ricevere risposta. La Brexit si tinge di farsa dopo la falsa partenza del tentativo del governo Tory di Boris Johnson di strappare uno straccio di ratifica a Westminster dell'intesa sull'uscita dall'Ue, raggiunta con Bruxelles in extremis a quasi tre anni e mezzo dal referendum del 2016. Fermato dall'emendamento-trappola che ieri ha imposto l'ennesimo rinvio, il primo ministro ha risposto a modo suo, o alla Trump, a un'umiliazione che potrebbe non significare necessariamente sconfitta finale.

 

E che per i suoi oppositori, in Parlamento come in piazza, potrebbe ancora rivelarsi una vittoria di Pirro. Costretto a domandare all'Ue un'estensione dei termini della Brexit oltre quella scadenza del 31 ottobre che pure continua a indicare come certa, si è prodotto in un esercizio di astuzia che il leader laburista Jeremy Corbyn ha liquidato alla stregua di "una fanfaronata": il gioco delle 3 lettere (o delle 3 carte). Una l'ha inviata anonima al presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, per invocare in modo sbrigativo e strettamente formale un rinvio di tre mesi (fino al 31 gennaio 2020, ha confermato Bruxelles).

 

juncker URSULA VON DER LEYEN

Una seconda l'ha affidata all'ambasciatore Tim Barrow, per precisare che la richiesta è soltanto un atto obbligato, reso necessario dai dettami della cosiddetta legge anti-no deal, o Benn Act, promossa a settembre dall'opposizione parlamentare. E una terza l'ha firmata finalmente di proprio pugno, per argomentare la contrarietà sua personale e del governo tutto verso una soluzione bollata come sbagliata, oltre che non necessaria. Un intreccio di messaggi da lasciare allibiti. E che l'Ue si è presa tempo per valutare.

 

 Forse anche perché divisa al suo interno fra chi l'estensione vorrebbe concederla a prescindere, per evitare l'incubo no deal (Germania in testa), o magari per offrire una sponda al fronte britannico anti-Boris; e chi al contrario esita o magari pensa di reggere il gioco proprio a Johnson, come si sospetta voglia fare il presidente francese Emmanuel Macron lasciando aleggiare persino l'arma del veto.

 

Sia come sia, i 27 per ora non decideranno: e potrebbero continuare a far melina fino al summit straordinario del 28, secondo quanto fonti citate dal Sunday Times sostengono sia stato assicurato a Downing Street. Una manovra destinata a lasciare la palla nel campo di Londra. Ma, chissà, anche a consentire al premier britannico di riprendere l'iniziativa e di mettere pressione sul Parlamento fino all'immediata vigilia del 31 ottobre. Il governo intanto conferma di voler riportare in aula l'accordo già domani, allegato al pacchetto di leggi attuative il cui varo è stato indicato come premessa necessaria dall'emendamento dilatorio partorito del Tory dissidente Oliver Letwin. L'obiettivo è arrivare stavolta davvero al voto, lunedì stesso o martedì.

 

I numeri ci dovrebbero essere, s'è sbilanciato in tv il ministro degli Esteri, Dominic Raab, in uno dei talk show domenicali. E si può "scommettere" che il Regno uscirà comunque dall'Ue il 31 ottobre, gli ha fatto eco Michael Gove, secondo vice de facto di Johnson. I conteggi di ieri del resto non ne smentiscono del tutto l'ottimismo. Tanto più che lo stesso Letwin ha confermato d'essere ora pronto a riallinearsi.

 

mark rutte angela merkel jean claude juncker marcelo rebelo de sousa

Qualche incognita tuttavia resta, in un Paese in cui anche per strada la stanchezza sulla Brexit s'incrocia con sentimenti sempre più incattiviti su entrambe le trincee, come testimoniato dai rabbiosi insulti che frange di dimostranti del grande corteo filo Remain di ieri a Londra non hanno risparmiato a ministri conservatori costretti a ricorrere alla scorta della polizia: nel caso di Jacob Rees-Mogg assieme al figlio 12enne. Una prima incognita cruciale è l'emendamento preannunciato dal Labour per cercare di condizionare il deal al via libera a un referendum bis confermativo.

