lamberto dini oscar luigi scalfaro silvio berlusconi

“NELLA FASE DI FORMAZIONE DEL MIO GOVERNO SUBII PESANTI MINACCE PERSONALI” – LAMBERTO DINI RICORDA QUELLA TELEFONATA RICEVUTA PRIMA DI ANDARE A PALAZZO CHIGI, NEL GENNAIO 1995: “MI VENNE DETTO: ‘TI CONSIGLIO DI RITIRARTI’ MA ANDAI AVANTI” – GLI INCONTRI AL QUIRINALE CON OSCAR LUIGI SCALFARO: “QUANDO IL PRESIDENTE PARLAVA DI BERLUSCONI AVVERTIVO UNA FORTE OSTILITÀ NEI SUOI RIGUARDI. LO VEDEVA COME UN CORPO ESTRANEO AL SISTEMA POLITICO” – SCALFARO LO STOPPÒ SULLA GIUSTIZIA: “GLI SPIEGAI CHE C’ERA UN CSM DOMINATO DALLE CORRENTI POLITICHE E AFFRONTAI IL TEMA DELLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE. E MI RISPOSE…”

Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

 

lamberto dini foto di bacco (3)

«Io gli davo del lei e lui mi dava del tu». E per sedici mesi, dal 15 gennaio del 1995, andò avanti così tra Lamberto Dini e Oscar Luigi Scalfaro. Da quando cioè il ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi divenne presidente del Consiglio. Se l’ex direttore generale di Bankitalia riapre oggi il diario di quei giorni non è per parlare del famoso «ribaltone», ma dei rapporti con l’allora capo dello Stato. Dei suoi colloqui riservati al Quirinale, avvenuti durante una stagione politica turbolenta, caratterizzata anche da atti di governo impegnativi.

 

«Grazie ai sindacati — rammenta Dini — varammo la riforma del sistema previdenziale: alzammo l’età pensionistica, cancellammo i privilegi dei dipendenti pubblici che potevano smettere di lavorare a 40 anni. I segretari di Cgil, Cisl e Uil, Sergio Cofferati, Sergio D’Antoni e Pietro Larizza dimostrarono un grande senso di responsabilità. […]

 

OSCAR LUIGI SCALFARO LAMBERTO DINI

Quanto alla legge elettorale per le Regioni, a dare un contributo rilevante fu Pinuccio Tatarella, un politico che si muoveva in modo indipendente in Alleanza Nazionale e con il quale diventammo amici di famiglia. Quella legge è ancora in vigore».

 

Tutto avvenne sotto la regia del Quirinale.

«Vedevo il presidente Scalfaro ogni giovedì mattina, prima del Consiglio dei ministri del giorno dopo».

 

C’era confidenza tra voi?

«C’era grande cordialità, che proseguì anche al termine del mio mandato. Conservo con cura le sue lettere, nelle quali mi esprimeva gratitudine per quanto avevo fatto al governo. Scriveva che mi sarebbe stato sempre vicino. Non mutò il modo in cui ci parlavamo: io continuavo a dargli del lei, mentre lui si rivolgeva a me dandomi del tu».

SILVIO BERLUSCONI LAMBERTO DINI

 

Cordialità ma non confidenza, insomma.

«È così. Per questo su taluni argomenti ci fu sempre una certa prudenza da parte mia quando sedevo a palazzo Chigi».

 

In che senso?

«Per esempio, quando il presidente parlava di Silvio Berlusconi avvertivo una forte ostilità nei suoi riguardi. Non ne ho mai capito il motivo e siccome lui non me lo ha mai spiegato, non mi sono mai spinto a chiederglielo. Probabilmente era dettato dal fatto che Berlusconi veniva considerato come un’entità esterna al sistema politico. Ed era vissuto come un elemento imprevedibile».

 

Vuol dire che Scalfaro temeva questa sua imprevedibilità?

OSCAR LUIGI SCALFARO LAMBERTO DINI

«Sì. Solo questo posso dire, non posso dire altro su questo. Inoltre, siccome era stato Berlusconi a fare il mio nome per succedergli a palazzo Chigi, Scalfaro aveva difficoltà a esternare appieno i suoi risentimenti nei confronti del leader di Forza Italia».

 

Berlusconi a sua volta era risentito con lei, quando lo sostituì a palazzo Chigi.

«Ma fu lui a telefonarmi per dirmi “Lamberto tocca a te”».

