luigi einaudi

“LA REPUBBLICA DELLA PERA CONDIVISA”: LA COLAZIONE AL QUIRINALE CON LUIGI EINAUDI RACCONTATA DA ENNIO FLAIANO – LA GIOIA DELLA "CIVILTA' LIBERALE" A SESSANTA DALLA SCOMPARSA DEL “PRESIDENTE DELLA RICOSTRUZIONE” – L’ANTIFASCISMO, IL SODALIZIO CON DE GASPERI, IL LEGAME CON IL FUTURO CAPO DELLA CIA ALLEN DULLES, BANKITALIA, I COMUNISTI RUSSI, IL PIANO MARSHALL E QUELLA CENA A CASA DELL'AMBASCIATORE D'ITALIA IN UNIONE SOVIETICA QUARONI…

 

Andrea Cangini per www.huffingtonpost.it

 

LUIGI EINAUDI

 

Il 18 agosto del 1970, Ennio Flaiano raccontò sul Corriere della Sera un insolito siparietto di cui fu involontario protagonista quasi vent’anni prima durante una colazione al Quirinale con l’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

 

Scrisse, tra l’altro, Flaiano:

 

«Il maggiordomo recò un enorme vassoio del tipo che i manieristi olandesi e poi napoletani dipingevano due secoli fa: c’era di tutto, eccetto il melone spaccato. E tra quei frutti, delle pere molto grandi. Luigi Einaudi guardò un po’ sorpreso tanta botanica, poi sospirò: “Io – disse - prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che ne vuole dividere una con me?”. Tutti avemmo un attimo di sgomento e guardammo istintivamente il maggiordomo: era diventato rosso fiamma e forse stava per avere un colpo apoplettico.

 

Durante la sua lunga carriera mai aveva sentito una proposta simile, ad una cena servita da lui, in quelle sale. Tuttavia lo battei di volata: “Io Presidente”, dissi alzando una mano per farmi vedere, come a scuola. Il Presidente tagliò la pera, il maggiordomo ne mise la metà su un piatto, e me lo posò davanti come se contenesse la metà della testa di Giovanni il Battista...».

 

flaiano

Un piccolo aneddoto, ispirato dal quale ci fu chi ipotizzò, allora, la nascita di una “Repubblica della mezza pera”. Un piccolo aneddoto da cui risulta un presidente della Repubblica forte ma semplice, empatico ma parsimonioso, e perfettamente inserito in quella genia di uomini di Stato che, come Marco Minghetti, che prima di lasciare il suo ufficio al ministero delle Finanze ogni sera segnava il livello del petrolio nella lampada per prevenirne il furto, hanno a cuore i conti pubblici prima di ogni altra cosa. (…)

 

EINAUDI

Pierluigi battista per huffingtonpost.it

 

LUIGI EINAUDI

Dal discorso di investitura di Luigi Einaudi alla presidenza della Repubblica, ecco un brano letto da Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, durante una commemorazione einaudiana:

 

“Nelle vostre discussioni, signori del Parlamento, è la vita vera, la vita medesima delle istituzioni che ci siamo liberamente date. E se v’ha una ragione di rimpianto nel separarmi per vostra volontà da voi è questa: di non poter più partecipare ai dibattiti, dai quali soltanto nasce la volontà comune, e di non poter più sentire la gioia, una delle più pure che cuore umano possa provare, di essere costretti a poco a poco dalle argomentazioni altrui a confessare a sé stessi di avere in tutto o in parte torto. E di accettare, facendola propria, l’opinione di uomini più saggi di noi”.

 

flaiano

E’ un brano meraviglioso, un reperto della civiltà liberale oramai in via di estinzione, schiacciato dalla nuova intolleranza, dall’incapacità di discutere, dalla refrattarietà al metodo del libero conflitto delle idee. La grandezza dell’”essere costretti dalle argomentazioni altrui a confessare a sé stessi di avere in tutto o in parte torto” è letteralmente incomprensibile nella nuova stagione fanatica e ignorante del twittarolismo aggressivo surrogato della discussione, nell’insofferenza per il dissenso, per il pensiero divergente, per l’opinione anche terribilmente sgradevole, per l’integralismo che sostituisce il confronto delle idee con il coro dell’indignazione e che demonizza chi non la pensa come noi e ne teme l’infezione morale. Ecco perché bisogna essere orgogliosi del grande liberale che Einaudi è stato. E perché non possiamo non dirci einaudiani. Nel senso di Luigi.

