macron conte merkel

EUROPA IN OR OUT - I FALCHI VOGLIONO ABBATTERE LA PROPOSTA FRANCO-TEDESCA, I PAESI DEL SUD VOGLIONO ELIMINARE I VANTAGGI DEI ''PARADISINI'' (OLANDA, CIPRO, LUSSEMBURGO, MALTA…) E UNIFORMARE IL FISCO EUROPEO. IN CAMBIO ARRIVEREBBE UNA ANCOR PIU' STRETTA SORVEGLIANZA SUI CONTI PUBBLICI - SANCHEZ E CONTE CHIEDONO 1000 MILIARDI CON MOLTI ''GRANTS'', GLI ALTRI ACCETTERANNO I 500 SOLO SE SONO TUTTI PRESTITI. CHE FAMO?

1 - NEL MIRINO DI BRUXELLES IL DUMPING FISCALE CONTROPIANO DEI FALCHI

Antonio Pollio Salimbeni per “il Messaggero

 

ANGELA MERKEL MARK RUTTE

Da un lato la consapevolezza che uscire dalla recessione richiederà tempo per cui stati e Ue sono chiamati a non mollare la presa continuando a impegnarsi nel loro «whatever it takes» (faremo ciò che è necessario) per sostenere l'economia e la coesione sociale con tutti i mezzi. Come la Bce sta facendo ormai da anni sui mercati. Dall'altro lato, il difficile negoziato sul nuovo strumento finanziario, il Recovery Fund. Ma c'è anche una terza dimensione. La crisi impone che il mercato interno funzioni, che non ci siano condizioni di disparità tra gli stati. Già c'è molto allarme per la sproporzione negli aiuti pubblici alle imprese, ora riemerge il tema della concorrenza fiscale al ribasso tra i membri Ue. C'è un problema di equità e anche di tenuta del tessuto imprenditoriale e finanziario.

 

LE CRITICHE

giuseppe conte angela merkel

Così Bruxelles mette sotto tiro 6 paesi: Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Cipro, Ungheria e Malta. Nelle raccomandazioni, indica che hanno norme fiscali che vengono utilizzate dalle imprese multinazionali (ma non solo) per pianificare strategie fiscali «aggressive». In Olanda ci sono pure «rischi significativi di riciclaggio a causa di complesse strutture legali». Il commissario Gentiloni rilancia l'obiettivo di una base fiscale comune per le imprese. Se ne parla da anni senza successo. Su queste materie la Ue decide all'unanimità e per questo non riesce a decidere.

GIUSEPPE CONTE ANGELA MERKEL

 

La novità della giornata sul Recovery Fund è che alla fine Olanda, Austria, Danimarca a Svezia preparano un contropiano per mettersi di traverso alla proposta franco-tedesca: vogliono prestiti per gli Stati, non sovvenzioni. Contrari all'idea di Macron e Merkel: 500 miliardi raccolti sul mercato con un bond emesso dalla Commissione e rimborsati da tutti gli Stati. La svolta davvero storica per la Germania è apertamente osteggiata. Il premier olandese Rutte indica che i paesi beneficiari devono dare garanzie: «Se chiedi aiuto, devi attuare riforme di vasta portata per essere autosufficiente la prossima volta».

 

Anche Polonia, Slovacchia e Ungheria sono dubbiosi sul patto franco-tedesco. Invece Conte e Sanchez puntano ancora più alto (mille miliardi non 500). Il 27 ci sarà la proposta della Commissione, ancora in alto mare sul volume finanziario totale: Dombrovskis e Gentiloni indicano mille miliardi e von der Leyen ha dato ordine di non pronunciarsi. È chiaro che l'operazione Recovery Fund passerà attraverso il bilancio Ue, con procedure e controlli, e il coordinamento comunitario per assicurare che le risorse comuni siano usate in linea con gli obiettivi strategici Ue (economia verde e digitale).

 

Il coordinamento comunitario prevede la sorveglianza sulle riforme. Dunque, non sarà un prendi-i-soldi-e-scappa. Dalle raccomandazioni sulle politiche di bilancio ed economiche che la Commissione ha pubblicato ieri sono emerse due cose. La prima è che la sospensione delle regole di bilancio durerà almeno per tutto l'anno. Se ne discuterà in autunno.

mark rutte giuseppe conte

 

Per il vicepresidente Dombrovskis «la ripresa deve essere in corso» per cominciare a parlare di calo dell'indebitamento nel medio termine, con tutta la flessibilità necessaria. Il commissario all'economia Gentiloni va oltre: «Una volta che la politica fiscale sarà normalizzata, quando le condizioni lo consentiranno, sarà vitale evitare gli errori del passato: 10 anni fa gli investimenti furono la prima vittima del consolidamento fiscale, dobbiamo invece assicurare che questa crisi non sia ricordata come la Grande Frammentazione in cui uno shock simmetrico porta a risultati asimmetrici per stati, settori, regioni, individui, generazioni».

 

Essendo le regole di bilancio sospese non ci sarà alcuna procedura per l'indebitamento a livelli storici per quasi tutti. Per l'Italia, Bruxelles dice: «Non c'è sufficiente evidenza per concludere che il criterio del debito è rispettato o non lo è, mentre il criterio del deficit non viene rispettato». Data l'incertezza eccezionale del momento, «lo scarto tra il criterio del 3% e il deficit/pil al 10,4% nel 2020 va considerato eccezionale ma non temporaneo».

macron merkel

 

Con il debito/pil al 134,8% nel 2019 l'Italia non rispetta l'obiettivo di riduzione; quest'anno arriverà al 155,7%, tuttavia nel medio termine il debito è sostenibile anche se «ci sono rischi, specificatamente la dimensione considerevole delle garanzie pubbliche e la volatilità dei rendimenti dei titoli sovrani».