 

E se ne pentì.

«Berlusconi allora era soggetto a pressioni da parte dei suoi alleati: Gianfranco Fini voleva tornare subito alle urne perché convinto che il centrodestra avrebbe rivinto. Ma il presidente Scalfaro non accettava di rimandare il Paese al voto nove mesi dopo l’inizio della legislatura: fu lui a suggerire la creazione di un governo di transizione. E chiese a Berlusconi un’indicazione. Durante il confronto il leader di Forza Italia insistette perché il governo fosse composto solo da non parlamentari. Poi provò a fare marcia indietro, chiedendo che alcuni esponenti del suo governo partecipassero al nuovo. A partire dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta».

 

SILVIO BERLUSCONI LAMBERTO DINI

Lei non accettò.

«Scalfaro non lo avrebbe accettato anche se glielo avessi proposto. Il mio sarebbe stato un governo di soli tecnici».

 

Vi sentiste in quei giorni con Berlusconi?

«Certamente. E durante le nostre telefonate si diceva molto turbato dalle pressioni che riceveva anche dall’interno del suo partito. Tanto che nella fase di formazione del governo arrivai a subire pesanti minacce personali».

 

Minacce?

«Ricordo una telefonata dai toni intimidatori: “Ti consiglio di ritirarti”, mi venne detto. Ci si rende conto? Ci si rende conto?».

 

Chi le fece la telefonata?

«Ovviamente andai avanti».

 

donatella pasquali zingone e lamberto dini

Non vuole nemmeno dire quale fu la minaccia?

«... E andando avanti ricevetti invece il sostegno del segretario del Partito democratico della sinistra, Massimo D’Alema: “Procedi, noi ti sosterremo”».

 

E stilò la lista dei ministri.

«Scelsi personalità come l’economista Rainer Masera, il tributarista Augusto Fantozzi, il più grande esperto di energia Alberto Clo, il famoso direttore dei musei Vaticani Antonio Paolucci alla Cultura. Scalfaro volle darmi alcuni suggerimenti. In particolare insistette per Susanna Agnelli: “Sarebbe un buon ministro degli Esteri”, mi disse. E io accettai. Così, quando arrivai in Parlamento per chiedere la fiducia, mi rivolsi alla parte che mi aveva proposto come presidente del Consiglio, chiedendo il loro sostegno. Ma Berlusconi decise di astenersi».

 

E iniziò per lei una navigazione non facile.

«Ma non per questo mi abbattei. Anzi, oltre agli obiettivi di programma volevo fare qualcosa di importante anche sulla giustizia. Guardando ai modelli giudiziari dell’Occidente, in nessun Paese esisteva — come in Italia — un così stretto connubio tra procuratori e giudici. Perciò sollevai la questione con Scalfaro».

 

la regina elisabetta con lamberto dini

Gliene andò a parlare?

«Gli rappresentai che c’era un Consiglio superiore della magistratura dominato dalle correnti politiche e che c’era la necessità di riformarlo per renderlo più indipendente. E poi affrontai il tema della separazione delle carriere dei magistrati».

 

E Scalfaro cosa le rispose?

«Mi disse: “Guarda, il tuo è un governo di programma e il tuo mandato non è molto lungo. Non sei in condizione di affrontare problemi di questa portata che richiedono tempo. Al momento quello a cui potremmo pensare è la separazione delle funzioni”. Capii che dovevo abbandonare il discorso, perché mi fu chiara la sua contrarietà. Tuttavia se posi il problema fu perché Scalfaro — come tutti i presidenti della Repubblica — era anche presidente del Csm. Era suo interesse che la giustizia funzionasse. Eppure su questo tema molto delicato siamo ancora al punto di partenza».

 

susanna agnelli e lamberto dini

È un tema delicato ancora oggi, figuriamoci allora. In più lei dovette gestire anche il caso di Filippo Mancuso, il suo ministro della Giustizia che venne sfiduciato al Senato.

«Dovetti vivere anche quello. Mancuso aveva una visione molto particolare nella gestione del suo ufficio. Riteneva di avere poteri costituzionali che a mio avviso invece non aveva. Per le sue prese di posizione, compresa la volontà di mandare gli ispettori alla procura di Milano, si creò una grande ostilità con il Pds. Che presentò la mozione di sfiducia».

 

Parlò di quella mozione con il capo dello Stato per evitare che venisse votata?