 

 

 

LA GRANDEZZA POLITICA DI LUIGI EINAUDI 

GUIDO STAZI per MF – Milano Finanza

 

LUIGI EINAUDI

Il primo novembre del 1961 il feretro di Luigi Einaudi, poggiato su un affusto di cannone e scortato a piedi da quattro corazzieri, attraversò Roma tra due ali di folla. Era scomparso il 30 ottobre, esattamente sessanta anni fa. Già da sei anni aveva lasciato il Quirinale, poco dopo la morte di Alcide De Gasperi, con cui aveva formato un binomio che, dal dopoguerra, aveva impresso all'economia e alla politica italiana un indirizzo preciso e non modificabile per molti anni a seguire.

 

Questo sodalizio umano e politico, reso autentico dai comuni convincimenti in ordine alla necessità di mantenere gli assetti e le garanzie della democrazia liberale, dell'economia di mercato, di solidi e condivisi legami atlantici, informò il dopoguerra e pose le basi per la rinascita dell'economia italiana e per il boom degli anni 50 e 60.

 

EINAUDI DE GASPERI

E collocò stabilmente l'Italia in Europa e nella parte occidentale del mondo. Einaudi è ricordato come un grande economista accademico. Ma fu anche un politico di razza; nominato nel 1919 Senatore del Regno, fu tra quelli che denunciarono le responsabilità fasciste nel delitto Matteotti, contestando in uno scritto del 1924 la cecità degli industriali che continuavano ad appoggiare Mussolini. Il primo maggio del 1925 firmò il manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Nel 1928 fu tra i pochi senatori che si opposero all'approvazione della nuova legge elettorale a lista unica formata dal Gran Consiglio del fascismo. Non votò i Patti Lateranensi e si oppose alla campagna di Etiopia. Nel 1938 votò contro le leggi razziali con altri tre senatori.

 

Luigi Einaudi

Da sempre fu liberale, spesso aderendo alle formazioni politiche che si ispiravano a quei principi; già nel 1899, poco più che ventenne, in un articolo pubblicato su La Stampa tracciava le linee del programma economico di un partito liberale, basato su una politica antitrust diremmo oggi, affermando che per accrescere la ricchezza prodotta nel Paese andavano eliminati gli ostacoli posti dallo Stato e dai monopolisti allo sviluppo economico; e quindi smantellare tutte le bardature protezionistiche e instaurare una politica commerciale di libero scambio.

 

E nel 1919, all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre, scriveva che i comunisti russi «sono come i bambini, vogliono scomporre e fare a pezzi la macchina produttrice, per vedere come è fatta dentro, nell'illusione di poterne rimettere a posto i pezzi meglio. Ma il mercato è opera lenta e secolare della collaborazione di milioni di uomini pazienti, previdenti, geniali e lavoratori». Non cambiò mai idea, e soprattutto per questo fu chiamato nel 1944 dal governo Bonomi, su indicazione degli alleati angloamericani, nella Roma liberata per assumere la carica di governatore della Banca d'Italia, lasciando l'esilio svizzero.

 

Dove aveva intessuto stretti rapporti con due alti funzionari delle ambasciate americana e inglese a Berna, rispettivamente Allen Dulles e John Mc Caffery, spesso citati da Einaudi nel suo Diario dell'esilio; che in verità erano i capi dei servizi segreti in Europa di Stati Uniti e Regno Unito, responsabili del teatro di guerra e delle scelte atte a limitare nel dopoguerra l'influenza degli alleati sovietici nell'Europa liberata. Dulles fu poi nominato a capo della Cia dal presidente Eisenhower.

