giuseppe conte rocco casalino

NO, NON CADE. MA SE CADE, VIENE GIÙ CONTE E TRASCINA CON SÉ UN PEZZO DI STATO CHE GLI HA GIURATO FEDELTA': BUROCRATI, ACCADEMICI, FUNZIONARI, DIPLOMATICI, MILITARI E BOIARDI - LO SCALTRO DOMENICO ARCURI È STATO IL PRIMO BOIARDO A INTERLOQUIRE CON CONTE E ORA IL SUO OBIETTIVO È AGGUANTARE CASSA DEPOSITI E PRESTITI LA PROSSIMA PRIMAVERA - ALL’ORIGINE DEL “PARTITO DI CONTE”, C’È LA POLPETTA AVVELENATA APPARECCHIATA LO SCORSO ANNO DA CASALINO CHE APRÌ UNA CREPA INSANABILE TRA IL PREMIER E DI MAIO

DAGONOTA

CASALINO 1

Sul ‘’tradimento’’ di Casalino, che fu messo alle spalle di Conte da Di Maio per attenzionare le sue mosse, le cose andarono in maniera diversa rispetto a come la racconta l’ottimo Carlo Tecce. Quando Rocco spiffera a Conte che Di Maio ha in mano un accordo con la Lega di Savini per diventare lui premier, l’ex bibitaro del San Paolo trattava già alla luce del sole con Zingaretti. Si vedevano infatti a casa di Vincenzo Spadafora.

conte casalino

 

Ebbene, è da quel tradimento di Rocco che Conte inizia a dubitare di Di Maio e a sua volta Di Maio di Conte. Insomma, con quella polpetta avvelenata, l’ex concorrente del Grande Fratello ha messo le radici dell’attuale partito di Conte, aprendo una crepa insanabile tra il premier e il ministro degli Esteri, crepa che poi si allargherà anche tra i tecnici e i corpi diplomatici.

 

travaglio conte

PS

Nel partito di Conte squadernato da Carlo Tecce, ex penna del “Fatto quotidiano”, c’è un’omissione importante: il ruolo di Marco Travaglio, ascoltassimo consigliori della nomina della Calvosa a presidente dell’Eni fino a Sansa candidato in Liguria, etc. etc.)

 

ALL'ORIGINE DELLO SCONTRO CON DI MAIO CHE RISALE AL G7 DI BIARRITZ

Carlo Tecce per L’Espresso

 

CASALINO DI MAIO VARRICCHIO SPADAFORA

No, non cade. Se cade, crolla. Viene giù Giuseppe Conte e trascina con sé un pezzo di Stato che gli ha consegnato illusioni e carriere: burocrati, accademici, funzionari, diplomatici, militari e boiardi. E pure se crolla, per la frustrazione dei politici puniti dalle urne, non farà rumore.

 

Perché il partito di Conte è grigio, non si candida alle Regionali né si schiera al referendum, sta qui o sta lì, chiude i porti o apre le porte, è uguale: comanda. Quando smette, non esiste più. Arbitro senza fischietto fra le gomitate di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, il premier Conte si cambiò di abito in volo verso Biarritz, Paesi baschi nei confini francesi, distese di sabbia trafitte dall’Atlantico. Era il congedo, il G7 di addio. Era il 24 agosto 2019, a Roma l’alleanza gialloverde si era dissolta.

donald trump giuseppe conte

 

Appena decollati, il portavoce Rocco Casalino riferì le ultime sui negoziati di governo tra i 5S e il Pd. A bordo c’erano Pietro Benassi, consigliere diplomatico; Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi; Alessandro Goracci, capo di gabinetto; Carlo Massagli, consigliere militare. Mai viaggio fu così affollato. Il portavoce più influente dei Cinque Stelle s’era affezionato all’avvocato del popolo a cui era stato assegnato dal Movimento per monitorarne ogni azione e ogni pensiero e s’era affezionato, soprattutto, al ruolo di demiurgo della politica di governo.