«Verso Mancuso c’era un’ostilità molto forte anche da parte di Scalfaro. E non fui in condizione di difendere il ministro. Da quel momento si interruppero i rapporti con Mancuso. Finché dopo qualche anno volli riappacificarmi con lui. Ricordo che si commosse durante il nostro incontro».

 

silvio berlusconi lamberto dini

Sedici mesi passano in fretta: stava avvicinandosi la fine del suo governo.

«E nel gennaio del 1996 ci fu una conversazione al Quirinale durante la quale il presidente mi chiese cosa volessi fare. Il mio governo, osteggiato dal centrodestra, era stato invece appoggiato dal Pds e perciò mi orientai verso le forze politiche che mi avevano sostenuto. Il suggerimento di Scalfaro, sebbene non esplicitato chiaramente, fu di aderire al Partito popolare Italiano [...]»

 

lamberto dini

Berlusconi se la prese di più perché si alleò con Prodi o perché aveva varato la legge sulla par condicio televisiva?

«Lui diceva sempre “Lamberto è amico mio”. Ma per quelle norme trovò il modo di farmi arrivare i suoi lamenti».

lamberto diniLAMBERTO DINI A PORTA PORTESElamberto dini 1LAMBERTO DINIachille occhetto massimo d'alema

Ultimi Dagoreport

chiara appendino roberto fico giuseppe conte vincenzo de luca elly schlein

DAGOREPORT - GENTILE CHIARA APPENDINO, È CONSAPEVOLE CHE IN POLITICA, COME NELLA VITA, ‘’NON SI PUÒ AVERE LA SIRINGA PIENA E LA MOGLIE IN OVERDOSE”? MA E' DAVVERO CONVINTA CHE, CON UN M5S “PIÙ AUTONOMO DAL PD”, IL PARTITO DI CONTE SAREBBE RIUSCITO A SVENTOLARE LE CANDIDATURE DI TRIDICO IN CALABRIA E DI FICO IN CAMPANIA, DOVE NEL 2020 M5S HA PRESO IL 9,9% MENTRE DE LUCA INTASCÒ IL 69,4%? – OGGI LA VITTORIA DI FICO, FINO A IERI DATA PER SICURA, STA TROVANDO UNA STRADA ACCIDENTATA - A SALVARE LA BARACCA CI DOVRÀ PENSARE LO SCERIFFO DI SALERNO – COME ELLY, CHE DOPO AVERLO DISPREZZATO, E' SCESA A MITI CONSIGLI, ANCHE FICO DEVE ACCETTARE LE “PRIORITÀ” DI DE LUCA OPPURE VERRÀ ABBANDONATO AL SUO DESTINO DI PERDENTE, FACENDO FELICE IL CANDIDATO DI FRATELLI D’ITALIA, EDMONDO CIRIELLI...

elly schlein giuseppe conte roberto fico vincenzo de luca eugenio giani

DAGOREPORT - PARAFRASANDO NANNI MORETTI, CON LEADER DEL CALIBRO DI ELLY SCHLEIN E DI GIUSEPPE CONTE, ''IL CENTROSINISTRA NON VINCERA' MAI'' - IN TOSCANA, I DUE "GENI" HANNO TENTATO DI ESTROMETTERE IL “CACICCO” EUGENIO GIANI, REO DI SANO RIFORMISMO, CHE SI È DIMOSTRATO CAVALLO VINCENTE – IN CAMPANIA, INVECE, RISCHIANO DI ANDARE A SBATTERE CON IL CAVALLO SBAGLIATO, IL FICO DI GIUSEPPE CONTE, CHE TRABALLA NEI SONDAGGI: URGE UN FORTE IMPEGNO DI RACCOLTA VOTI DEL "CACICCO" TANTO DISPREZZATO DA ELLY: VINCENZO DE LUCA (CHE A SALERNO SE LA DEVE VEDERE CON IL CONCITTADINO E CANDIDATO DEL CENTRODESTRA, CIRIELLI) – CON L’INCONSISTENZA STORICA DEL M5S A LIVELLO LOCALE, IL “CAMPOLARGO” VA AL PIU' PRESTO ACCANTONATO: TROPPI "PRINCIPI" DIVERSI TRA PD E M5S PER UN'ALLEANZA, MEGLIO UNA COALIZIONE IN CUI OGNUNO CORRE COL SUO PROGRAMMA CERCANDO DI MASSIMIZZARE IL CONSENSO - SOLO DOPO IL VOTO, IN CASO DI VITTORIA, SI TROVA L'ACCORDO (E COME DIMOSTRA LA COALIZiONE DEL GOVERNO MELONI, LA GESTIONE DEL POTERE È IL MIGLIOR PROGRAMMA...) - VIDEO

