“LA SCELTA DI PAOLA EGONU, NERA E LESBICA, COME PORTABANDIERA DEL VESSILLO OLIMPICO È UN CLICHÉ FIGLIO DI CONFORMISMO” – MARIONE ADINOLFI VA ALL’ATTACCO: “SE LA EGONU FOSSE STATA BIANCA E ETERO, SAREBBE STATA SEMPRE LEI LA PRESCELTA? LA RISPOSTA È OVVIA, PER CHI È INTELLETTUALMENTE ONESTO” – MALAGO’: “E’ UN PREMIO AL VALORE DELLA PERSONA”

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INUTILE DISCUTERE

Dal profilo Facebook di Mario Adinolfi

 

MARIO ADINOLFI MARIO ADINOLFI

Dicono che sono razzista perché ho scritto su Twitter che la scelta di Paola Egonu come portabandiera olimpica è un cliché figlio di conformismo, ingiusto perché ci sono in delegazione azzurra più di trenta atleti con un cv sportivo superiore alla Egonu. Che è stata scelta perché nera e lesbica, in ossequio ai diktat politici di chi domina i nostri tempi. Ma la Egonu con la nazionale ha zero tituli, mentre decine di nostri atleti olimpici sono zeppi di titoli europei, mondiali che li rendono degni rappresentanti dell’Italia.

 

Dalla scherma arriveranno le solite tante medaglie, perché non una di loro, signor Malagò? Sappiamo il perché. E il razzista sarei io? La Egonu non ha vinto nulla con la nazionale, nessun titolo europeo o mondiale. Fossi nella Egonu avrei rifiutato perché tutti sanno qual è la ragione per cui è stata scelta.

 

PAOLA EGONU PAOLA EGONU

Vi dà fastidio che io abbia evidenziato tale ragione? Avete problemi perché vi costringo al confronto con il vostro conformismo? Non è un problema mio… Basta porsi la semplice domanda di controprova: se la Egonu fosse stata bianca e etero, sarebbe stata sempre lei la prescelta? La risposta è ovvia, per chi è intellettualmente onesto. Con chi non lo è, è inutile discutere.

 

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2 - PORTERÀ LA BANDIERA A 5 CERCHI EGONU SIMBOLO TRA I SIMBOLI

Giulia Zonca per “La Stampa”

 

Si chiude il cerchio, anzi i cerchi di questa Italia che ha molte facce, tanto orgoglio e che prima ancora di cominciare manda una sua atleta a rappresentare tutto il mondo, una missione che a Paola Egonu riesce facile.

 

Lei si definisce orgogliosamente afro-taliana e trova nell'incrocio tra le sue origini, la Nigeria e la sua casa, il Veneto, la potenza per schiacciare senza concedere risposta. La stella della nazionale di pallavolo sarà tra le otto persone che porteranno la bandiera olimpica alla cerimonia di apertura.

 

Il Coni ha proposto il suo nome quando è stato invitato ad avanzare una candidatura, una donna nell'anno in cui la rappresentanza femminile azzurra raggiunge il 48 per cento, a un passo della parità che almeno nello sport non è questione statistica. Per l'Italia olimpica è un dato consolidato dopo una lunghissima rincorsa.

PAOLA EGONU PAOLA EGONU

 

Merito delle tante pioniere che hanno avuto il coraggio e la determinazione, atlete che hanno osato, segnato un traguardo, spostato un limite, fissato un parametro e che oggi Egonu onora con la sua sfilata, con la sua carriera. A 17 anni doveva essere comparsa a Rio e si è fatta notare in un'edizione disgraziata per il volley, a 22 è considerata la giocatrice più forte del torneo e ha strappato ogni etichetta.

 

PAOLA EGONU PAOLA EGONU

Non vuole essere descritta dalla nazionalità o dall'orientamento sessuale, pretende di essere tutto quello che sente e questa ostinazione, quasi un'insofferenza verso chi la vorrebbe più semplice da decifrare, l'ha resa specchio per tante persone in cerca di un riferimento. Adolescenti abbagliati dal talento, ragazzini motivati dalla sfacciata convinzione, donne sbalordite dalla libertà, bambini di seconda o terza generazione, nati in Italia in famiglie immigrate, che ne condividono il bisogno di indipendenza.

 

Perfetta per l'incarico che il capo dello sport italiano Giovanni Malagò le ha confermato appena atterrato in Giappone: «È un premio al valore della persona». Lei incrocia le lunghissime gambe dentro uno degli anelli che stanno al Villaggio e stavolta non trova le parole, come se essere finalmente fotografata per quello che è, dopo una vita a protestare contro quello che non vuole essere, l'avesse spiazzata: «È una delle emozioni più intense che io abbia mai provato. Rappresentare gli atleti di ogni nazione è una responsabilità immensa, sono fiera e grata».

 

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Quando i Giochi sono stati rinviati ha scritto «cinque anni per Cinque cerchi» e ora quei cerchi li scorta in uno stadio vuoto davanti a miliardi di persone. Una delle donne che in questi Giochi si gode spazi meritati e per chi si secca a sentirlo ripetere, perché l'equità sarebbe ormai scontata, è pronta subito la prima polemica di genere.

 

Una di quelle che al maschile non sarebbe scoppiata mai: agli ultimi Europei le norvegesi della pallamano sono state multate per gli short stile bikini, troppo succinti. Appoggiate dalla federazione li riproporranno qui, così come la britannica Olivia Breen, paralimpica del triplo, a cui è stata contestata la tenuta, questione di centimetri.

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Per il motivo opposto, solo 9 anni fa, il Cio ha cercato di accorciare le mutandine delle pugilesse. Erano esordienti, si sono opposte comunque, cazzotti ancora prima di mettere piede su un ring e adesso l'Italia ha una squadra di sole femmine. C'è bisogno che una con la grinta di Egonu porti atlete e atleti oltre i confini che altri vorrebbero per loro, lei si preoccupa di vestire solo le medaglie e di chiudere i cerchi. Uno lo salda intorno ai pregiudizi dell'«Economist» che ha accusato l'Italia di Mancini di essere troppo bianca. L'Italia è solo azzurra.

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