giovanbattista fazzolari alfredo mantovano gianni letta silvio berlusconi giorgia meloni matteo salvini mario draghi ursula von der leyen palazzo chigi

DAGOREPORT! GIORGIA HA DISSOTTERRATO IL MANGANELLO: DA DRAGHETTA È TORNATA DUCETTA! - SENTENDOSI ACCERCHIATA DAI POTERI “STORTI”, L’ALA DURA DI FRATELLI D’ITALIA HA CALZATO L’ELMETTO PER ANDARE ALLO SCONTRO FRONTALE CON IL “DEEP STATE” ITALIANO E L'EURO-BUROCRAZIA CHE OSANO INTERFERIRE E OSTACOLARE L'AZIONE DI GOVERNO (SCONFITTO MANTOVANO CHE SPINGEVA PER IL DIALOGO) – ALLEATASI CON BERLUSCONI, A GIORGIA RIMANE  UNA SPINA NEL FIANCO, SALVINI. ORA VUOLE SPINGERLO A DESTRA SERRANDO LA PORTA DEL GRUPPO DEI CONSERVATORI EUROPEI DI CUI E' PRESIDENTE - SE E' SCESO IL GELO CON  MATTARELLA, GIORGIA-RAMBO HA ANCHE SMESSO DI CONFRONTARSI PERIODICAMENTE CON MARIO DRAGHI, IL QUALE, IN PRIVATO, PONE LA LAPIDE SU MELONI: ''IL PNRR È MORTO. NON SI FA''

DAGOREPORT

GIORGIA MELONI

Il motto, a Palazzo Chigi, è divenuto: “Meglio perdere che perdersi”. Giorgia Meloni, nella definitiva trasformazione da Draghetta a Ducetta, ha deciso di calzare l’elmetto e andare allo scontro frontale con quei poteri che osano interferire, sabotare, rallentare la sua azione di governo.

 

Nei suoi primi mesi da Presidente del Consiglio, Donna Giorgia ha provato a darsi una veste più istituzionale, dialogante e moderata, ribaltando come se niente fosse tutte le prese di posizione del recente passato quando si sollazzava a fare l'opposizione. Ma il richiamo della foresta, cioè la sua natura guerresca, unito agli ostacoli che le sono via via piovuti sul capo, l’hanno convinta a dissotterrare il manganello. Una riconversione culturale e anche ideologica.

 

giorgia meloni e ursula von der leyen in emilia romagna

I suoi continui scontri con la Francia di Macron, i conflitti con l’Ue su Pnrr (la terza rata da febbraio non si vede), Mes (a Bruxelles Giorgia è odiata), la riforma del Patto di stabilità, le mosse per la conquista della Commissione europea in vista delle elezioni 2024, lo scazzo con la Corte dei Conti, il rialzo dei tassi della Bce e le minacce delle agenzie di rating, la tenaglia Usa-Cina legata alla Via della Seta, eccetera, hanno convinto Giorgia Meloni a sfanculare il "giannilettismo" democristo e quirinalizio della Roma Potentona per imbracciare il bazooka. Della serie: visto che i “poteri storti” non perdono occasione di sabotarci, andiamo alla guerra. Bang! Bang!

 

Carlo Alberto Manfredi Selvaggi

In questo cambio di “narrazione”, sempre più bellicista e vaffanculista, s’è consumato uno scontro all’interno dell’inner circle meloniano.

 

Contrario a ogni conflitto, soprattutto con le toghe, c’era l’ex magistrato e sottosegretario Alfredo Mantovano. Quella che fino a ieri era la "mente" politica di Giorgia, consigliere fidatissimo e ascoltatissimo, ha sperato fino alla fine di convincere la premier di evitare tensioni e scontri con la Corte dei Conti. 

 

Mantovano ha spinto come ha potuto per convincere la Reginetta della Garbatella ad  assumere una postura più dialogante quindi istituzionale con il Deep State (Finanza, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato, Consiglio di Stato e magistratura ordinaria) ma è stato sconfitto dall’ala oltranzista di Fratelli d’Italia che fa capo a Fazzolari, Donzelli, Foti, Santanché, etc.

 

ULTIMO FANGO A PARIGI - MEME BY EMILIANO CARLI

Anche il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, dopo aver scippato a quel ''covo di comunisti'' del Mef i dossier del Pnrr, col risultato che nel trasloco ha perso sei mesi, ha rovesciato sulla spalla di Fazzolari il caprone espiatorio: se il Pnrr non va, è colpa dei controlli della Corte dei Conti. Deve morire!

 

Eppure il povero Fitto aveva provato a stemperare le tensioni, chiamando alla guida della nuova task force sul Pnrr Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, magistrato contabile e, come si legge sul sito del Governo, “da oltre un decennio Procuratore Regionale della Corte dei Conti in diverse regioni del Nord, Centro e Sud Italia”.

 

Una nomina che voleva essere un’apertura verso i magistrati, ma che rischia di porre una questione di conflitto di interessi (come fa la Corte dei Conti a controllare la buona riuscita del Piano, se sta anche dentro la struttura che lo deve “mettere a terra”?)

 

I falchi restano invece convinti che debba essere la politica a comandare, e non le caste, le corporazioni, le logge o le filiere di potere. Un "vasto programma", direbbe De Gaulle, che, rigettando l'eterno consociativismo all’italiana, ora dovrà fare i conti con la resistenza delle varie “caste”.