giorgia meloni guido crosetto

IL "FRATELLASTRO" CROSETTO FA BALLARE GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI: “SE GLI STATI EUROPEI NON RINUNCIANO ALLA LORO SOVRANITÀ IN ALCUNI SETTORI, SONO MORTI. SULLA DIFESA DOBBIAMO METTERE ASSIEME I 27 PAESI UE IN UN SOLO PROGETTO COMUNE” – LA POSIZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA È ALL’OPPOSTO DI QUELLA SOVRANISTA DELLA DUCETTA, CHE PIÙ VOLTE IN PASSATO HA REMATO CONTRO IL PROGETTO DI UN ESERCITO UNICO EUROPEO: “SAREBBE UNA INUTILE DUPLICAZIONE. IL SISTEMA DI DIFESA OCCIDENTALE È BASATO SULLA NATO, E NELLA NATO CI SONO ESERCITI NAZIONALI CHE COOPERANO TRA DI LORO. IO VOGLIO PIUTTOSTO UNA COLONNA EUROPEA DELLA NATO” – CHISSA' CHI ALLA FINE DIRA' L'ULTIMA PAROLA... - VIDEO

mauro gambetti papa leone mazza baseball san pietro pipi sagrato

DAGOREPORT: IL PISCIO NON VA LISCIO – PAPA LEONE XIV E’ FURIOSO DOPO IL SACRILEGIO COMPIUTO DALL’UOMO CHE HA FATTO PIPI’ SULL’ALTARE DELLA BASILICA DI SAN PIETRO – IL PONTEFICE HA ORDINATO UN RITO RIPARATORIO “URGENTE” E, SOPRATTUTTO, HA FATTO IL CULO AL CARDINALE GAMBETTI, ARCIPRETE DELLA BASILICA VATICANA, CON UN CONFRONTO “TEMPESTOSO”: E’ IL TERZO GRAVE EPISODIO IN POCO PIU’ DI DUE ANNI AVVENUTO NELLA CHIESA PIU’ IMPORTANTE DEL MONDO – NEL MIRINO FINISCONO ANCHE GLI UOMINI DELLA GENDARMERIA VATICANA, INCAPACI DI INTERVENIRE TEMPESTIVAMENTE E DI PREVENIRE GESTI SACRILEGHI DELLO SVALVOLATO DI TURNO – VIDEO!

spionaggio paragon spyware giorgia meloni fazzolari mantovano giorgetti orcel francesco gaetano caltagirone flavio cattaneo

DAGOREPORT - E TRE! DALLO SPIONAGGIO DI ATTIVISTI E DI GIORNALISTI, SIAMO PASSATI A TRE PROTAGONISTI DEL MONDO DEGLI AFFARI E DELLA FINANZA: CALTAGIRONE, ORCEL, CATTANEO - SE “STAMPA” E “REPUBBLICA” NON LI FANNO SMETTERE, VEDRETE CHE OGNI MATTINA SBUCHERÀ UN NUOVO E CLAMOROSO NOME AVVISATO DI AVERE UN BEL SPYWARE NEL TELEFONINO - COME NEL CASO DEGLI ACCESSI ABUSIVI ALLA PROCURA ANTIMAFIA (FINITI IN CHISSÀ QUALCHE SCANTINATO), I MANDANTI DELLO SPIONAGGIO NON POSSONO ESSERE TROPPO LONTANI DALL’AREA DEL SISTEMA DEL POTERE, IN QUANTO PARAGON FORNISCE I SUOI SERVIZI DI SPYWARE SOLO AD AUTORITÀ ISTITUZIONALI - A QUESTO PUNTO, IL CASO È CORNUTO: O SI SONO TUTTI SPIATI DA SOLI OPPURE IL GOVERNO MELONI DEVE CHIARIRE IN PARLAMENTO SE CI SONO APPARATI “FUORILEGGE”. PERCHÉ QUANDO IL POTERE ENTRA NEI CELLULARI DEI CITTADINI, NON C’È PIÙ DEMOCRAZIA…

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...