“VERRÀ PERFINO RICHARD GERE DA HOLLYWOOD, DITEMI VOI COSA C’ENTRA” - A PALERMO SALVINI SI DIFENDE NEL PROCESSO PER I MIGRANTI BLOCCATI A BORDO DELLA OPEN ARMS NEL 2019: “NON MI PENTO DI NULLA” - I PM ASSICURANO DI NON VOLER FARE SPETTACOLO, MA INTANTO IL TRIBUNALE AMMETTE TUTTI I TESTIMONI, PURE IL DIVO AMERICANO CHE SALÌ SULLA NAVE PER PORTARE FRUTTA E ACQUA AI PROFUGHI - DALL’AIDS IN INDIA AL TIBET, TUTTE LE BATTAGLIE DELL’ATTORE DI “PRETTY WOMAN”…

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1 - IL PROCESSO AL LEADER LEGHISTA CON RICHARD GERE E GLI 007. LUI: NON MI PENTO DI NULLA

Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera

 

CHEF RUBIO E RICHARD GERE SULLA OPEN ARMS CHEF RUBIO E RICHARD GERE SULLA OPEN ARMS

Alla fine dell'udienza, terminato il rito dei selfie con gli agenti penitenziari, la prima preoccupazione è la pasta di mandorle: «La devo portare a mia figlia, dove la possiamo trovare?». L'addetto stampa lo rassicura: «Ora ci pensiamo, intanto andiamo dai giornalisti». E lì, fuori dall'aula-bunker del carcere di Pagliarelli, davanti a una siepe di microfoni e telecamere, Matteo Salvini sveste la mascherina e i panni dell'imputato per rimettere quelli del leader leghista: «Mi dispiace per i soldi che si dovranno spendere per questo processo politico voluto dalla sinistra. Verrà perfino Richard Gere da Hollywood, ditemi voi che cosa c’entra».

 

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In effetti dentro l'aula s'è discusso anche di questo: la testimonianza dell'attore che il 9 agosto 2019 salì sulla nave carica di profughi raccolti dall'organizzazione spagnola Open arms, che l'allora ministro dell'Interno non voleva far sbarcare in Italia, scesi dalla nave solo dopo il sequestro ordinato dalla Procura di Agrigento.

 

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Ne nacque un'indagine e poi un processo per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio a carico di Salvini che adesso è approdato davanti al tribunale di Palermo. La testimonianza della star di Hollywood è stata chiesta dagli avvocati di Open arms «per raccontare le condizioni drammatiche in cui si trovavano i migranti trattenuti a bordo», spiega l'avvocato Arturo Salerni.

 

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L'avvocata-senatrice leghista Giulia Bongiorno non si oppone, la Procura sì: «Al di là della risonanza e della spettacolarizzazione, che certamente non interessa a questa Procura, ci sono ben altri testimoni ed elementi per riferire sulla situazione a bordo».

 

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Il tribunale presieduto dal giudice Roberto Murgia ammette però tutti i testimoni citati da accusa, difesa e parti civili. «È logico - commenta Bongiorno -, i giudici al momento non sanno nulla, non potevano distinguere tra un testimone e l'altro. Poi durante il dibattimento si vedrà».

 

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Dunque non è detto che questo passerà alla storia come «il processo di Richard Gere», ma per adesso è così. Tuttavia l'accusa vuole evitare deragliamenti per concentrarsi su altro: dimostrare che il divieto di sbarco imposto dall'allora ministro ha violato gli obblighi previsti dalle leggi italiane e internazionali; che lui mantenne il provvedimento nonostante l'annullamento del Tar; che gli altri ministri, a cominciare dall'allora premier Giuseppe Conte, si erano dissociati e dunque Salvini non rappresentava più la linea del governo ma solo la sua.

 

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Per questi motivi il processo è molto diverso - secondo l'accusa - da quello archiviato a Catania per l'analoga vicenda della nave Gregoretti. Salvini e il suo entourage insistono invece che sono la stessa cosa, e così l'avvocata Bongiorno: «A Catania è stata esaminata anche la vicenda Open arms. Ci sono già tre sentenze in cui è scritto che se l'Italia non coordina le operazioni di salvataggio non c'è obbligo di far sbarcare i profughi in un porto sicuro italiano, qui aspettiamo la quarta».

 

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L'accusa - schierata al massimo livello: il procuratore Francesco Lo Voi e l'aggiunto Marzia Sabella con i sostituti Geri Ferrara e Giorgia Righi - sostiene che invece quell'obbligo c'era eccome. Per dimostrarlo porta molti documenti e 26 testimoni. Alcuni dei quali sono in comune con quelli citati dalla difesa, come Conte, gli ex ministri Di Maio, Toninelli e Trenta, l'attuale titolare del Viminale Luciana Lamorgese, l'ambasciatore dell'epoca presso l'Unione Europea Maurizio Massari.

