governo draghi al senato

UNA CRISI TRA LE CHIAPPE - IERI MATTINA LETTA SI ASPETTAVA UNA “BELLISSIMA GIORNATA”, RENZI DICEVA “FINIRA’ BENE” E CASINI “COSA SUCCEDE OGGI? MA NIENTEEE” - ERANO TUTTI SPENSIERATI, INCAPACI DI VEDERE QUALI FOLLI MANOVRE AVREBBERO COMPIUTO SALVINI E QUEL CHE RESTA DI UN CONFUSO BERLUSCONI: HANNO CAVALCATO LA CRISI APERTA DAL M5S PER TRASCINARE IL PAESE AL VOTO - IL COMMENTO DI RENZI ALLA BUVETTE CON CALDEROLI: “L'APPROCCIO DEL DISCORSO DI DRAGHI ERA TUTTO SBAGLIATO”

la replica di mario draghi al senato 2

Francesca Schianchi per “la Stampa”

 

Di buon mattino, Pier Ferdinando Casini solca a grandi passi il Salone Garibaldi ancora semideserto: «Cosa succede oggi? Ma nienteee», sorride sornione, la cravatta con tante piccole coccinelle portafortuna, il mood rilassato. All'ora di pranzo, dopo il discorso di Draghi, mentre il M5S chiuso nei suoi uffici con Conte non è più percepito come un problema, perché i riflettori si sono spostati sul centrodestra e inizia a diffondersi la voce che chissà, forse Lega e Forza Italia non votano, Casini si aggira scuro in volto: «Ero molto più tranquillo stamattina».

il senato riunito per il discorso draghi

 

A sera, a pochi minuti da quel voto che, con 95 sì e 38 no, certifica la fine dell'avventura di Draghi a palazzo Chigi, il senatore bolognese scuote la testa, la giornata sulle montagne russe è finita e l'ultimo tornante è stato fatale, «lasciatemi solo nel mio dolore». Eppure, ci aveva provato lui a intervenire, con quella risoluzione asciutta, una riga sola - «ascoltate le comunicazione del presidente del consiglio, il Senato le approva» - su cui viene posta la fiducia e attorno a cui per qualche ora nel pomeriggio il Pd ancora spera di compiere il miracolo, in un tourbillon di indiscrezioni e ipotesi: tutto inutile, al tramonto il governo Draghi non c'è più, manca l'ufficialità delle dimissioni ma è solo questione di ore.

 

discorso di massimiliano romeo al senato

Che la spensieratezza del mattino fosse mal riposta - l'ottimismo del segretario Letta che si aspettava «una bellissima giornata», Matteo Renzi che prevedeva «finirà bene» - lo si capisce presto, già dopo dieci minuti dall'inizio delle comunicazioni del premier. A partire da quando, dopo aver ringraziato le forze politiche per i risultati ottenuti fin qui, declama retoricamente «mai come in questo momento sono stato orgoglioso di essere italiano» e tutta la maggioranza applaude, tranne lo spicchio popolato dai Cinque stelle, giusto un paio azzardano il battimani, un'esibizione di ostilità che li accompagna per tutti i trentacinque minuti in cui lui scandirà le sue proposte per un «nuovo patto di fiducia».

il governo draghi al senato

 

Un'ostilità che monta come un'onda e investe anche la parte destra dell'emiciclo, lì dove Salvini siede tra Bagnai e Calderoli, e prende appunti: ci attacca sui balneari, sui taxi, sul fisco Alla fine, mentre Pd e Forza Italia applaudono come si fa al proprio governo, il segretario del Carroccio chiama a raccolta i suoi: «Andiamo ai gruppi», l'incertezza sul da farsi si solidifica, la tentazione della Meloni che da lontano denuncia «il premier pretende pieni poteri» citando testualmente la famosa frase salviniana pre-Papeete di tre anni fa rimbomba nella testa, cambia l'umore nel Palazzo e alla buvette, crocevia di incontri e chiacchiere.

mario draghi al senato

 

«Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano», sorride Mara Carfagna che da dove era seduta ha visto bene la saldatura dei due partiti a braccia conserte. «L'approccio del discorso di Draghi era tutto sbagliato», commenta Renzi alla buvette con Calderoli.

 

I Cinque stelle si riuniscono: non annunciano ancora che non voteranno la fiducia, ma a vederli da fuori lasciano pochi dubbi. I leghisti prima si consultano fra loro e poi vanno in delegazione a Villa Grande, la residenza romana di Berlusconi. In Aula il dibattito comincia, tra gli scranni pochi senatori, nei banchi del governo il pienone: mancano solo loro, i ministri di Lega e Cinque stelle, gli incerti che non sanno più se di lì a poco voteranno la fiducia a se stessi.

 

mario draghi esce dal senato

 «Io penso che lei debba restare, e non faccio parte dell'intergruppo "Torna a casa Lassie" né "Resta con noi"», scherza Emma Bonino, occhi negli occhi col premier che ci ride su. Al suo fianco Guerini e Di Maio, ministri fedelissimi che fino all'ultimo puntano sulla soluzione non traumatica del rebus, poco più in là Carfagna, Brunetta, Gelmini: mentre a qualche chilometro si decide che non si voterà la risoluzione, loro sono lì, al fianco del premier, «se sarò ancora ministra questo fine settimana?

 

Beh, non so ancora se nel pieno delle funzioni o per gli affari correnti...», diceva la mattina Maria Stella Gelmini con un gran sorriso, e sembrava un vezzo di superstizione: poche ore più tardi ancora un po' si prende per i capelli con Licia Ronzulli, la fedelissima berlusconiana con cui non corre buon sangue, ala filo-Lega del partito: «Contenta che hai mandato a casa il governo?», l'attacco della ministra; «Vai a piangere da un'altra parte e prenditi uno Xanax», la serena risposta della collega.

giuseppe conte arriva in senato per seguire il discorso di draghi

 

Continua il dibattito in Aula, pigro, tra qualche citazione dei «sacchi da mettere alle finestre» (La Russa) e gli «opinionisti col Rolex», rivisitazione dei celebri comunisti col Rolex (De Bertoldi, Fratelli d'Italia): Draghi sta lì, fisso, ascolta, prende appunti, ma sa bene, sanno tutti, che le notizie vere sono fuori dal Palazzo. Distillate dalle agenzie, dalle «note del centrodestra di governo» che come le briciole di Pollicino disegnano il percorso e anche chi non ci credeva, chi nel carnaio bollente che diventa a un certo punto il Salone Garibaldi insisteva che no, non è possibile, Berlusconi non gli consentirà di far cadere il governo, si arrende all'evidenza: governo solo senza M5S, «profondamente rinnovato», non voteremo la risoluzione Casini, quando il capogruppo Romeo prende la parola la volontà di rompere è evidente.

mario draghi beve un caffe al senato

 

Dopo aver innescato il meccanismo, il Movimento mentre tutto questo accade sta riunito da qualche parte, attore non protagonista, ormai più nessuno si chiede cosa farà: alla fine non vota ma resta in Aula per garantire il numero legale, «chiedere una delega in bianco mortifica il nostro ruolo», giustifica la scelta la capogruppo Castellone, quanta suspense per sei giorni per non giocarsi nemmeno un colpo di scena. Dopo la replica livido in volto, Draghi sembra quasi sollevato, insolitamente sorridente. Tra i partiti è già cominciato un improbabile scaricabarile su chi ha fatto cadere il governo: la campagna elettorale è appena cominciata.

governo draghi in senato

Ultimi Dagoreport

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")