 

giorgia meloni raffaele fitto 2 giugno 2023

Per innestare la quarta e partire all’assalto, Meloni è stata costretta prima a “coprirsi” all’interno della sua stessa maggioranza. Liquidata Licia Ronzulli e venuto meno l’asse tra Lega e Forza Italia, la premier ha blindato l’alleanza con Silvio Berlusconi (a cui ha promesso il ruolo di “padre nobile” e “gran ciambellano” della futura alleanza tra Ppe e Ecr) attraverso i buoni uffici del sempiterno Gianni Letta, che è così riuscito a piazzare Preziosi al Tg2 e Scaroni alla presidenza di Enel, e il dialogo costante con il duplex Marta Fascina-Marina Berlusconi.  

 

matteo salvini e marine le pen

L'asse Forza Italia-Fratelli d'Italia ha reso cristallino il ruolo di solitario antagonista di Matteo Salvini, che non perde occasione di fare il controcanto ai proclami dal balcone di Giorgia.

Dall’autonomia al Pnrr, dalla collocazione internazionale dell’Italia alle nomine, il “Capitone” è la vera spina nel fianco della leader di Fratelli d’Italia, come dimostra anche la tensione durante il vertice sull'emergenza alluvione a Palazzo Chigi, di oggi.

 

LA VISITA DI MATTEO SALVINI E GIORGIA MELONI A SILVIO BERLUSCONI - MEME BY EDOARDO BARALDI

La premier ha annunciato un "tavolo settimanale con gli enti locali, coordinato dal ministro Musumeci (Fdi), e Salvini è sbottato, scrollando le spalle, a braccia aperte e con il "volto infastidito offerto volutamente all'attenzione dei presenti", come scrive Tommaso Ciriaco su "Repubblica": ''Quindi faremo riferimento anche noi a Musumeci...''. 

 

Un’inevitabile resa dei conti tra i due litiganti, ci sarà alle elezioni europee, dove ogni partito correrà da solo, vista la legge elettorale proporzionale, e si “peseranno” i rapporti di forza.

 

alfredo mantovano giorgia meloni

Il segretario del Carroccio, in Europa, è completamente isolato: si ritrova nel gruppo Identità e Democrazia insieme a Marine Le Pen e alle svastichelle tedesche di Afd. Per questo, vorrebbe trovare una nuova collocazione, e l’unica opzione, visto che nel Ppe i liberali e i tedeschi non lo vogliono vedere neanche in cartolina, è l’ingresso nei Conservatori e riformisti, gruppo presieduto proprio da Giorgia Meloni. Peccato che la Ducetta non abbia nessuna voglia di far spazio alle truppe leghiste.

 

giorgia meloni sergio mattarella

Avendo fiutato l’aria pesante (ieri era a cena con Mantovano), Salvini vorrebbe portare a casa almeno la riforma dell’autonomia regionale prima del voto europeo, mentre la Meloni temporeggia: il suo obiettivo è legarla alla modifica dell’assetto istituzionale del Paese (presidenzialismo o premierato che sia).

 

A proposito di riforme: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è molto infastidito per la minaccia della premier di portarle a casa con un voto di maggioranza, per poi andare allo showdown con il referendum.

 

Davanti a questo repellente scenario meloniano di premierato e presidenzialismo, il Capo dello Stato ha rinforzato la volontà di restare al Quirinale fino alla fine del suo secondo mandato, accantonando ogni ipotesi di dimissioni anticipate. E a dargli manforte, ha trovato proprio Salvini, che, in funzione anti-Giorgia, ha recentemente elogiato il suo ruolo di garante: ''Mattarella non si tocca''.

 

GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI - BY EDOARDO BARALDI

L’alleanza tra Fratelli d’Italia e Forza Italia, che punta a spingere a destra Salvini, lasciandogli ben poche armi a disposizione, può avere effetti collaterali. La storia patria recente dimostra che i governi apparentemente più solidi iniziano il loro declino a seguito delle baruffe interne: Renzi ricorderà come il Pd accolse il ricorso al referendum nel 2016, e come lo affossò sabotandolo.

 

La crociata, culturale e ideologica, di Giorgia Meloni, in guerra con il “deep state”, ha ovviamente fatto incazzare i magistrati. Non solo le toghe della Corte dei Conti, a cui il governo ha sfilato il controllo “concomitante” sulla messa a terra del Pnrr, ma anche i magistrati ordinari, che si sono sentiti messi nel mirino dal ministro della Giustizia garantista, Carlo Nordio. Un primo “avviso ai navigati” è arrivato dalla Procura di Napoli, nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione internazionale per il Colombia-gate, che vede indagati, tra gli altri, Massimo D’Alema e Alessandro Profumo.

 

alessandro profumo massimo d alema

I pm hanno disposto la perquisizione negli uffici e nelle abitazioni di “Baffino” e dell’ex presidente di Leonardo, a più di un anno di distanza dallo scoppio del caso. Come a dire: l’occhiuto controllo delle procure può arrivare ovunque e in qualsiasi momento. E quasi certamente non mancheranno contraccolpi…

 

La nuova Giorgia in versione barricadera ha anche smesso di confrontarsi periodicamente con Mario Draghi, il quale, in privato, si lascia andare a previsioni lapidarie: ''Il Pnrr è morto. Non si fa''. E se il Piano restasse carta morta, il PIL italiano che è calcolato sul Pnrr, tornerebbe a vivacchiare alle solite percentuali da zero virgola.

DRAGHI MELONI

 

Ps. Dall’operazione contro “deep state” e poteri forti, e dall’alleanza Fratelli d’Italia-Forza Italia, i due a uscire malconci sono: Alfredo Mantovano e Matteo Salvini. I due, che si sono sempre cordialmente detestati, per la prima volta hanno qualcosa in comune…

meloni draghimeloni mantovano

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”