talebani

DOMENICO QUIRICO SPIEGA PERCHE’ LA NOSTRA VISIONE OCCIDENTALE SULL’AFGHANISTAN E’ SBAGLIATA: “I NUOVI TALEBANI SONO I SENZA LAVORO, GIOVANI CHE INSEGUONO UNA AVVENTURA, O LA VENDETTA, INSELVAGGITI DAI DANNI COLLATERALI DELLE NOSTRE GUERRE PER LA DEMOCRAZIA. IL POTERE CENTRALE NON HA MAI USATO I DOLLARI PER RICOSTRUIRE UNO STATO. VENTI ANNI DI OCCUPAZIONE USA, INVECE DI RIDURRE LE DISTANZE SOCIALI TRA I CLAN DEI RICCHI CHE MANIPOLANO I PREZZI E LE CLASSI POVERE, LE HANNO MOLTIPLICATE”

soldati afgani 3

Domenico Quirico per “La Stampa”

 

Ora che la sconfitta è vicina, (la parola la si sussurra, come il mormorio di chi non ha più speranza), è il momento di ammetterlo: l’America, l’Occidente sono rimasti venti anni in Afghanistan, hanno condotto una guerra, scelto e gettato via alleati e governanti, distribuito denaro (150 miliardi dollari l’anno), ucciso migliaia di persone, sulla base di una antropologia immaginaria, bizzarra, affettata, gracilina, tutta agghindata di mediocri astuzie, pretenziosa.

 

talebani nel palazzo presidenziale 5

Una bugia della distanza e della semplificazione, verità di favola che dava una forma confortante ai nostri desideri. Insomma: non sappiamo chi sono davvero i taleban che ci hanno cacciati via, sono rimasti qualcosa di inaccessibile e di oscuro. Intendo quali classi sociali rappresentino, se tra loro prevalga alla fine il fanatismo wahabita o il nazionalismo jihadista, dove reclutino martiri e guerrieri come se bastasse, mitologicamente, battere il piede per terra. Perché, ridotti a turbe di fuggiaschi sconfitti del 2002, siano diventati la bufera che si sta avvicinando a passi di lupo alla capitale. Intorno a loro ora tutto è sbandamento, dubbio, esitazione logorio e fuga.

 

soldati afgani 2

Chi sta a guardare

In Afghanistan bisogna un po’ morire per poter resuscitare davvero. Le guerre si vincono nella testa di quelli che stanno a guardare, convincendo chi tentenna. Quelli che non hanno dubbi son pochi, non se ne ricavano eserciti.

 

Per venti anni anche nella narrazione ci siamo accontentati della parola: taleban. Bastava. Era anche troppo: i taleban, sì, i fanatici, i nemici delle donne, gli iconoclasti di Bamyan. Che altro c’è da dire? Perché non si perde tempo a far la sociologia del Male. Che invece spesso è provvidenziale. Si esita a esplorare, ci si concentra sulla propria ripugnanza. Ci bastavano le fotografie di barbuti avvolti in clamidi miserande, in pose minacciose con i loro Kalashnikov. Confessiamolo: al di là del folklore e della storia non ci siamo mai veramente occupati di chi siano gli afghani; non erano infatti i loro guai la ragione per cui eravamo andati in Afghanistan.

talebani nel palazzo presidenziale 4

 

Dai militari e dalle cancellerie, ma ahimè anche dall’Onu e molte Ong, l’Afghanistan è stato maneggiato sulla base di programmi che non avevano presa nella realtà ed erano legati semmai alle supreme esigenze della Sicurezza universale, la nostra. Al resto provvedeva il mediocre abracadabra di slogan «democratici». Abbiamo dato fondo laggiù a tutte le forme storiche che l’Occidente possiede. E invece il fondamentalismo è una componente chiave delle élite afghane. I taleban sono una parte dell’Afghanistan.