 

Bruxelles insiste sulle debolezze classiche del Paese, con una crescita in forte rallentamento già molto tempo prima della crisi sanitaria. Questa volta accentua in modo particolare il malfunzionamento dello Stato che in questa fase costituisce una vera palla al piede anche per la gestione dell'emergenza: va garantita «un'attuazione efficace delle misure per fornire liquidità all'economia reale, comprese le piccole e medie imprese, le imprese innovative e i lavoratori autonomi, ed evitare pagamenti tardivi».

 

 

2 - UN FISCO UNICO PER FINANZIARE LA RIPRESA FRANCIA E GERMANIA AVVIANO IL CANTIERE

Antonio Pollio Salimbeni per “il Messaggero”

 

mark rutte 3

La svolta della cancelliera tedesca Angela Merkel, ora a favore dell'emissione di un titolo di debito comune (da parte della Commissione) per finanziare il Recovery Fund, fa parte di una strategia. Non è una «conversione» estemporanea, peraltro non plausibile per carattere personale e per i caratteri della politica tedesca. È un elemento di un nuovo «puzzle» europeo postcrisi coronavirus. Di questo puzzle deve far parte anche un certo livello di integrazione fiscale tra gli Stati membri della Ue, ma deve far parte anche una capacità fiscale della Ue in quanto tale.

 

La prima è riemersa come un fiume carsico nelle discussioni degli ultimi mesi e ieri se ne avuta la conferma quando la Commissione ha pubblicato le raccomandazioni di politici economica e di bilancio degli stati: «Il contrasto della pianificazione fiscale aggressiva resta una chiara priorità per permettere agli Stati di contare su un giusto livello di entrate per attuare il sostegno fiscale all'economia.

 

angela merkel emmanuel macron

Alcune caratteristiche dei sistemi fiscali di alcuni stati membri, come Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Olanda, sono utilizzate da società che si impegnano in una pianificazione fiscale aggressiva. Alla luce di ciò, si raccomanda a questi Stati membri di frenarla». Un allarme e una indicazione politica precisi. L'aggressività di una pianificazione fiscale consiste nello sfruttare le disparità tra gli ordinamenti tributari per ottenere vantaggi d'imposta in altri Paesi. Non è solo questione di offrire aliquote (basse) alle imprese, ma anche di consentire comportamenti che non eludono e non violano apertamente alcuna norma, ma fanno evitare il pagamento di imposta in alcune giurisdizioni.

 

IL MONITO

Tra i paesi pizzicati dalle raccomandazioni Ue ce ne sono tre colpiti in passato dall'Antitrust europeo per accordi fiscali preventivi a favore di gruppi multinazionali considerati illegali: Lussemburgo (il caso riguardava Fca), Olanda e Irlanda.

 

Da tempo immemorabile i governi trattano vanamente sulla base imponibile comune d'imposta sulle società per avere un equilibrio accettabile tra la necessità di avere un minimo di armonizzazione evitando il dumping fiscale tra Stati membri e la necessità di mantenere flessibilità sulle aliquote. Nessun risultato tangibile. Francia e Germania ogni tanto rilanciano il tema.

 

angela merkel emmanuel macron

Anche Paesi come Italia e Spagna ci hanno provato e riprovato. Inutilmente. Nel documento franco-tedesco sul Recovery Fund il tema viene rilanciato con una certa forza: «Il miglioramento del quadro europeo per il raggiungimento di una tassazione equa nella Ue rimane una priorità, in particolare introducendo un'efficace tassazione minima e un'equa tassazione dell'economia digitale all'interno dell'Unione, idealmente basate su conclusioni fruttuose del lavoro dell'Ocse e l'istituzione di una base imponibile comune per le società». Sia Merkel che il ministro delle finanze Scholz si sono convinti che occorre muoversi. Da un lato occorre frenare il dumping fiscale tra gli stati Ue, dall'altro dotare la Ue di una capacità fiscale propria.

 

ursula von der leyen

È in gioco il modo di finanziare impegni comuni, a partire dal bilancio Ue attualmente limitato a circa l'1% del reddito nazionale lordo dei 27 (poco più di mille miliardi). Un volume che qualsiasi crisi di taglia continentale ingoierebbe in fretta, come si sta sperimentando adesso. Stando alla stampa tedesca, recentemente Scholz ha delineato a Merkel delle ipotesi di lavoro al cui centro ci sarebbero sia operazioni tipo Recovery Fund (con emissioni di bond) sia imposte a livello europeo. E la prospettiva di portare a livello centrale, cioè della Ue, nuove entrate.

 

OLAF SCHOLZ BRUNO LE MAIRE

L'idea è rilanciare l'aumento delle risorse proprie non attraverso i contributi nazionali (le casse statali sono già abbondantemente in rosso e a un certo punto dovranno essere sanate), ma attraverso altri canali: da tempo si parla di tassa carbonio, di maggiori entrate provenienti dal sistema di scambio delle quote di emissione di Co2, di un'aliquota applicata alla nuova base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società. Prospettive avanzate nel 2018 dalla Commissione Juncker, cui si aggiungeva un contributo nazionale calcolato sulla quantità di rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati. Senza contare la tassa sulle transazioni finanziarie, impaludata anche questa da anni in negoziati inconcludenti.

 

Ultimo elemento del «puzzle»: tali prospettive implicheranno una maggiore integrazione delle decisioni sull'uso delle risorse comuni, per l'Eurozona significa un livello superiore di coordinamento e di codecisione sulle scelte nazionali. Implicheranno più sorveglianza sulla sostenibilità dell'indebitamento nazionale. Dunque, un livello di integrazione politica che oggi non c'è. E, anzi, viene apertamente contestata da molti.

olaf scholz

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