CRAC POLITICS - PER FERRARA “MA QUALE PENSIERO UNICO! IL LIBERISMO NON È UNA CONNOTAZIONE IDEOLOGICA, È LA CONDIZIONE EFFETTIVA DEL MONDO CONTEMPORANEO. IL LIBERO COMMERCIO HA TRIONFATO SULLA PIANIFICAZIONE. LORO SONO FERMI ALLA LOTTA DI CLASSE” - PER FRECCERO: “LA MORTE DEL PENSIERO CRITICO NON HA PRODOTTO BENESSERE, MA DISASTRO E MISERIA”…

Stefano Feltri per il "Fatto quotidiano"

C'è in Italia un "furto di informazione" sulla crisi economica, come denuncia un appello di intellettuali (tra cui Luciano Gallino e Guido Rossi) e come ha scritto Carlo Freccero sul Fatto Quotidiano? Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, risponde di no, ma il tema del "pensiero unico" sulla crisi lo stuzzica.

Ferrara, hanno ragione Gallino e Freccero, c'è un "furto di informazione" sulla crisi?
Un conto è invocare il pluralismo delle fonti, ma l'appello alle autorità per un intervento di ripristino di una linea informativa ha qualcosa di orwelliano. Da Pci degli anni Cinquanta.

L'appello di Gallino e Rossi denuncia una resa intellettuale alle ragioni del mercato.
Ma non tengono conto del fatto che la Thatcher ha creato l'azionariato popolare, che Reagan ha inventato i fondi pensione. Che la gestione del risparmio e degli investimenti è diventata un carattere fondamentale dei mercati mondiali. Per loro esistono le forze del grande capitale finanziario in agguato. Non capiscono che nella composizione della finanza mondiale coesistono molte cose diverse, certo, le grandi banche e le multinazionali, ma anche il risparmio di società che si sono liberate dalla costrizione, scoprendo le libertà.

Siamo diventati tutti liberisti?
Il liberismo non è una connotazione ideologica, è la condizione effettiva del mondo contemporaneo. Il libero commercio ha trionfato sulla pianificazione, lo dice il principio di realtà. Loro sono fermi alla lotta di classe, sbagliano a pensare che sia dirimente.

Gallino ha scritto un best-seller sul fatto che la lotta di classe c'è ancora.
Non è che è stato eliminato il concetto, è stata eliminata la cosa in sé. Molti dei firmatari dell'appello ripropongono uno schema marxista-leninista (leninista lo metto solo per polemica), come fa Maurizio Landini con la Fiom. Ma non hanno un'esperienza di vero comunismo alle spalle. Fossero stati comunisti, leggerebbero Giuseppe Di Vittorio. Gli operai si sono sempre considerati parte del capitalismo. Per la cultura classista vera, il capitalismo è un rapporto sociale di produzione. Siamo tutti nella stessa barca.

Ma è d'accordo che c'è una certa uniformità nelle analisi sulla crisi economica?
Su questo, Gallino e gli altri dicono una cosa vera: è ridondante, ossessivo, l'appello valoriale sempre allo stesso quadro di idee. Anche noi al Foglio, dopo aver detto mille volte "viva Draghi, viva la Banca centrale europea, viva la finanza internazionale", sentiamo il bisogno di sentire Guido Viale o Riccardo Realfonzo. La scomparsa delle idee e delle culture di opposizione sociale non è un bene per nessuno.

Come si spiega che un po' tutti i giornali, dal Sole 24 Ore a Repubblica, abbiano le stesse analisi e gli stessi editoriali?
Se i figli di un dirigente comunista storico come Alfredo Reichlin hanno le idee che hanno, uno in sociologia politica, Pietro, e una in economia, Lucrezia, è perché tutte le persone che studiano veramente i problemi poi alla fine oggi si riconducono a una stessa cultura. Nessuno crede più alla possibilità di cambiare le cose in uno schema di pianificazione. Cito Reichlin in modo provocatorio, ma potrei indicare anche Giulio Napolitano, il giurista figlio del Capo dello Stato. La trasmissione generazionale è così: le persone si muovono dentro le coordinate del loro tempo.

Quindi il "pensiero unico" esiste.
Sono d'accordo con i firmatari dell'appello, quando dicono ‘attenzione che così il pensiero diventa unico'. Ma mi pare che poi non ci sia una prospettiva o un costrutto reale nelle tesi di un Gallino o un Viale. Se mi propongono un impauperimento progressivo del sistema internazionale, allora preferisco gli articoli dell'Economist che mi ricordano come la globalizzazione ha permesso a milioni di persone di mangiare qualcosa di più di una ciotola di riso. Anche se poi mi guardo intorno e noto che ci sono più automobili che mosche...

Non subirà mica il fascino delle teorie sulla decrescita?
Io mi sono fatto l'orto. Un po' tutti sentiamo che una pedagogia civile implica escogitare valori a chilometro zero. Ma non bisogna che diventino idoli. Sono d'accordo che non serve il Tav per trasportare le uova tra Italia e Francia, ed è più semplice che ognuno mangi le proprie. Ma non per questo mi auguro il crollo delle multinazionali dell'agroalimentare che danno lavoro a tanta gente e producono ricchezza.

Si prova a cambiare il mondo con comportamenti individuali, ma non ci sono più teorie per provarci.
Sono d'accordo. Ma il problema non è che le grandi idee alternative vengono nascoste dai giornali, come sostiene Gallino. Semplicemente non esistono più.