 

LUIGI EINAUDI

Il 15 gennaio 1945, alla presenza del governo e del Comando delle forze alleate, Einaudi a 71 anni si insediò alla Banca d'Italia. Ma la guida della banca centrale fu solo la premessa di una serie di alti incarichi politici: nel settembre 1945 entrò a far parte della Consulta Nazionale, nel giugno 1946 venne eletto come esponente del partito liberale all'Assemblea Costituente; il 31 maggio del 1947, nel IV governo De Gasperi, divenne vice presidente del Consiglio e ministro del Bilancio, in corrispondenza dell'uscita dal governo del partito comunista di Palmiro Togliatti. Poche mesi prima, nel gennaio del 1947 il presidente del Consiglio De Gasperi era andato Washington, accompagnato da due collaboratori di Einaudi, Donato Menichella e Guido Carli (divenuti poi entrambi governatori della Banca d'Italia); in quel viaggio si stabilirono le condizioni, anche politiche, dell'accesso dell'Italia agli aiuti americani, il Piano Marshall, poi varato nel successivo giugno col nome di European Recovery Plan (Erp); il giorno prima della partenza di De Gasperi, Einaudi annotava nel suo Diario di una cena a casa dell'Ambasciatore d'Italia in Unione Sovietica Quaroni, in cui si conveniva che gli Stati Uniti gli aiuti veri non li avrebbero concessi con i comunisti ancora al governo.

 

ALCIDE DE GASPERI

L'Italia avrebbe poi ottenuto circa 1,2 miliardi di dollari a fondo perduto dall'Erp. Risultò quindi naturale il pieno coinvolgimento di Einaudi nel governo, una volta sciolto il nodo politico della presenza dei comunisti nell'esecutivo. Einaudi pose anche la condizione di poter governare in modo effettivo la politica economica; il 31 maggio del 1947, poco prima del giuramento del governo, De Gasperi metteva per iscritto l'accordo che conferiva a Einaudi le deleghe di politica economica mantenendo il governatorato della Banca d'Italia. Un anno dopo, l'11 maggio del 1948 Luigi Einaudi fu eletto dal parlamento in seduta comune presidente della Repubblica, al quarto scrutinio con 518 voti. Il presidente Einaudi, al centro del suo breve (due pagine) ma intenso discorso alle Camere, pose i principi fondamentali che a suo parere informavano la Costituzione della Repubblica Italiana (la libertà e l'uguaglianza) ed espresse tutto il suo sostegno alla ricostruzione nazionale, economica e politica, in una prospettiva occidentale ed europea.

MARIO DRAGHI GUIDO CARLI NEL 1991

 

La nomina a presidente Repubblica chiude idealmente un triennio, dal 1945 al 1948, in cui le iniziative politiche (nazionali e internazionali), le idee e le azioni di governo dell'economia di Einaudi furono determinanti per la ricostruzione della Nazione su basi liberali e democratiche. 

IDA PELLEGRINI LUIGI EINAUDI

* economista.

Corriere della Sera - Flaiano e la mezza pera di Einaudi

Ultimi Dagoreport

pam bondi

DAGOREPORT - COME MAI L’INFORMAZIONE ITALICA SI È TOTALMENTE DISINTERESSATA DELLO SBARCO A ROMA DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, LA FOSFORESCENTE SESSANTENNE PAM BONDI, ARRIVATA CON TANTO DI AEREO DI STATO IL 10 DICEMBRE? - EPPURE LA FEDELISSIMA DI TRUMP NON SI È TENUTA NASCOSTA: HA ALLOGGIATO ALL’HOTEL ST. REGIS, SI E’ ATTOVAGLIATA AL BOLOGNESE DI PIAZZA DEL POPOLO, HA INCONTRATO AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DI VIA ARENULA CARLETTO NORDIO, HA AVUTO L'INESPRIMIBILE GIOIA DI CONOSCERE IL VICEPREMIER MATTEO SALVINI A UN RICEVIMENTO DELL'AMBASCIATORE USA IN ITALIA, TILMAN J. FERTITTA. E, FORSE, LA BEN DOTATA DALLA NATURA PAMELONA HA PURE INCOCCIATO IL MINISTRO PIANTEDOSI - MA DELLA “VACANZA ROMANA” DELL'ITALOAMERICANA CARISSIMA A TRUMP, NON SI REGISTRA MANCO UNA RIGA SUI GIORNALONI DE' NOANTRI - VABBE', A NATALE BISOGNA ESSERE BUONI: MAGARI ERANO TUTTI TROPPO IMPEGNATI A SEGUIRE LA FESTILENZA DI ATREJU DEI FRATELLINI DI GIORGIA…

