pescatori

COSA ABBIAMO DATO AD HAFTAR IN CAMBIO DELLA LIBERAZIONE DEI 18 PESCATORI DI MAZARA DEL VALLO? - UN GIORNALE LIBICO PARLA DI UN ACCORDO CHE PREVEDE L’ESTRADIZIONE DI QUATTRO SCAFISTI CONDANNATI IN ITALIA E IN ATTESA DI UN PROCESSO IN CASSAZIONE - MARTEDI' IL CASO ARRIVA AL COPASIR - UMILIAZIONI, CIBO IN CIOTOLE DI LATTA, NIENTE SAPONE: ECCO COME SONO STATI TRATTATI I NOSTRI PESCATORI A BENGASI…

1 - «SBATTUTI IN CELLA, AL BUIO, UMILIATI SENZA NEANCHE UN PEZZO DI SAPONE» A BENGASI

Felice Cavallaro per il “Corriere della Sera

 

I 18 pescatori DI mazara IN LIBIA

Ci sono volute più di tre ore per ricaricare le batterie e sono sembrate quasi più lunghe di quei tre mesi passati da una cella all'altra di Bengasi. Quando, all'una di notte, i motori dei due pescherecci si sono riaccesi, Pietro Marrone, il comandante del Medinea, ha attivato la radio di bordo. Come il comandante dell'Antartide. Rassicurando gli armatori, Marco Marrone e Leonardo Gangitano, in contatto con i familiari dei 18 pescatori. Mamme, mogli e figli già in festa per accoglierli domani mattina al porto di Mazara del Vallo.

 

PESCATORI SEQUESTRATI IN LIBIA 5

Ancora un giorno di navigazione «dieci nodi l'ora» per questi uomini pronti a sottoporsi a tampone, quarantene, interrogatori del Ros, decisi comunque a «ripartire anche psicologicamente» dopo questa avventura che «al solo pensarci non fa dormire la notte», come echeggia dai cosiddetti baracchini che collegano il porto alle barche. Anzi alle «varcuzze», come le chiama in dialetto Marrone evocando la gioia di giovedì quando i libici li hanno riportati in banchina, davanti ai pescherecci, senza spiegare che cosa fosse accaduto: «Sembrava un giorno come tanti. Arriva una guardia e dice: "Preparatevi che dobbiamo andare via"...».

 

PESCATORI SEQUESTRATI IN LIBIA 5

È il diario del giorno numero 108. Una frase rincuorante, «ma non del tutto», come spiega Marrone dalla cabina del Medinea, finalmente fuori dalle acque libiche, gli occhi su una fregata della Marina italiana inviata a fare da scorta. L'invito della guardia non appariva rassicurante: «A metà novembre, accadde la stessa cosa. Ma poi ci portarono in un altro carcere. Quattro ce ne hanno fatto cambiare in tre mesi. Sempre lasciandoci al buio, facendoci arrivare un po' di cattivo cibo in ciotole di latta...».

 

È il racconto di un tormento continuo. Con il terrore del peggio: «Non sapevamo se saremmo rimasti vivi. In questi Paesi ognuno ragiona per i fatti suoi. Non sapevamo da chi eravamo stati presi, da quale pezzo di Libia. Non dimenticheremo le umiliazioni. Non violenze. Ma pressioni psicologiche. È stato complicato: accendevano e spegnevano le luci, a loro piacimento».

 

MANIFESTAZIONE PER I PESCATORI

Ed ancora: «Terribile non potere parlare fra di noi. Gli italiani divisi dai tunisini, separati. Non ci vedevamo nemmeno tra di noi. Tutti insieme una volta solo dopo 70 giorni. Perché?».

 

Tanti i dettagli da riferire ai carabinieri delegati per i primi verbali a Mazara. Ma ecco la ricostruzione di Marrone: «Dopo l'assalto a colpi di mitragliatrice, ci hanno sbattuto in carcere senza il tempo di portare qualcosa con noi. Nemmeno le cose intime. Una maglietta, un pezzo di sapone ci sono arrivati grazie a un detenuto che ci aiutava. Non per tutti. Senza umanità. La barba finalmente fatta giovedì mattina dopo un mese. La svolta grazie all'Italia, a quanti ringraziammo...».

 

lUIGI dI MAIO E GIUSEPPE CONTE IN LIBIA

La radio gracchia e le ultime parole di Marrone si perdono mentre a Mazara esplode la rabbia di una donna che si è sgolata in questi mesi anche davanti a Montecitorio, Cristina Amabilino, moglie di uno dei marittimi, Bernardo Salvo: «Il governo ha perso tempo prezioso. Non lo ringrazierò mai perché ha agito comunque in ritardo, sbagliando fin dall'inizio. Il giorno dell'assalto la Marina parlò di un elicottero che in 20 minuti avrebbe difeso i nostri uomini. Quell'elicottero non è mai arrivato...».

 

Altro dettaglio di un'inchiesta aperta. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio l'altro ieri con il generale Khalifa Haftar.

 

2 - IL GIALLO DELLO SCAMBIO: «PROMESSO IL RIMPATRIO DEGLI SCAFISTI»

Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera

 

MAURIZIO GASPARRI

Il sollievo per la liberazione in Libia dei 18 pescatori di Mazara il giorno dopo lascia il posto alle polemiche. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ha rivolto un'interrogazione urgente al governo «per sapere se sia vero quanto sostiene il quotidiano panarabo Asharq al-Awsat, secondo cui un accordo di scambio di prigionieri con l'Italia si è concluso sullo sfondo di una mediazione che riguarderebbe l'estradizione» di 4 cittadini libici condannati in Italia come scafisti. «Ma non si possono mettere sullo stesso piano - chiosa Gasparri - dei lavoratori onesti sequestrati ingiustamente e degli scafisti processati e condannati nel nostro Paese».

 

PESCATORI ITALIANI 9

Il giornale panarabo, edito a Londra e vicino alle posizioni del generale Haftar, ha pubblicato ieri sul sito online l'articolo in questione, firmato dal Cairo. Ma la sua ricostruzione è respinta seccamente, oltre che da fonti di intelligence, dall'avvocato Michele Andreano, il legale incaricato dall'ambasciata libica a Roma di difendere i quattro presunti scafisti (secondo la Libia solo «quattro giovani calciatori»), arrestati nel 2015 per il naufragio di un'imbarcazione che costò la vita a 40 migranti: «Ritengo impossibile l'ipotesi di scambio, credo non sia mai stata presa in considerazione neppure dalla Procura generale di Catania», dice Andreano.

 

HAFTAR PESCATORI

I 4, reclusi in Sicilia, sono in attesa del processo in Cassazione. In secondo grado, tre sono stati condannati a 30 anni, il quarto a 20. Della liberazione dei pescatori si occuperà martedì prossimo il Copasir, il Comitato parlamentare che vigila sull'operato dei nostri servizi segreti.

 

E anche la Lega, attraverso i deputati Viviani, Formentini, Zoffili e Pagano, ora chiama in causa il governo: «Ci dica realmente cos'è successo in Libia durante il sequestro. I 18 pescatori, ha raccontato il loro comandante, sono stati trattati da terroristi, chiusi in una gabbia al buio. Invece il governo ci aveva assicurato che non erano stati trattenuti in carcere». Ma il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, stigmatizza: «Trovo inutili queste polemiche politiche, la cosa più importante è stata la liberazione».

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