1 - TRUMP IN AULA: «ATTACCO AL PAESE»
Viviana Mazza per il “Corriere della Sera” - Estratti
I primi 96 potenziali giurati entrano nell’aula del tribunale di Centre street a Manhattan. Donald Trump gira la sedia per fissarli. Quando il giudice Juan Merchan chiede se ci sia qualcuno che sa di non poter essere imparziale, più della metà alza la mano: vengono congedati. I restanti verranno sottoposti ad un questionario di 42 domande, che include quesiti come:
Segue Donald Trump sui social o lo ha fatto in passato? Cosa prova per il modo in cui è stato trattato in questo caso? Ha mai partecipato ad un comizio per una organizzazione anti-Trump? La prima è una giovane donna nera con laurea in business, che legge il New York Times e guarda la Cnn. Il secondo è un occhialuto direttore creativo (anche lui legge il New York Times ).... È iniziato ieri, con la selezione dei giurati, «The People of the State of New York vs. Donald Trump», il primo processo penale contro un presidente degli Stati Uniti (e forse l’unico dei quattro prima delle elezioni di novembre).
Trump è accusato di aver falsificato documenti per nascondere di aver pagato (attraverso il suo ex avvocato Michael Cohen) 130 mila dollari per far tacere la pornostar Stormy Daniels sui loro rapporti sessuali (che lui nega), influenzando così le elezioni del 2016.
La Procura punta a dimostrare che non era un caso isolato e che tramite il tabloid «National Enquirer» fece sotterrare altre storie dannose, come quella di Kate McDougal, modella di Playboy che sostiene di aver avuto rapporti sessuali col tycoon.
La selezione dei 12 giurati durerà almeno due settimane, con centinaia di potenziali candidati. Difesa e Procura conosceranno i nomi, potranno studiarne i profili social e chiedere di rimuoverne dieci senza spiegazione, più altri «con motivazione» (cioé spiegando perché non li ritengono imparziali). A giudicare dalla prima giornata non sarà semplice. Trump parte svantaggiato nella progressista Manhattan, ma i suoi legali puntano a giovani neri, poliziotti, pompieri o persone con esperienze negative con il sistema giudiziario.
Già alle 4.45 del mattino si era formata davanti al tribunale una fila di giornalisti (e di gente che «teneva il posto» al prezzo di 35-50 dollari). Siamo stati scortati al 15° piano, in un’aula vicina a quella dove si trovava Trump. Su un grande schermo abbiamo seguito in diretta il procedimento, che non è trasmesso in tv.
Trump continuerà a usare ogni momento fuori dall’aula per influenzare la percezione di quanto accade dentro. In corridoio, ha dichiarato alle tv che questo processo è «un attacco all’America». E sul suo social Truth ha scritto: «Quando entrerò in quell’aula so che avrò dietro di me l’amore di 200 milioni di americani e lotterò per la libertà di 325 milioni di americani!».
È un uomo posto di fronte al proprio passato, con l’incognita di come ciò influirà sul suo futuro. Parte della sua campagna elettorale si è spostata a New York, in modo da comparire in aula 4 giorni alla settimana. Il giudice al momento non ha deciso se potrà assentarsi per la laurea del figlio Barron a maggio.
Gli ha letto i «Parker Warnings», le regole che prevedono la possibilità di arresto se si assenta senza permesso e se disturba il processo. Ma Trump ha ottenuto il diritto di poter ascoltare in aula anche le discussioni private tra giudice, avvocati e possibili giurati.
Il suo aspetto era torvo; inespressivo, quando la Procura ha letto il contenuto del video «Access Hollywood» in cui parlò di come le donne «vanno prese per la vagina» (non verrà mostrato al processo, ma descritto).
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2 - LA PRIMA VOLTA IN AULA DI UN EX PRESIDENTE USA
Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” - Estratti
Sulla parete alle spalle del giudice Juan Merchan, a caratteri cubitali, c’è scritto “In God We Trust”. E già qui l’ironia di un processo condotto nel nome della fede in Dio, contro un ex presidente che sembra aver violato tutti i principi morali dell’Altissimo, dovrebbe saltare agli occhi di chi ancora si ostina a considerare l’America come “la città splendente in cima alla collina”.
Ma così sono ridotti oggi gli Usa, a giocarsi il ruolo di potenza globale intorno alle trasgressioni di Donald Trump, qualunque sia l’opinione sulle sue politiche.
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Un’eventuale condanna non gli impedirebbe di correre e vincere, ma potrebbe avere un impatto sugli elettori moderati di cui ha bisogno per ribaltare la sconfitta del 2020. Essendo un processo statale, non federale, anche in caso di una vittoria alle elezioni non potrebbe auto perdonarsi. Resta da vedere come governerebbe, se dovesse andare in carcere.
Trump è arrivato in tribunale alle 9.32 del mattino, e poco dopo ha mandato un messaggio ai sostenitori sfruttando il processo per raccogliere fondi elettorali. Ha detto che il processo è «un assalto all’America ». Fuori c’erano quattro gatti a protestare per lui, come uno che diceva di chiamarsi Hungry Santa:
«Sul piano morale, molti hanno fatto peggio di lui. Su quello legale il caso non esiste e la Corte Suprema annullerà la sentenza. Su quello politico è una caccia alle streghe, perché Trump fa paura». Niente, nulla scuoterà mai la fede dei suoi seguaci. Per gli altri, moderati e indipendenti, si vedrà. Il giudice Merchan è salito sullo scranno alle 9.59, per cominciare il processo analizzando una serie di questioni procedurali.
Ha bocciato le richieste della difesa di ricusarsi, avanzata principalmente perché sua figlia è impegnata politicamente con i democratici. Poi è passato a esaminare l’ammissibilità di varie prove richieste dal procuratore Joshua Steinglass, come le dichiarazioni offensive contro le donne nel video di “Access Hollywood”, o il fatto che Melania aspettava il figlio Barron mentre lui andava a letto con la coniglietta Karen McDougal. Autorizzazione negata, per decenza e per evitare particolari pregiudiziali contro l’imputato, così come le accuse di molestie sessuali seguite allo scandalo.
La maggior parte delle prove però sono state ammesse, anche se con alcuni limiti: la proiezione del video di “Access Hollywood” no, ma il contenuto sì. Il suo avvocato, Todd Blanche, ha cercato in tutti i modi di far escludere i particolari più pruriginosi, ma con scarso successo. In realtà erano tutti tentativi di Trump di rimandare o limitare il processo, come sta facendo in ognuno dei quattro casi in cui è incriminato.
A tratti è parso che Donald dormisse sulla sedia, forse per autentica stanchezza, o forse per dimostrare la sua noia. È stato costretto a svegliarsi, però, quando il giudice gli ha letto i suoi diritti: «Può partecipare al processo, ma se lo disturberà potrà essere rimosso e arrestato. Capito? ». Mestamente, ha annuito.
Poi il procuratore Chris Conroy lo ha subito accusato di aver già violato l’ordine del giudice di non attaccare magistrati e testimoni, perché la strategia fondamentale di Donald sarà accusare Cohen di essere un bugiardo non credibile.
Ha chiesto che venga multato per 3.000 dollari, giusto per dare un segnale chiaro in apertura di processo, e Merchan si pronuncerà entro il 24 aprile. Dopo pranzo sono entrati i primi 96 possibili giurati, per la selezione dei 12 più 6 sostituti che decideranno il caso. Oltre metà hanno chiesto di essere esentati perché non possono essere imparziali.
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donald trump in tribunale 3 DONALD TRUMP IN TRIBUNALE A NEW YORK - 1