nietzsche e marx si danno la mano venditti meloni veneziani

VIDEO! “ATREJU E’ IL LUOGO IN CUI NIETZSCHE E MARX SI DAVANO LA MANO, COME DIREBBE ANTONELLO VENDITTI” – GIORGIA MELONI CITA “COMPAGNO DI SCUOLA”, IL BRANO DATATO 1975 DEL CANTAUTORE DI SINISTRA. OVVIAMENTE MARX E NIETZSCHE NON SI DIEDERO MAI LA MANO, NÉ AD ATREJU NÉ ALTROVE. CIÒ È STATO ANCHE IMMAGINATO NELL’ULTIMO LIBRO DI MARCELLO VENEZIANI “NIETZSCHE E MARX SI DAVANO LA MANO”. LO SCRITTORE IPOTIZZA COME MISE EN SCÈNE CHE LA SERA DEL 5 MAGGIO 1882 I DUE SI SIANO TROVATI IN UNA LOCANDA DI NIZZA (DOVE ENTRAMBI PASSARONO). NON SI CAPISCE BENE SE LA MELONI CI ABBIA CREDUTO DAVVERO – VIDEO

giorgia meloni balla ad atreju

GIORGIA, ER MEJO TACCO DI ATREJU! - ZOMPETTANDO COME UN MISIRIZZI, LA MELONI CAMALEONTE HA MESSO IN SCENA CIO' CHE SA FARE BENISSIMO: IL BAGAGLINO DI CORBELLERIE (''QUESTO È IL LUOGO IN CUI NIETZSCHE E MARX SI DANNO LA MANO'') E DI SFOTTO' SU ELLY SCHLEIN: "IL CAMPO LARGO L'ABBIAMO RIUNITO NOI... CON IL SUO NANNIMORETTIANO 'MI SI NOTA DI PIÙ SE VENGO O STO IN DISPARTE O SE NON VENGO PER NIENTE' HA FATTO PARLARE DI NOI" -UBRIACA DI SE' E DEI LECCAPIEDI OSPITI DI ATREJU, HA SCODELLATO DUE ORE DI PARACULISSIMA DEMAGOGIA: NULLA HA DETTO SU LAVORO, TASSE, SANITA', ECC - IDEM CON PATATE SULLA GUERRA RUSSIA-UCRAINA, SUL CONFLITTO STATI UNITI-EUROPA, SUL RUOLO DEL GOVERNO SU DIFESA E IL RIARMO EUROPEO - IN COMPENSO, HA STARNAZZATO DI VITTORIE DEL GOVERNO MA  GUARDANDOSI BENE DI CITARE MINISTRI O ALLEATI; SI E' INFERVORATA PER IL PARTITO MA NON RICORDA CHE L’HA FONDATO CON CROSETTO E LA RUSSA ('GNAZIO E' STATO DEL TUTTO OSCURATO AD ATREJU) - "GIORGIA! GIORGIA!", GRIDA LA FOLLA - OK, L'ABBIAMO CAPITO: C’È UNA PERSONA SOLA AL COMANDO. URGE UN BALCONE PER LA NUOVA MARCHESA DEL GRILLO - DAGOREPORT+VIDEO 

elly schlein pina picierno stefano bonaccini giorgio gori lorenzo guerini giuseppe conte pd

NAZARENO, ABBIAMO (PIU’ DI) UN PROBLEMA - L’ASSEMBLEA PD DI DOMANI RISCHIA DI TRASFORMARSI IN UN BOOMERANG PER SCHLEIN: I DELEGATI DISERTANO, A RIDOSSO DI NATALE, NESSUNO SPENDE SOLDI E TEMPO PER VENIRE NELLA CAPITALE AD ASCOLTARE UNA RELAZIONE SENZA DIBATTITO – LA MOSSA DEI PRETORIANI DI ELLY PER SCONGIURARE LA SALA VUOTA ED EVITARE IL CONFRONTO IMPIETOSO CON MELONI CHE CONTEMPORANEAMENTE FARA’ IL PIENO A ATREJU – SORGI: “BONACCINI ENTRERA’ IN MAGGIORANZA MA SE I RIFORMISTI NON DOVESSERO RICEVERE RASSICURAZIONI SULLE LISTE ELETTORALI, IL RISCHIO DI UNA EVENTUALE SCISSIONE, SI FAREBBE PIÙ CONCRETO…”