 

beppe grillo rocco casalino alla marcia di assisi

Casalino fissò il telefonino e disse con tono funereo, reso ancora più teatrale da una lieve raucedine: Luigi (Di Maio) sta per siglare l’accordo con la Lega per andare a Palazzo Chigi. Fu allora che un gruppo di professionisti che si conoscevano da neanche un anno, e chissà si detestavano, accostati l’uno all’altro per esigenze istituzionali, diventò l’artefice dell’alleanza giallorossa, del secondo governo di Conte. La strategia fu semplice: sabotare l’amico Luigi.

 

rocco casalino grillo

Casalino si intestò un tradimento di cui Di Maio ha sempre sospettato e che ha avvelenato sin da subito il dialogo tra il ministero degli Esteri e Palazzo Chigi. Organizzò un improvvisato punto stampa tra le folate di vento di Biarritz. Tre domande tre, non di più. La prima era scontata: la posizione italiana nel consesso internazionale, dopo le pericolose effusioni con russi e cinesi. Le altre due furono ispirate da Rocco: come costruire un patto con i democratici di Nicola Zingaretti, come reagire alle proposte di Salvini.

Pietro Benassi

 

Conte era lì in mezzo, trepidante, fra il nugolo di microfoni, pian piano gli si formò un muro alle spalle, da sinistra a destra: Benassi, Chieppa, Goracci e Massagli. Rocco era fuori dalla scena, nella buca del suggeritore.

 

roberto chieppa

La cartolina da Biarritz arrivò con tre messaggi: la collocazione italiana è nel campo del G7; col Pd si parli di “progetto riformatore” non di nomi; la stagione politica con la Lega è chiusa. Di Maio fu disarmato. Il colloquio con Donald Trump rassicurò gli americani sul blocco ai cinesi di Huawei per lo sviluppo della tecnologia 5G per le connessioni veloci. In un anno l’Italia ha attuato i protocolli più severi contro la multinazionale di Pechino. A quei tempi era sempre festa. Adesso la smania di potere dei seguaci di Conte rischia di ferire anche Conte.

 

007 COME LA RAI

«I servizi segreti sono un indicatore della salute politica di una nazione e l’unica espressione vera del suo subconscio», è l’aforisma che avvolge il documentario Inside the Mossad; è di John le Carré, celebre autore di romanzi di spionaggio, ex agente dei servizi britannici.

 

Alessandro Goracci e giuseppe conte

Forse poco cultore del genere letterario, Conte non ha ceduto la delega sull’intelligence, non ha indicato l’autorità delegata, cioè un ministro senza portafoglio o un sottosegretario di stanza a Chigi che vigila con sguardo politico sugli 007, come prescrive la legge, anzi ha nominato Gennaro Vecchione, generale di divisione della Guardia di Finanza, non il più decorato, capo del Dis, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza che coordina le attività delle agenzie di spionaggio esterno (Aise) e interno (Aisi).

 

conte vecchione

Questo è accaduto durante il governo gialloverde e da allora agita i delicati equilibri dei servizi segreti. Per le placide leggende che inondano i vicoli di Roma, l’amicizia fu propiziata dall’ex moglie di Vecchione e l’attuale compagna di Conte. Nella capitale si usano questi paradigmi perché le osterie e le trattorie abbondano. In realtà Vecchione da anni era in procinto di trasferirsi al Dis con un egregio incarico, sin dall’epoca del prefetto Alessandro Pansa. Certo non si aspettava di assumere la guida dell’intelligence.

 

mario parente

È successo per una strana e rara combinazione astrale: Conte si fidava del generale incrociato più volte per le comuni frequentazioni vaticane di alti prelati e si affidava alle sempre sapide idee di Gianni Letta, legato da antica amicizia all’avvocato Guido Alpa, mentore del premier.