2 - CONTRO IL PENSIERO UNICO VIA I BAVAGLI ALLE NOTIZIE...
Carlo Freccero per il "Fatto quotidiano"

L'interesse dell'appello "Furto di informazione" pubblicato sul manifesto non sta tanto, come dice il Corriere della Sera di ieri , nell'ennesima contrapposizione tra neokeynesiani e neoliberisti, quanto nell'aver affrontato per la prima volta il problema a priori, fuori dal puro contesto economico. L'appello è firmato da economisti ma pone piuttosto un problema filosofico. Tra qualche anno il neoliberismo di oggi rischia di venir letto dagli storici come il paradosso di un'epoca che impiega tutte le sue risorse a distruggere il benessere economico guadagnato nel tempo.

Da piccolo avevo un libro di favole intitolato "Il tulipano screziato". La storia raccontava la bolla speculativa del mercato dei tulipani nell'Olanda del ‘600. Un unico bulbo di tulipano poteva avere un immenso valore. La storia ha fatto giustizia dei tulipani e la farà delle nostre attuali convinzioni. Il marxismo (come teme Giuliano Ferrara) non c'entra niente. C'entra il pensiero critico e la capacità di prendere distanza dalle cose.

Il salasso per tutti
Qualche anno fa il neoliberismo veniva chiamato "pensiero unico", definizione che evocava la possibilità di altri pensieri possibili. Oggi il neo-liberismo si chiama semplicemente "economia" e non importa se esistono teorici come Paul Krugman o Joseph Stiglitz che vedono le cose da un altro punto di vista. Stiamo vivendo una crisi. Dobbiamo inchinarci alle leggi economiche e accettare i sacrifici che ci vengono imposti come dolorosi ma necessari. Il neoliberismo non è più una tesi economica discutibile e relativamente recente, ma un dato di natura.

La crisi del 1929 è stata affrontata con politiche keynesiane ed è stata superata. La crisi attuale viene curata con politiche neoliberiste e non fa che peggiorare. È come se a un paziente disidratato venissero praticati salassi anziché fleboclisi: morirà. Ma per secoli il salasso è stata l'unica pratica medica accreditata per curare ogni tipo di malattia con esiti disastrosi. Oggi noi applichiamo alla crisi un'unica forma di terapia: tagli e sacrifici, convinti come i medici di un tempo, di non avere altre alternative a disposizione.

Anticasta, l'unica critica lecita
Si dirà: questi sono temi da affrontare tecnicamente in campo economico. Non a caso il nostro è un governo di "tecnici". Viviamo in uno stato di eccezione in cui le necessità economiche prevalgono sulle istanze politiche. L'uomo comune può solo affidarsi a chi è più competente di lui come si affiderebbe a un medico in caso di malattia. La sua critica deve essere circoscritta agli abusi e agli sprechi che impediscono al mercato di funzionare e produrre ricchezza e benessere per tutti. Ma questo è già pensiero unico, rinuncia a ogni alternativa possibile.

Guardiamo la situazione italiana degli ultimi decenni. Avevamo un governo sedicente liberista in cui il liberismo era mitigato e spesso stravolto dal populismo. Un'opposizione che si dichiarava più liberista del governo ed evocava maggior rigore. Abbiamo oggi un governo tecnico sostenuto da entrambi gli schieramenti. E l'unica alternativa è costituita da una reazione contro la politica, che viene accusata (a ragione) di sperperi, nepotismo, privilegi.

Mentre per il governo la causa della crisi è il debito pubblico e l'azione dissennata dei governi precedenti, per i gruppi anticasta, la causa della crisi sta nella corruzione della politica che impedisce al mercato di funzionare. Formalmente contrapposte le due tesi aderiscono nella sostanza a un'unica tesi: questo è l'unico mondo possibile, possiamo migliorarlo ma non cambiarlo.

Gli italiani sembrano in preda a una forma di depressione che li porta a non reagire, mentre il loro mondo affonda e il benessere costruito dal dopoguerra viene sacrificato sull'altare della necessità economica. Cos'è che ha cambiato le nostre capacità di reazione, ha annullato il nostro spirito critico? La censura, la mancanza di informazione, i tagli alla scuola e alla ricerca.

Ci è stata instillata in questi anni la convinzione che la cultura non conta nulla, che il pensiero è inutile, che l'unico valore è il benessere economico. E la morte del pensiero critico non ha prodotto benessere, ma disastro e miseria. Per questo l'appello pubblicato dal manifesto sul "furto di informazione" riguarda, prima ancora delle politiche economiche il tema dell'informazione.

Una politica economica non è "naturale", presuppone una scelta tra più alternative. E la scelta politica presuppone informazione. Per questo mi sono battuto per la sopravvivenza del servizio pubblico. Una pluralità di emittenti private non garantisce pluralismo informativo. La stessa cosa vale per le testate giornalistiche. Fino a oggi l'editoria ha richiesto ingenti capitali. E i magnati dell'editoria che possono sostenere certi costi, difficilmente saranno dalla parte dei ceti meno abbienti.

Il presente come sola possibilità
Ai tempi de "Il Capitale" di Karl Marx il proletariato aveva valore per il suo lavoro. Ai tempi de "La società dello spettacolo" di Guy Debord per la sua capacità di consumo. Oggi non ci resta che il voto, per questo l'economia globalizzata limita l'autonomia degli Stati. E per questo la politica vuole controllare l'informazione. Dobbiamo ricreare una libertà di informazione, studiare nuovi canali e possibili veicoli di informazione perché si rompa l'incantesimo che ci porta a considerare il presente come l'unica possibilità. Siamo realisti, chiediamo l'impossibile.

 

GIULIANO FERRARA CARLO FRECCERO governo monti Marx karlAlfredo Reichlin e Roberta CV_Lucrezia_ReichlinMAURIZIO LANDINI

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