ignazio la russa theodore kyriakou pier silvio berlusconi giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT - LA TRATTATIVA DI ELKANN PER LA VENDITA DEL GRUPPO GEDI AL GRECO THEO KYRIAKOU STA SCOMBUSSOLANDO IL GOVERNO MELONI E DINTORNI - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” VEDE DI BUON OCCHIO LA TRANSIZIONE ELLENICA E SALVINI HA BEN GRADITO LA PROSPETTIVA CHE IL GRECO ANTENNATO SISTEMI PER LE FESTE I “COMUNISTI” DI ‘REPUBBLICA’ E ‘STAMPA’, PER FORZA ITALIA C’È STATO IL VEEMENTE INTERVENTO DEL ‘’PRESIDENTE IN PECTORE’’ DEL PARTITO, PIER SILVIO BERLUSCONI, CHE VEDE IN KYRIAKOU UN COMPETITOR PERICOLOSISSIMO, ALFIERE DI QUEL CAPITALISMO DI STAMPO LIBERISTA, PER NULLA “LIBERAL”, CHE PREDICA IL PRIMATO DELL’ECONOMIA SULLA POLITICA - COSI', DIMENTICANDO IL SUO ATTIVISMO IN GERMANIA PER CREARE UN GIGANTE EUROPEO DELLA TV COMMERCIALE, L’EREDE DEL BISCIONE NON HA TROVATO DI MEGLIO CHE RISPOLVERARE LA BANDIERINA DELL’ITALIANITÀ (“CHE UN PEZZO DI STORIA DELL'INFORMAZIONE DEL NOSTRO PAESE VADA IN MANI STRANIERE UN PO' DISPIACE’’) - MA IL COLPO DI SCENA ARRIVA DAL CO-FONDATORE DI FRATELLI D’ITALIA E SECONDA CARICA DELLO STATO, IGNAZIO LA RUSSA, QUANDO SI È DICHIARATO DISPOSTO A FARE DA INTERMEDIARIO TRA I GIORNALISTI “COMUNISTI” DI GEDI E IL GRECO USURPATORE (ULTIMA USCITA DELLA GUERRIGLIA DI ‘GNAZIO IN MODALITÀ ''LA RISSA'' CONTRO LA DITTATURA DELLE SORELLE MELONI...)

2025agnoletti

CAFONAL ''AGNOLETTI & TORTELLONI'' – AL CIRCOLO CANOTTIERI ANIENE, PER IL PARTY DI “JUMP COMUNICAZIONE” DI MARCO AGNOLETTI, EX PORTAVOCE DI RENZI, E "SOCIAL COM" DI LUCA FERLAINO, UNA MARIA ELENA BOSCHI IN MODALITA' PIN-UP SI PRESENTA CON LA SUA NUOVA FIAMMA, L'AVVOCATO ROBERTO VACCARELLA, CHE QUI È DI CASA (SUA SORELLA ELENA È LA COMPAGNA DI MALAGÒ, GRAN VISIR DEL CIRCOLO DELLA “ROMA BENISSIMO”) – UN GRAN MISCHIONE ALLA ROMANA DI DESTRA E SINISTRA E TIPINI INTERMEDI HA BRINDATO AL NATALE, STARRING: LUCIO PRESTA, PEPPE PROVENZANO, ANTONELLA GIULI, FITTIPALDI, ALESSIA MORANI, FAUSTO BRIZZI, PAOLO CORSINI, NELLO MUSUMECI, SIMONA SALA, ALBERTO MATANO, SALVO SOTTILE, MYRTA MERLINO E MARCO TARDELLI, MICHELA DI BIASE, ITALO BOCCHINO, LAURA TECCE CON VESTITUCCIO SBRILLUCCICANTE CHE NON AVREBBE SFIGURATO AL MOULIN ROUGE, GIORGIA CARDINALETTI IN LOVE...