 

Vecchione si è ritrovato a gestire l’Aisi di Mario Parente, prefetto con eccellenti trascorsi nel settore, e l’Aise di Luciano Carta, generale di corpo d’armata, dunque un superiore, e già vice di Alberto Manenti. La coabitazione non ha funzionato. Poiché Vecchione tendeva a colmare il difetto di esperienza con la relazione fiduciaria col premier e una eccessiva esposizione pubblica.

 

generale luciano carta

Il caso Barr è esemplare. Nel tentativo di ribaltare la prospettiva del Russiagate e poi ergersi a vittima di un complotto di Obama, l’amministrazione di Donald Trump, per il tramite di William Barr - ministro della Giustizia nonché responsabile dell’Fbi - chiese all’Italia informazioni sull’operato degli agenti americani in Italia durante la campagna elettorale del 2016 con la sfidante Hillary Clinton.

 

william barr pornhub 2

La richiesta inoltrata alla fine di giugno 2019 e trasferita da Conte a Vecchione raggiunse il primo riscontro a ferragosto, nel vortice della crisi di governo italiano, con una visita di Barr alla sede del Dis. Soltanto il 27 settembre, mutato colore dell’esecutivo però non il cognome del premier, la delegazione americana con Barr fu ricevuta ancora da Vecchione che per l’occasione convocò per iscritto Carta e Parente.

marco mancini

 

La procedura non proprio rigorosa e per niente istituzionale fu contestata dai vertici di Aise e Aisi. Nessuno si è stupito quando Carta, lo scorso aprile, ha lasciato i servizi per la presidenza di Leonardo. E nessuno si è stupito, ancora, per lo scarso entusiasmo con cui Vecchione ha accolto la terza riconferma di Parente.

 

La riforma dell’intelligence del 2007 ha previsto due mandati per un totale di otto anni per i direttori degli 007. Promosso nel 2016 e rinnovato nel 2018, Parente a metà giugno rischiava di abbandonare l’Aisi pur avendo completato metà del periodo a disposizione.

 

Spronato dal Pd di Zingaretti e dal Colle di Mattarella, Conte ha infilato di soppiatto una norma in un decreto legge per portare a tre il numero dei mandati e proteggere Parente. Si è speso per un’esigenza di altri. S’è parlato, sbagliando, di un favore a Vecchione, ma il capo del Dis finisce a novembre il primo biennio.

 

CARLO MASSAGLI GIUSEPPE CONTE

Per un messaggio non complicato da decriptare, nient’altro che una conseguenza delle tensioni tra i servizi, una cinquantina di deputati dei Cinque Stelle ha tentato di fermare la proroga con un emendamento e il governo si è sorbito l’imbarazzo di porre la fiducia.

 

Parente resta al suo posto, ma il governo deve riempire tre caselle: un vice all’Aisi e due all’Aise. Per un salto concorre anche Marco Mancini, supportato da una parte dei Cinque Stelle e dalla coppia Vecchione e Conte e in passato coinvolto negli scandali Telecom/Sismi e nel rapimento di Abu Omar.

 

Anche l’ammiraglio Massagli gareggia. Attorno ai servizi si è scatenato un mercanteggiare dei partiti e di correnti di partito che neppure per i telegiornali Rai nella prima Repubblica. Gli apparati di intelligence hanno regole precise e inviolabili. Le leggerezze non sono ammesse.

 

ugo zampetti sergio mattarella

E in settimana Giuseppe Conte, in audizione davanti al Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, dovrà rispondere di una potenziale (e grave) leggerezza. In più di una circostanza il già citato Goracci si è occupato di questioni di intelligence, una di queste ha una data certa: il 30 giugno l’Associazione verità per Ustica si è rivolta al governo per desecretare alcuni documenti riservati.