 

Le leggi e il credo

talebani nel palazzo presidenziale

All’inizio di tutto c’è sempre la guerra, il vivere immersi da decenni ogni giorno nella violenza. È qualcosa che muta antropologicamente, che forma e deforma. I taleban come tutti i ribelli, sono persone che a dispetto dei conquistatori, i russi prima, gli occidentali poi, vivono secondo le proprie leggi e il proprio credo, si avvolgono delle loro tragedie e leggende, e con questo fanno la Storia. Hanno rischiato di essere annientati per non violare il codice detto «htoun wali» che impone ai pashtun di proteggere e non consegnare al nemico un ospite: era Ben Laden, era il 2001. Sarebbe stata una scelta su cui meditare.

 

talebani 3

Un amico afghano mi ha raccontato che in questi giorni i guerriglieri hanno conquistato, tra le tante città, la capitale di un famoso signore della guerra, uno di quei capitribù corrotti, crudeli, mescolati ai loschi traffici della droga a cui gli americani affidarono venti anni fa la guerra ai taleban per vincerla a buon mercato.

 

talebani nel palazzo presidenziale 3

E a cui sciaguratamente ora pensano di delegare la resistenza. Ebbene: hanno girato un video che hanno poi diffuso nei loro canali di comunicazione (i primitivi taleban, i distruttori di musicassette che maneggiano videocamere, c’è da riflettere): hanno filmato il palazzo del notabile, un monumento allo sfarzo e allo spreco da quattro milioni di dollari, le scuderie dove cento purosangue ruminavano pastoni costosi. E poi, alternate, immagini della città, una delle più derelitte del Paese. I comandanti taleban non hanno palazzi, vivono mescolati ai loro miliziani, ne condividono le povere abitudini.

 

Il consenso della gente

talebani nel palazzo presidenziale 2

Alla fine del Novecento i taleban del mullah Omar erano reclutati tra gli studenti delle madrase, delle scuole coraniche, e tra i contadini della cintura tribale pashtun, arruolati e armati dai Servizi pachistani, quelli della ammagliante ma sciagurata Benazir che cercava in Afghanistan alleati che fossero pashtun e fondamentalisti.

 

Taleban: definirsi vuol dire cominciare a separarsi. Divennero un temibile movimento politico militare in un Paese dilaniato da una guerra etnica che opponeva i pashtun a tagiki, uzbeki e hazara, ogni campo appoggiato logisticamente e politicamente da soggetti stranieri. Nel 1996, per la prima vittoriosa marcia su Kabul, sfruttarono il vuoto creato da quel caos e la rabbia della maggioranza per essere stata esclusa dal potere. La durezza della sharia, la paura per i loro metodi spietati, servì per piegare l’anarchia violenta dei capi tribali, riaprire la circolazione sulle strade del Paese. La gente chiedeva ordine e sicurezza, ad ogni costo. Uno scenario che abbiamo visto in altri luoghi della rivoluzione islamica.

talebani 2

 

Le mani di Pechino

Trent’anni dopo sono mutati i capi e i guerriglieri. I capi trattano alla pari con i dirigenti cinesi, ormai più dell’oppio i loro maggiori finanziatori. Pechino ha progetti ambiziosi su questa parte della via della seta ora che gli americani sono fuggiti.

 

I combattenti sono reclutati nelle zone marginali del Paese, le più povere e dimenticate da un potere centrale che non ha mai usato i dollari americani per ricostruire uno Stato. Venti anni di occupazione americana, invece di ridurre le distanze sociali tra i clan dei ricchi che manipolano i prezzi e le classi povere, le hanno moltiplicate.

 

soldati afgani

I nuovi taleban non sono più in maggioranza studenti arrabbiati che non riescono a diventare ulema, ma i senza lavoro, giovani che inseguono una avventura, o la vendetta, inselvaggiti dagli innumerevoli danni collaterali delle nostre indifferenti guerre per la democrazia. Arruolati sfruttando le solidarietà claniche e famigliari, i legami sociali. Su cui è modellata la loro organizzazione militare e politica.

 

In ogni villaggio una cellula costituita da pochi quadri, alcune decine di combattenti a tempo parziale, e fiancheggiatori ben motivati. Religiosi e anziani assicurano che le decisioni siano accettate dalla popolazione. La Shura suprema detta la strategia complessiva. Il mondo a cui gli occidentali, nonostante una zuccherosa propaganda fitta di soldati che distribuiscono caramelle, sono sempre rimasti estranei, nemici. E poi il nazionalismo afghano, integrale, che spesso si riduce al potere dei morti sui vivi.