 

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A sostegno del rischio infiltrazione di eventuali terroristi tra i migranti, la difesa di Salvini vuole sentire anche l'ex capo del servizio segreto per la sicurezza esterna Luciano Carta e l'ex responsabile dell'antiterrorismo internazionale della polizia italiana Claudio Galzerano. «Non c'entrano con la materia del processo», s'è opposto il procuratore, chiedendo di depennare dalla lista testimoni anche l'ex premier maltese Muscat o l'ex commissario europeo per le migrazioni Avramopoulos. «Invece c'entrano», ha insistito Bongiorno.

 

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Per adesso ha vinto la difesa, più avanti si vedrà. Di sicuro per Salvini ogni udienza sarà l'occasione per rilanciare la sua linea in tema di sbarchi e migranti, come ha fatto ieri. Parla di «processo politico» e l'avvocata Bongiorno si affretta a spiegare che è per via dell'autorizzazione a procedere concessa dal Senato, grazie al voto dei grillini dopo la rottura con la Lega.

 

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Poi il suo assistito aggiunge: «Non mi pento di niente. Se una nave spagnola si rifiuta andare nel porto offerto dalla Spagna compie un abuso e ha altri fini». Poco più in là il comandante di Open arms, Oscar Camps, ribatte: «Salvare vite umane in mare è un obbligo non solo per il capitano di una nave, ma per tutti gli Stati, la politica non c’entra».

 

I suoi avvocati hanno chiesto testimonianze sull'orrore dei campi di detenzione in Libia, da dove venivano i migranti. Se non ci saranno ripensamenti da parte del tribunale, il processo all'imputato Salvini tratterà anche di questo.

 

2 - «ERO QUI IN VACANZA, CORSI SULLA NAVE». IL DIVO E LE LOTTE PER GLI ULTIMI DEL MONDO

Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera

 

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Non voleva essere solo sexy, l'ex ragazzo palestrato di American Gigolò. E il mondo l'ha capito molto presto. «Ho avuto una carriera da sogno, una fortuna sfacciata, ma non dimentico mai da dove vengo, una famiglia di lavoratori della Pennsylvania», così rispose una volta Richard Gere a chi gli chiedeva il perché del suo impegno civile e delle mille battaglie: dalla lotta all'Aids in India con la sua fondazione (la Gere Foundation India Trust) alla difesa della tribù degli Jumma, perseguitata in Bangladesh, con l'associazione Survival International.

 

gambino richard gere migrante gambino richard gere migrante

«Non dimentico mai le afflizioni del mondo - spiegò Gere -. Dall'invasione cinese del Tibet all'odissea dei migranti che partono dal Nord Africa e dalla Siria...». Già, i migranti. Così ora l'aspetta il tribunale di Palermo, dove l'attore americano, indimenticato interprete di Ufficiale e gentiluomo e Pretty Woman, andrà al processo dov'è imputato Matteo Salvini a raccontare come testimone cosa vide nell'agosto 2019, alla vigilia dei suoi 70 anni, a bordo della nave Open Arms.

 

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In quei giorni lui era «in vacanza con la famiglia vicino Roma - disse in conferenza stampa -. Quando ho saputo della nave non ci potevo credere, sono corso in aeroporto ed eccomi qua». A Lampedusa, prima d'imbarcarsi, Gere comprò frutta e bottiglie d'acqua per i migranti. Dopo quell'impresa il sindaco dem di Firenze, Dario Nardella, lo invitò a Palazzo Vecchio per consegnargli le chiavi della città, tra le proteste del centrodestra: «Io non mi occupo di politica, ma di persone», si schermì il divo.

 

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Ex boy scout, cresciuto con un'educazione metodista, Gere si convertì al buddismo dopo un viaggio in Nepal nel 1973. Incontrò il Dalai Lama, ne divenne amico e abbandonò per sempre il destino da sex-symbol.

 

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Gli afflitti del mondo da allora sono la sua missione: la collezione di chitarre all'asta per aprire un ospedale in Mali; le accuse al presidente turco Erdogan per l'aggressione ai curdi; l'attacco a Trump per aver abbandonato la Siria. Si narra che con l'associazione Coalition for the Homeless un giorno Gere passò delle ore in strada tra i senzatetto di New York per rendersi conto dei loro problemi. E fu così credibile che una turista francese gli offrì un trancio di pizza.

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