 

Alpa

L’ex senatore Carlo Giovanardi è stato ricevuto da Vecchione e da Goracci. Il capo di gabinetto, però, è un assistente parlamentare che fa parte degli uffici di diretta collaborazione del premier Conte e non ricopre alcuna mansione che possa giustificare la sua presenza. Goracci era al fianco di Vecchione per supplire all’assenza di un’autorità delegata, mai scelta, e dunque di colui che doveva sceglierla: il medesimo Conte. Ricordarsi di Le Carré.

 

mattarella conte zampetti

UNTO DAL MONSIGNORE

L’avvocato del popolo fu introdotto a Palazzo Chigi da un drappello di istruttori calati dal Colle. Ugo Zampetti, il segretario generale del Quirinale, depositò il premier nelle mani del figlio di un ex collega. Alessandro Goracci è il rampollo di Carlo, ex numero due alla Camera quando regnava Zampetti. Alessandro sorveglia pure il versante cattolico, rapporti con la Santa Sede e la Conferenza episcopale italiana.

 

villa nazareth roma

Esclusi i cinque anni da laico al consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il professore Conte con cattedra a Firenze aveva due finestre sul mondo: la rete di Alpa e la tela di Villa Nazareth. Il prestigioso collegio universitario è un epicentro del cattolicesimo di sinistra, da decenni assai influente in Vaticano per merito del cardinale Achille Silvestrini, scomparso un anno fa, di cui ha raccolto l’eredità l’arcivescovo Claudio Maria Celli.

achille silvestrini con papa francesco 1

 

L’ex assistente degli studenti di Villa Nazareth è il segretario di Stato di papa Francesco, il cardinale Pietro Parolin. Conte non ha mancato il funerale di Silvestrini né l’anniversario del 14 settembre e ancora compare tra i professori del comitato scientifico di Villa Nazareth.

 

PIETRO PAROLIN GIUSEPPE CONTE

Il presidente Carlo Felice Casula è un suo strenuo difensore; il prof Paolo Atzeni di Roma Tre ebbe l’onore di ospitare il premier Conte alla conferenza sull’innovazione dell’Università. Per dimostrare l’impegno e la pratica di spirito solidale, invocati dalla Chiesa, Conte ha tenuto per sé la competenza sulla disabilità e l’ha trasferita a Giuseppe Recinto, un professore di Napoli, amico del rettore Gaetano Manfredi, il ministro dell’Università.

CLAUDIO MARIA CELLI

 

Villa Nazareth, poi, ha innescato il sodalizio fra Conte e Giuseppe Busia, ex segretario generale dell’Autorità della Privacy. In Canada per il primo G7 da presidente del Consiglio, Conte spedì Busia a Palazzo Chigi per scoprire il suo nuovo luogo di lavoro. Paolo Aquilanti, l’ex segretario generale uscente, gentilmente gli mostrò le bellezze dello stabile.

 

Per l’opposizione della Lega e le perplessità del Quirinale, Busia fu presto scartato per Roberto Chieppa, anch’egli segretario generale di un’Autorità, ma ben più grossa, l’Antitrust, e presidente di sezione del Consiglio di Stato. A differenza di Chieppa, l’unico dei fedelissimi di Conte che non scalpita per un premio, Busia se ne ritornò mesto alla Privacy, peraltro in scadenza, con la garanzia di un risarcimento per l’atroce delusione.

busia

 

Per qualche mese, sperando di scalare la vetta di Garante alla Privacy, Busia fu insignito della qualifica, a titolo gratuito, di consigliere giuridico del premier. Alla recente estrazione delle poltrone delle Autorità per la Privacy, le Telecomunicazioni e l’Anticorruzione, a Busia è capitata quest’ultima: un burocrate studioso di violazione di dati personali dov’era un magistrato antimafia, Raffaele Cantone. Poteva andare meglio all’Anac, poteva andare peggio a Busia.

