MODELLO GIUDITTA – LA PIDDINA GIUDITTA PINI FA A PEZZI CON IRONIA IL GRILLINO CHE AVEVA DATO DELLE POMPINARE ALLE DEPUTATE PD: ‘HO PRESO 7 MILA 500 PREFERENZE, MI FA ANCORA MALE LA MANDIBOLA...’

1. L'AULA DELLE RISSE, SENZA CAMBIARE MAI
Jacopo Iacoboni per ‘La Stampa'

«Ho il ricordo del Parlamento simile a un atrio di stazione con gente stravaccata dappertutto, scamiciata, la cinghia dei pantaloni in mano, senza scarpe, a sputare per terra, a disseminare cicche, cartacce e resti di cibarie, a tirarsi le cose, darsi schiaffi, ingiuriare, a bestemmiare»... Non è una cronaca di ieri, l'ha scritta un inimitabile, Ugo Zatterin, raccontando cosa vide in aula nel 1949 nella seduta fiume per decidere l'adesione dell'Italia nella Nato.

Perché è brutto - in vari gradi - quello che sta succedendo da due giorni a Montecitorio, il decreto su Bankitalia accorpato all'Imu, il deputato M5S che grida "boia chi molla", la tagliola, le urla e il tentativo di paralizzare tutto, la manata del questore di Scelta Civica alla collega cinque stelle, gli insulti sessisti alle deputate Pd o ad Alessandra Moretti. Le camere non sono mai state un modello di nulla, certo non di educazione. Il che non scusa nessuno, anzi: è due volte grave e doloroso, per chi vorrebbe cambiare le cose, ritrovarsi uguale al passato.

Quel 18 marzo del '49 Giulio Andreotti annotò nei suoi diari: «La seduta durò ininterrottamente tre giorni e tre notti per stroncare gli ostruzionismi e fu contraddistinta da pugilati, scambi di percosse e persino da un morso alla mano del mite Achille Marazza, azzannato dal comunista Di Mauro che cercava di aggredire De Gasperi alle spalle». Non c'era lo streaming, non c'era il tg di Mentana, ma i fattacci c'erano. Accadevano.

De Gasperi si beccava insulti truculenti, per l'epoca; «buffone» da Togliatti, «bugiardo» da Giolitti, addirittura «servo» da Pajetta, «traditore» persino dal moderato Amendola. Gronchi alla fine disse che l'aula era ridotta a «un'arena da circo», «uno spettacolo da competizione di facchini di piazza». Circensi e facchini, peggio che angiporti. E siccome si menavano dentro e fuori dall'aula, il comunista Serbandini, che faceva la spola, si vantava delle «mani sporche del sangue dei vecchi».

Per non dire di ciò che avvenne il 21 gennaio del '53, nel dibattito sulla legge truffa. De Gasperi e Scelba avevano fretta ma, altro che ostruzionismo, volavano cazzotti. Meuccio Ruini, presidente del Senato, fu colpito - lo racconta Pietro Ingrao nel suo libro - da una tavoletta in faccia. Narrò Zatterin «il vecchio uomo politico non si trattiene dal farsela nei pantaloni».

Il guaio non è «oh che tempi brutti viviamo», è che sbandieriamo cambiamenti ma restiamo sempre uguali a come siamo sempre stati: pessimi. Certo, ora vediamo tutto istantaneamente, giudichiamo, twittiamo. Ma pare impossibile cambiare, e questo è il messaggio amaro. Abbiamo assistito ai comunisti che stavano quasi per menare il radicale Cicciomessere.

Abbiamo visto in epoche più recenti Storace che va a caccia di Paissan, le gazzarre leghiste e i cappi in aula di Luca Leoni Orsenigo. Quando Finì mollò Berlusconi i leghisti stavano per picchiare Catia Polidori. A Sgarbi ruppero gli occhiali. Quando cadde Prodi berlusconiani (Nino Strano) festeggiarono a mortadellate; il mastelliano Tommaso Barbato sputò in faccia a un collega (Nuccio Cusumano), che svenne sentendosi ululare insulti sessisti squallidi oltre ogni dire. In un dibattito su Eluana Englaro, Gaetano Quagliariello gridava, con occhi sbarrati, «non è morta! È stata ammazzata!».

Non s'era detto che era la legislatura del cambiamento? All'inizio di questa storia il comunista Giuliano Pajetta era «la tigre rossa», e il fratello Giancarlo «il giaguaro»: si lanciavano sugli avversari; e il missino Leccisi era «il K2 dell'uppercut». Ma i figli e i nipoti dicevano di voler cambiare; non di essere uguali a loro.

2. INSULTI E MINACCE - GRILLINI ALL'ASSALTO DEL PARLAMENTO
Mattia Feltri per ‘La Stampa'

[...] Alla fine i cinque stelle decidevano di non partecipare alla seduta pomeridiana dell'aula. Si ritiravano nelle loro stanze al quarto piano. Ma il vaneggiamento non abbandonava il palazzo. Dambruoso (Scelta civica) si scusava per le sberle alla Lupo ma niente dimissioni, nonostante la pressione del suo capogruppo, Andrea Romano. Anche il grillino Massimo De Rosa si scusava per l'addebito rivolto a sette del Pd di aver ottenuto il titolo di onorevole con prestazioni speciali (al che Giuditta Pini gli aveva risposto: «Ho preso 7 mila 500 preferenze, mi fa ancora male la mandibola...»)

 

 

PROTESTE IN AULA M S massimo de rosa massimo de rosa Stefano Dambruoso STEFANO DAMBRUOSOalessandra moretti x Andrea Romano Andrea Romano alcide degasperi

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