 

militari britannici lasciano kabul

Quella che non è cambiata, purtroppo, è la loro idea del mondo, teologicamente totalitaria. Senza la quale non esisterebbero. Ma quando abbiamo accettato la sconfitta ne eravamo consapevoli.

talebani nel palazzo presidenziale di kabulSchermata 2021-08-15 alle 14.53.38TALEBANI IN MARCIA VERSO KABULtalebani nella base aerea di bagram

Ultimi Dagoreport

ernesto galli della loggia giorgia meloni

DAGOREPORT - FAZZOLARI E' PER CASO IL NUOVO DIRETTORE DEL "CORRIERE"? - IN UNA PRIMA PAGINA CHE NASCONDE LE MENZOGNE DI GIORGIA MELONI, SPUTTANATA DA MACRON, BRILLA UN EDITORIALE VERGOGNOSO DI GALLI DELLA LOGGIA CHE SI DOMANDA: "SE LA GERMANIA (DI AFD) HA DAVVERO FATTO I CONTI CON IL SUO PASSATO NAZISTA. IN ITALIA, INVECE, UN PARTITO CHE PURE HA LE SUE LONTANE ORIGINI NEL FASCISMO GOVERNA DA TRE ANNI IN UN MODO CHE SOLO I COMICI (DUNQUE PER FAR RIDERE…) GIUDICANO UNA MINACCIA PER LA DEMOCRAZIA" - L’EX MAOISTA, POI TERZISTA, QUINDI BERLUSCONIANO, 5STELLE, INFINE MELONIANO  DEVE STUDIARE UN PO’, INVECE DI CAMBIARE PARTITO A OGNI CAMBIO DI GOVERNO. NEL DOPOGUERRA IN GERMANIA, GLI EX NAZISTI RIENTRARONO NEL CONTESTO SOCIALE E OTTENNERO POSTI DI POTERE NELLE INDUSTRIE PIÙ AVANZATE FINO ALLA CONTESTAZIONE DEL '68, SIMBOLEGGIATA DALLO SCHIAFFONE RIFILATO DALLA STUDENTESSA BEATE KLARSFELD AL CANCELLIERE (EX NAZISTA) KURT KIESINGER – IN ITALIA LA DESTRA ALLA FIAMMA DI FINI FU SDOGANATA DAL GOVERNO BERLUSCONI, DOVE IL MINISTRO DELLA GIOVENTU' ERA GIORGIA MELONI. COSA CHE IL GALLI OMETTE ESSENDO ORA COLLABORATORE DEL GOVERNO DUCIONI PER IL SETTORE SCUOLA...

andrea orcel unicredit

DAGOREPORT - IL RISIKO DELLE AMBIZIONI SBAGLIATE - COME PER IL GOVERNO MELONI, ANCHE ANDREA ORCEL NON IMMAGINAVA CHE LA STRADA PER LA GLORIA FOSSE TUTTA IN SALITA - IL RAFFORZAMENTO IMMAGINATO DI UNICREDIT, PER ORA, È TUTTO IN ARIA: IL MURO DI GOLDEN POWER DELLA LEGA HA RESO MOLTO IMPROBABILE LA CONQUISTA DI BANCO BPM; BERLINO RITIENE “INACCETTABILE” LA SCALATA ‘’NON AMICHEVOLE” DI UNICREDIT ALLA SECONDA BANCA TEDESCA COMMERZBANK; LE MOSSE DI NAGEL E DONNET GLI DANNO FILO DA TORCERE; CREDIT AGRICOLE, CHE HA UN CONTRATTO IN SCADENZA PER LA GESTIONE DEL RISPARMIO CHE RACCOGLIE UNICREDIT, HA UN ACCORDO CON BPM, DI CUI E' PRIMO AZIONISTA. E IL CDA DI UNICREDIT NON È PIÙ QUELLA FALANGE UNITA DIETRO AL SUO AZZIMATO CONDOTTIERO. COME USCIRE DAL CUL-DE-SAC? AH, SAPERLO…