 

FELUCHE ALLA RINCORSA

L’ambasciatore Pietro Benassi, invece, non riesce a decollare. Conte lo adocchiò nelle severe trasferte di Berlino quando sfoggiava l’europeismo scettico. Benassi gli procurò un po’ di credibilità presso i tedeschi. Per Conte fu il consigliere diplomatico perfetto: in dote portava contatti nell’Europa che regge l’Unione e una buona dimestichezza con le vicende africane.

 

SEBASTIANO CARDI

Abituato a manovrare la politica estera da Palazzo Chigi col timido ministro Enzo Moavero Milanesi, l’atteggiamento di Benassi ha innervosito la Farnesina anche per i comici inseguimenti di missioni geopolitiche: il ministro Di Maio in trasferta in Libia, Conte va in Libia; Di Maio va in Turchia, Conte va in Turchia; Di Maio va in Egitto, Conte va in Egitto e così via.

 

elisabetta belloni

Finché Benassi non ha palesato verbalmente le sue ambizioni: rientrare alla Farnesina da segretario generale con la rimozione di Elisabetta Belloni, che a sua insaputa fu papabile alla presidenza di Leonardo per agevolare la staffetta. Di Maio ha reagito e ha blindato la sua squadra, a cui deve ciascun vocabolo di inglese imparato o bilaterale conquistato.

 

ettore sequi

Ettore Sequi, il capo di gabinetto, non va a Bruxelles; Sebastiano Cardi, il direttore degli affari politici, non subentra a Sequi e rimane dov’è come Belloni. L’ambasciatore Armando Varricchio, ex consigliere di Matteo Renzi, il diplomatico che fu sollecitato dagli americani per primo sulla faccenda Russiagate, dopo quattro anni e mezzo ha finito l’avventura negli Stati Uniti, ma indugia perché s’aspetta da Conte la scrivania di Belloni. Come Benassi. Qui sono troppi. Però dipende dal significato che si attribuisce a “troppo”.

DOMENICO ARCURI GIUSEPPE CONTE

 

Domenico Arcuri, scaltro, è stato il primo boiardo a interloquire con Conte. Incollato a Invitalia dal governo Prodi, il premier l’ha nominato commissario per l’emergenza Covid. Con i suoi modi di teorico risolutore di problemi, sulla pratica si attendono i banchi a rotelle, Arcuri era convinto di poter dedicare mezza giornata al Covid e l’altra metà a Leonardo.

 

armando varricchio con donald trump

Poi gli hanno spiegato che fare l’amministratore delegato dell’ex Finmeccanica è sfibrante e perciò si è sacrificato per la patria con la prospettiva di agguantare Cassa depositi e prestiti la prossima primavera. Ciò ha allarmato l’ad Fabrizio Palermo, già molto allarmato di suo, che si fionda su ogni ginepraio di governo con la sicumera di chi ha il denaro di Cdp (dei risparmi postali) per rimediare a tutto: il nuovo salvataggio di Alitalia, il dolce castigo per Atlantia, la rete unica con Telecom. Palermo dovrà penare. L’agio di Piero Cipollone non capita a molti: da consigliere economico di Conte a membro del direttorio di Bankitalia.

GIUSEPPE BONO FABRIZIO PALERMO MARCO ALVERA

 

Il Pd ha insegnato a Conte a esercitare il potere e ormai c’è ressa di uomini di potere. Oltre a Matteo Del Fante di Poste, il premier stima Marco Alverà di Snam e Claudio Descalzi di Eni. Li consulta con sempre maggiore assiduità: energia, ambiente, industria. Su Descalzi pende una richiesta di condanna a otto anni nel processo Nigeria, tema giudiziario su cui né Conte né i puristi dei Cinque Stelle proferiscono più parola. Il giovane Alverà, allievo di Paolo Scaroni, si allena per sostituire Descalzi con la benedizione di entrambi. C’è spazio sulla corriera di Conte. Però attenzione alle buche del voto.

 

domenico arcuri matteo del fantegiuseppe conte claudio descalzi mohammed bin zayed al nahyan

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