 

Una seconda ha che fare viceversa proprio con lo stratagemma della tripla lettera sulla proroga. Trovata che i ministri ombra laburisti Keir Starmer e John McDonnell hanno definito "infantile", non senza minacciare di trascinare BoJo in tribunale per "oltraggio alla corte": visto che il governo s'era impegnato di fronte a un giudice scozzese a rispettare il Benn Act "senza minarne gli scopi".

 

 

  1. L'ATTESA TATTICA DELLA UE RINVIA LA PALLA A LONDRA

Chiara De Felice per l'ANSA

 

donald tusk

Di fronte alla totale incertezza che regna a Londra, la Ue ha deciso di non decidere. La richiesta di estendere al 31 gennaio la data della Brexit è atterrata sul tavolo della Unione europea e lì rimarrà per qualche giorno, probabilmente fino a che il Parlamento britannico non voterà sul nuovo accordo di recesso raggiunto con Bruxelles giovedì scorso. L'Europa non vuole farsi trascinare nel caos di Westminster, ma il suo attendismo potrebbe aiutare Boris Johnson a far passare l'accordo da lui negoziato: senza la certezza di un rinvio, di fronte al rischio sempre più vicino di un'uscita senza 'deal', i parlamentari potrebbero convincersi a sostenerlo.

 

I rappresentanti permanenti dei 27 Stati Ue (Coreper) erano convocati per domenica mattina già da venerdì, dopo che il summit aveva deciso di avviare il processo di ratifica dell'accordo raggiunto il giorno prima. La riunione, però, ha dovuto aggiornare la sua agenda dopo le lettere inviate dal premier britannico alla Ue. Nessuno si aspettava la richiesta di un'estensione, non voluta da Johnson e non auspicata dai colleghi europei, soddisfatti dall'intesa di giovedì. Gli ambasciatori hanno quindi preso atto della novità, lasciando al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk il compito di sondare le cancellerie nei prossimi giorni.

 

E hanno poi avviato il processo di ratifica, come da programma. Il messaggio a Londra è chiaro: la palla resta nel campo di Westminster. E' quindi probabile che le consultazioni di Tusk dureranno almeno fino a che la situazione a Londra non si sarà chiarita. Dopo aver sentito i leader, il presidente Ue dovrebbe convocare un vertice straordinario per concedere eventualmente la proroga. Non c'è fretta, ripetono fonti Ue, perché non siamo ancora a ridosso del 31 ottobre. Inoltre, per la proroga servirebbe l'unanimità, ed è tutt'altro che scontata. Al momento la Francia è contraria, mentre la Germania sembra più possibilista. Almeno così lascia intendere il presidente della commissione Esteri del Parlamento tedesco, Norbert Röttgen, veterano della Cdu di Angela Merkel, che si schiera con un'estensione lunga che consenta al Regno Unito "di risolvere le questioni e prepararsi a tutte le possibili risoluzioni, incluso un secondo referendum".

JUNCKER TUSK

 

Ma i dubbi sono molti, inclusi quelli sul tipo di proroga da concedere a Londra. Se in settimana passasse l'accordo al Parlamento britannico, la Ue dovrebbe concedere solo un'estensione tecnica per dare tempo alle ratifiche, inclusa quella del Parlamento Ue. Ma se l'accordo non passasse, le strade sarebbero diverse. Una è dare a Londra quello che chiede, cioè fino al 31 gennaio 2020. Condannando tutti ad altri tre mesi di incertezza, appesi a quelli che la Ue ormai considera problemi del Regno Unito.

 

Un'altra è concedere una proroga lunga, fino a dicembre 2020, per dare tutto il tempo necessario anche ad un altro referendum. Con un grosso problema tecnico: il 2020 è l'anno in cui la Ue deve discutere il suo bilancio pluriennale, e deve sapere se contare o meno il contributo britannico.

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