orcel giorgetti

DAGOREPORT – GIORGETTI SI CONFERMA UN SUPPLÌ CON LE UNGHIE: ALL’INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DI UNICREDIT PER LA MODIFICA DEL DECRETO GOLDEN POWER CHE BLINDA L'OPS SU BPM, BANCA CARA ALLA LEGA, CHI HA INCARICATO IL MINISTRO DI CAZZAGO? STEFANO DI STEFANO, DIRETTORE GENERALE DELLE PARTECIPAZIONI DEL MEF, MA ANCHE COMPONENTE DEL CDA DI MPS. INSOMMA, LA PERSONA GIUSTA AL POSTO GIUSTO... – CALTA C’È: LA GIRAVOLTA DEL CEO DI MPS, LUIGI LOVAGLIO, SULL'OPERAZIONE MEDIOBANCA-BANCA GENERALI…

guzzetti bazoli meloni fazzolari e caltagirone scannapieco giuseppe francesco gaetano dario cdp giorgia

DAGOREPORT - AVVISATE ‘’PA-FAZZO CHIGI’’ CHE IL GRANDE VECCHIO DELLE FONDAZIONI BANCARIE, GIUSEPPE GUZZETTI, HA PRESO IL BAZOOKA - L’INDOMABILE NOVANTENNE NON NE PUÒ PIÙ DI VEDERE CASSA DEPOSITI E PRESTITI (DI CUI LE FONDAZIONI HANNO IL 30%) RIDOTTA A CAGNOLINO SCODINZOLANTE DEI FRATELLI DI FAZZOLARI: AFFONDATA LA NOMINA DI DI CIOMMO ALLA PRESIDENZA DEL CDA DEL FONDO F2I - MA IL CEFFONE PIÙ SONORO AL SOVRANISMO BANCARIO DEL GOVERNO DUCIONI È STATO SFERRATO DAL TERRIBILE VECCHIETTO CON LA VENDITA DELLA QUOTA DELLA FONDAZIONE CARIPLO IN MPS, IL CAVALLO DI TROIA DEL FILO-GOVERNATIVO CALTAGIRONE PER ESPUGNARE, VIA MEDIOBANCA, GENERALI – STRATEGIE DIVERSE SUL RISIKO TRA GUZZETTI E IL SUO STORICO ALLEATO, IL GRANDE VECCHIO Di BANCA INTESA, “ABRAMO” BAZOLI…

giorgia meloni incontra george simion e mateusz morawiecki nella sede di fratelli d italia sergio mattarella frank walter steinmeier friedrich merz

DAGOREPORT –LA CAMALEONTE MELONI NON SI SMENTISCE MAI E CONTINUA A METTERE IL PIEDINO IN DUE STAFFE: IERI HA INCONTRATO NELLA SEDE DI FDI IN VIA DELLA SCROFA L’EURO-SCETTICO E FILO-PUTINIANO, GEORGE SIMION, CHE DOMENICA POTREBBE DIVENTARE IL NUOVO PRESIDENTE ROMENO. UN VERTICE CHE IN MOLTE CANCELLERIE EUROPEE È STATO VISTO COME UN’INGERENZA – SABATO, INVECE, LA DUCETTA DEI DUE MONDI INDOSSERÀ LA GRISAGLIA PER PROVARE A INTORTARE IL TEDESCO FRIEDRICH MERZ, A ROMA PER LA MESSA DI INIZIO DEL PONTIFICATO DI PAPA LEONE XIV, CHE E' GIÀ IRRITATO CON L’ITALIA PER LA POSIZIONE INCERTA SUL RIARMO EUROPEO E SULL’AZIONE DEI "VOLENTEROSI" A DIFESA DELL'UCRAINA - MENO MALE CHE A CURARE I RAPPORTI PER TENERE AGGANCIATA L'ITALIA A BRUXELLES E A BERLINO CI PENSANO MATTARELLA E IL SUO OMOLOGO STEINMEIER NELLA SPERANZA CHE LA MELONI COMPRENDA CHE IL SUO CAMALEONTICO EQUILIBRISMO E' ORMAI GIUNTO AL CAPOLINEA (TRUMP SE NE FOTTE DEL GOVERNO DI ROMA...)